TROUBETZKOY, Paul (Paolo, Pavel Petrovič Trubeckoj)
– Nacque il 15 febbraio 1866 a Intra, sul lago Maggiore, dal principe Pëtr Petrovič Troubetzkoy, diplomatico russo in missione in Italia, e dalla cantante lirica Ada Winans, di nazionalità statunitense.
Secondogenito, dopo Pierre (1864) e prima di Luigi (1867), fino al 1872 mantenne il cognome Sthal, con cui il padre, per motivi di opportunità, si era dichiarato allo stato civile italiano prima della rottura del precedente matrimonio in Russia.
Nel 1867 la famiglia si trasferì dalla casa Canna sul Verbano (luogo di nascita di Paul) alla villa Ada, edificata dal padre a Ghiffa (comune a cinque km da Verbania) nello stile delle dacie russe. Essa divenne presto un vivace polo culturale: dal 1871 fu frequentata regolarmente dal pittore Daniele Ranzoni, primo maestro di disegno di Pierre e Paul e, soprattutto, importante intermediario per l’introduzione nella villa di artisti allora in voga a Milano, come Tranquillo Cremona e Giuseppe Grandi. Rivelatosi un enfant prodige nella modellazione della cera – a otto anni plasmò una testa di anziano, che Grandi lodò molto (Troubetzkoy, 1952, p. 11), – Paul avrebbe di lì a poco trovato utili spunti di riflessione per la propria attività plastica nell’opera di questi protagonisti della scapigliatura, dalla fusione di figura e ambiente di Cremona al ductus rapido e vibrante di Grandi degli anni Settanta.
Dopo aver ricevuto i primi rudimenti di educazione da istitutrici italiane e tedesche i tre fratelli Troubetzkoy, nell’autunno del 1877, furono mandati a completare la propria formazione al collegio Calchi Taeggi di Milano. Solo Pierre, in seguito affermatosi come pittore ritrattista, avrebbe concluso le classi ginnasiali. Paul, invece, nel triennio 1879-82 passò insieme a Luigi alla scuola tecnica del collegio Giorgetti di Intra. A differenza del fratello minore, si dimostrò poco incline a un’applicazione sistematica e al termine degli studi riportò numerose insufficienze, rimediate solo al terzo anno. Lo scarso rendimento scolastico spinse il padre a indirizzarlo all’agricoltura, favorendo nella primavera del 1883 il suo viaggio in Podolia, dove lo zio Alessandro Winkler gestiva vasti possedimenti terrieri. L’esperienza fu di breve durata, ma decisiva per la messa a fuoco della reale vocazione del giovane, ormai orientato verso una scultura di luce e non finita, condotta soprattutto nel gesso e nel bronzo.
Al rientro in Italia pochi mesi dopo, la madre ne comprese le potenzialità artistiche e cercò di incanalarle in un percorso di studi presso maestri accreditati. Nuove opportunità si profilarono nel 1884, quando, a seguito del dissesto finanziario che colpì la famiglia per via di sfortunati investimenti paterni, Paul si trasferì a Milano con la madre e i fratelli. Qui, dopo il rifiuto di Grandi, inizialmente disposto ad accoglierlo come allievo, lo scultore transitò per pochi mesi nell’atelier del neoclassico Donato Barcaglia e poi in quello, a lui più congeniale, di Ernesto Bazzaro, erede della lezione veristico-scapigliata di Grandi.
Scolaro poco diligente, lasciò presto anche questo studio per indirizzarsi a un lavoro da autodidatta, prima in una fattoria fuori Porta Ticinese e poi in diversi locali presi in affitto (in via Vivaio, in corso Vittoria, in corso Porta Nuova e in via Solferino) durante il lungo soggiorno milanese (1884-97).
Forte di un cognome già noto in città per l’attività mecenatistica svolta dalla sua famiglia, Troubetzkoy non ebbe difficoltà a inserirsi nei circoli artistici dell’orbita postscapigliata. Nel 1886 ebbero luogo sia la prima partecipazione all’Esposizione annuale di Brera, con una statuetta bronzea raffigurante un Cavallo, sia l’iscrizione alla Famiglia artistica milanese, alle cui esposizioni natalizie lo scultore ebbe modo di intessere rapporti proficui con artisti ed esponenti di una borghesia imprenditoriale che gli avrebbe in seguito fruttato numerose commissioni.
Risalgono al quadriennio 1886-90 i ritratti in gesso dei coniugi Benedetto e Teresa Junck e di musicisti come Antonio Smareglia e Alfredo Catalani, abbozzati con sprezzature memori degli stilismi di Grandi o, per dirla con Vittorio Pica (1900), con «piattonate di stecca sulla creta [...] rabbiosamente piombanti l’una accanto all’altra e creanti una superficie tutta disuguale a frammentarii piani molteplici» (p. 10).
A Milano Troubetzkoy trovò i principali committenti in figure della nobiltà lombarda (i conti Durini e Visconti di Modrone e il marchese Cesare Piantanida), ma godette di fortuna anche presso i nomi di punta dell’alta borghesia industriale (Ernesto de Angeli, Corrado Cramer e i banchieri Gustavo e Aldo Weill-Schott).
Accanto alla ritrattistica, altro filone commercialmente fortunato fu quello dell’animalistica, all’insegna del quale si presentò nel 1887 all’Esposizione nazionale artistica di Venezia con tre opere (Nella stalla, Bue, Elefante).
Nonostante un’intima avversione per la scultura di soggetto, realizzò parimenti opere a tema folkloristico (cowboys e pellerossa), altre legate a temi di vita moderna (ballerine) e altre ancora riconducibili alla poetica cremoniana degli affetti, dagli anni Novanta non esenti da suggestioni simbolistiche (come il bronzo Maternità del 1898, alla GNAM, la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma).
Mentre andavano moltiplicandosi le occasioni espositive a Milano (alla Società di belle arti, a Brera e alla Famiglia artistica), dal 1891 la produzione di Troubetzkoy si orientò su due direttrici principali: le «portrait-statuettes» (Grioni, 1985, p. 206) in gesso, spesso fuse in bronzo e destinate a una fruizione privata, e i bozzetti presentati a concorsi per monumenti pubblici. In questo caso, le inaspettate abbreviazioni astratte dei modelli ne decretarono il più delle volte la sconfitta, come nei due concorsi per il monumento equestre di Giuseppe Garibaldi (prima a Milano nel 1888, poi a Napoli nel 1891), dove l’autore presentò la stessa sfortunata maquette. Sorte simile toccò al Dante di Trento, progettato in collaborazione con Luigi Conconi, al monumento di Amedeo IV di Savoia per Torino e a quelli di Manfredo Fanti a Carpi e di Niccolò Tommaseo a Sebenico. Nonostante l’incomprensione della critica ufficiale, gli anni seguenti furono fitti di impegni e commissioni, dalle tombe per il cimitero monumentale di Milano alle numerose partecipazioni a rassegne d’arte italiane ed estere, in alcuni casi coronate dall’acquisto di sue opere da parte di musei statali (come la bronzea Vedetta indiana, acquistata nel 1893 per la GNAM di Roma). Il 1895 non registrò solamente l’ingresso di alcune opere dello scultore (tra cui il Ritratto di Carla Erba, gesso grande al vero) nelle sale dell’Esposizione internazionale d’arte di Venezia appena istituita, ma anche il primo monumento pubblico effettivamente realizzato per una piazza cittadina: quello in marmo per Carlo Cadorna in piazza Garibaldi a Verbania, nel quale lo statista, anziché presentato a figura intera, è riprodotto in un inedito medaglione posto ai piedi di un flessuoso nudo femminile (la Bella Pallanza).
Nel 1898, grazie al sostegno del cugino filosofo Sergej Nikolaevič Troubetzkoy, rettore dell’Università imperiale di Mosca, l’artista ottenne la cattedra di scultura alla Scuola di pittura, scultura e architettura dell’antica capitale russa. Convinto, però, dell’inutilità dell’insegnamento artistico, cercò di scoraggiare la pratica della copia dai calchi antichi, in linea con il bisogno, espresso nei suoi scritti editi postumi, di lasciarsi suggestionare dalla natura: «Selon moi le public ne devrait pas tȃcher de s’éduquer. Il devrait se laisser simplement emporter par les impressions qu’il reçut tout droit de la nature. Alors, suivant celle-ci, il pourrait reconnaitre dans les œuvres d’art quelles sont ceux qui donnent le plus ces mȇmes jouissances et ce mystère qui existe dans la nature» (Scritti inediti..., 1988, pp. 17 s.).
L’anno dopo, l’incontro a Jasnaja Poljana con Lev Tolstoj, già amico di famiglia di vecchia data, fu decisivo per la sua conversione ai principi dell’umanitarismo e del vegetarianismo. A quest’ultimo, più che alla religione protestante cui fu educato, improntò infatti la propria vita e attività artistica, come sottolineò il primo biografo Raffaello Giolli (1913, pp. 6 s.).
Negli anni russi si accostò altresì a pittori come Valentin Serov e Il′ja Repin, con i quali condivise l’interesse per il ritratto e alcuni committenti dell’alta società. Effigiò infatti in questo periodo molti nomi illustri della politica e dell’aristocrazia russe (oltre a Tolstoj, i granduchi Pavel e Andrej Vladimirovič, il ministro conte Sergej Witte, il principe Lev Galitzin e alcuni membri della famiglia Romanov). Nel 1900 arrivò la definitiva consacrazione: all’Esposizione universale di Parigi, in cui fu presente sia nel padiglione russo sia in quello italiano, il suo Tolstoj a cavallo in bronzo ottenne il Grand prix e fu acquistato dallo Stato francese per il Musée du Luxembourg (oggi al Musée d’Orsay). Lo stesso anno, all’apice della fama, decise di prendere parte al concorso, bandito nel 1889, per un monumento allo zar Alessandro III a SanPietroburgo.
In base al programma, lo zar doveva essere raffigurato assiso in trono; Troubetzkoy, tuttavia, solo in uno dei bozzetti preparatori rispettò le norme del concorso. Nell’altro, apprezzato dalla zarina vedova Maria Feodorovna, preferì rappresentare il monarca a cavallo, in atteggiamento marziale: quest’ultimo progetto fu prescelto per la realizzazione monumentale dal ministro delle Finanze russo Witte.
Dopo le dimissioni dall’accademia moscovita, lo scultore si trasferì così a San Pietroburgo (1901), dove al civico 141 della Staro-Newsky Prospekt fu costruito per lui un apposito studio-padiglione, collegato alla piazza da una ferrovia personale. L’ostilità degli artisti locali, i ripetuti cambi di programma e il concomitante scoppio della guerra russo-giapponese ritardarono il completamento del monumento pietroburghese, la cui inaugurazione avvenne solo nel 1909. Nel frattempo, nel 1901 Troubetzkoy aveva sposato la svedese Elin Sundström, conosciuta pochi anni prima a Stoccolma, da cui aveva avuto l’unico figlio Pierre, morto prematuramente.
I primi sintomi della crisi politica russa lo spinsero al nomadismo, prima in Finlandia, poi a Milano, infine a Parigi, dove si trasferì in pianta stabile dal dicembre del 1905, alternando gli atelier in rue Gutenberg e in rue Weber. Nel periodo parigino la cifra stilistica dello scultore poté definirsi in maniera più nitida grazie al confronto diretto con Auguste Rodin – frequentato nell’ambito della Société nouvelle de peintres et de sculpteurs – e con pittori come Albert Besnard, Jacques-Émile Blanche, John S. Sargent e Giovanni Boldini. L’andamento picchiettato e i vigorosi colpi di spatola del periodo milanese iniziarono a cedere il passo a una stesura più fluida e levigata, sensibile, specie nei ritratti femminili, al linearismo liberty. Parallelamente si ampliò l’arco tipologico dei ritratti: accanto a quelli a mezzo busto, a erma e alle statuette di piccole dimensioni, lo scultore modellò figure intere a grandezza naturale, come il bronzo Mia moglie (1911, Roma, GNAM). All’inizio del secolo, soprattutto a Parigi, possedere un ritratto eseguito da Troubetzkoy divenne un elegante status symbol. Oltre a personalità in vista nel milieu artistico e letterario (Rodin, Besnard, Paul César Helleu, Anatole France e, a Londra nel 1908, George Bernard Shaw), posarono per lui in questo periodo i baroni Henri e Robert de Rothschild, e il conte Robert de Montesquiou, noto dandy proustiano. Negli anni seguenti, segnati da alcune difficoltà nell’affermazione sul piano monumentale, si andò consolidando la sua fama di scultore di piccole dimensioni per un pubblico di privati.
Nella primavera del 1910 la partecipazione al concorso per un monumento allo zar Alessandro II a San Pietroburgo si concluse con esiti negativi a causa dell’ostilità degli ambienti artistici russi. Viceversa, su invito di un ricco collezionista newyorkese, Archer Milton Huntington, presidente e fondatore dell’Hispanic and numismatic society, nel 1911 Troubetzkoy partecipò, eccezionalmente, a un’esposizione di arte spagnola a New York, inaugurando la feconda stagione ‘americana’ della propria carriera (1911-21). Dopo l’esordio newyorkese seguirono mostre a Buffalo (1911), Chicago, St. Louis e Toledo (1912), Philadelphia (1915), Detroit (1916), Los Angeles e San Francisco (1917). Mentre in Italia Giolli (1912) lanciava un appello perché lo scultore venisse valorizzato con una sala personale alla Biennale veneziana del 1914, in America l’attenzione, nelle sue opere, per «the glance of the eye», reso in tutta la «vitality and grace» (Borgmeyer, 1911, pp. 17, 32), gli assicurava facili incarichi da parte della upper class (tra cui le famiglie McCormick, Crane, Rockefeller). Nel 1919 l’artista vinse il concorso per il monumento alla memoria del generale Harrison Gray Otis da erigersi a Los Angeles. Lo studio che fece costruire in un terreno comprato a Hollywood divenne meta popolare di celebri stelle del cinema, in seguito ritratte (Mary Pickford, Douglas Fairbanks sr, Sessue Hayakawa, Charlie Chaplin).
Al termine del primo conflitto mondiale, Troubetzkoy poté rientrare definitivamente in Europa. Nella nuova villa affittata nel sobborgo parigino di Neuilly-sur-Seine continuò a lavorare freneticamente per esposizioni da tenere in varie città (Milano, Parigi, Roma, Venezia, Alessandria d’Egitto e Il Cairo), passando la stagione estiva nella Ca’ Bianca di Suna (Verbania), fatta costruire nel 1912. Il periodo tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta fu caratterizzato da prestigiose commissioni ritrattistiche (tra cui si annoverano quelle di importanti capi politici: Eleuthèrios Venizèlos, Georges Clemenceau, Benito Mussolini), ma fu anche funestato da dolorosi lutti familiari (la moglie Elin nel 1927 e quattro anni dopo il fratello Pierre), da un matrimonio fallito sul nascere con una donna inglese (Rhoda Muriel Marie Boddam) e da un’incipiente forma di anemia che gli impedì di partecipare alla vita artistica e sociale.
Restio, fino alla fine, ad accettare medicine prodotte con sostanze animali, morì nella villa di Suna il 12 febbraio 1938.
Fonti e Bibl.: Gran parte della documentazione sullo scultore si conserva nell’Archivio del Museo del paesaggio di Verbania, presso cui si trova la gipsoteca dell’artista.
V. Pica, Artisti contemporanei: P. T., Emporium, XII (1900), 67, pp. 3-19; C.L. Borgmeyer, Prince P. T. Sculptor, Fine arts journal, XXV (1911), 1, pp. 2-33; R. Giolli, Per la mostra a Venezia delle opere di T., in L’Italia, 8 agosto 1912; Id., P. T., Milano [1913]; L. Troubetzkoy, P. T. nel Museo di Pallanza, Milano 1952; J.S. Grioni, P. T., il principe scultore, in Arte illustrata, IV (1971), 41-42, pp. 34-39; Id., Studi sul T.: i due monumenti russi, ibid., VI (1973), 54, pp. 271-277; Id., Le sculpteur T., parisien d’élection, in Gazette des beaux-arts, s. 6, CV (1985), pp. 205-212; R. Bossaglia - P. Castagnoli, P. T. scultore, Intra 1988; Scritti inediti di P. T., in Verbanus, IX (1988), 9, pp. 17-21; P. T. (catal., Verbania-Pallanza), a cura di G. Piantoni - P. Venturoli, Torino 1990; F. Guardoni - L. Negri, Vita e arte di P. T., lo scultore principe, in Tracce, XVIII (1998), 23, pp. 5-12; P. T., i ritratti (catal., Luino), a cura di S. Rebora, Milano 1998; P. T., la collezione del Museo del paesaggio (catal.), a cura di F. Rabai - R. Troubetzkoy Hahn, Verbania 2017.