PAULUCCI DELLE RONCOLE, Enrico
– Nacque a Genova il 13 ottobre 1901 da Paolo, colonnello di fanteria, e Amalia Mondo.
Terzo e ultimo figlio di un marchese discendente da una nobile famiglia di origini emiliane dalla solida tradizione militare, compì gli studi classici presso il liceo Massimo d’Azeglio di Torino, dove la famiglia si era trasferita intorno al 1909, e nel 1920 si iscrisse alla Regia Scuola superiore di studi applicati al commercio. I suoi interessi tuttavia si stavano già orientando verso la pittura, stimolati dall’incontro con i pittori Rubaldo Merello ed Enrico Sacchetti durante i soggiorni estivi a Santa Margherita Ligure (Enrico Paulucci, 1979, p. 16). Esordì nel 1923 con un’opera alla Quadriennale di Torino e alla LXIX Promotrice di belle arti di Genova, manifestando fin da subito un’istintiva predilezione per la pittura di paesaggio. Dottore in scienze economiche e commerciali nel 1924, adempiuti gli obblighi di leva, tra il 1925 e il 1926 fu vicino al gruppo futurista torinese, con il quale partecipò alla Mostra futurista di Torino del maggio 1926.
Ammesso nel marzo 1926 alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, dove si era iscritto per assecondare il padre che non vedeva di buon occhio queste sue inclinazioni artistiche, si laureò il 14 luglio 1927 con una discussione sul diritto d’autore applicato alle arti figurative. In questo periodo entrò nell’orbita di Felice Casorati, cui rimase legato per tutta la vita da profonda amicizia, avvicinandosi all’ambiente artistico torinese più vitale di quegli anni: oltre a frequentare Riccardo Gualino e Lionello Venturi, strinse amicizia con Carlo Levi, Gigi Chessa, Francesco Menzio, Alberto Sartoris, Mario Soldati e, dal loro arrivo a Torino, con Edoardo Persico e Luigi Spazzapan. All’inizio del 1928 compì un decisivo viaggio a Parigi, dove si stabilì per qualche tempo in rue Falguière insieme a Menzio, per aggiornarsi e fare esperienza diretta della pittura impressionista e postimpressionista. Lo stesso anno un suo dipinto fu ammesso alla Biennale di Venezia. Nel gennaio del 1929 con l’esposizione alla sala d’arte Guglielmi di Torino, insieme a Jessie Boswell, Chessa, Nicola Galante, Levi, Menzio, con il sostegno di Persico e la tutela di Venturi, diede il via al sodalizio dei Sei pittori.
Paulucci, come il resto del gruppo, proponeva opere inscritte nel segno antiretorico di un lirismo sommesso e pacato, dipinti e guazzi dedicati per la maggior parte ai paesaggi liguri e piemontesi a lui familiari (alternava infatti la residenza a Torino a lunghi soggiorni estivi a Rapallo e presso la città materna di Montegrosso d’Asti, mete che gli rimasero care tutta la vita), come l’olio Paese sotto la neve (1928, Torino, Galleria d’arte moderna [GAM]) o il guazzo Passeggiata a mare (1930, Milano, Castello Sforzesco, Gabinetto dei disegni e delle stampe), senza trascurare la natura morta (Esercizio, 1930, Torino, GAM) e alcune prime incursioni in ritratti di carattere intimista (Orsolina, 1930, Torino, Fondazione De Fornaris). In queste opere è evidente un dialogo stretto con la coeva produzione di alcuni membri del sodalizio (Chessa, Levi e Menzio) insieme all’influenza del soggiorno parigino e di artisti che erano passati attraverso l’esperienza fauve: ne derivò un uso più esperto del segno grafico e del colore, in dissonanza rispetto agli esiti dei novecentisti e della scuola casoratiana.
Fu tra i più attivi componenti dei Sei, anche quando il gruppo andò incontro a un progressivo sfaldamento, e partecipò a diverse collettive, come la mostra presso la Bloomsbury Gallery di Londra nel novembre-dicembre 1930 e l’esposizione alla Galleria di Roma nel gennaio 1931 con Menzio e Levi, e contemporaneamente la I Quadriennale di Roma insieme a Galante, Levi e Menzio. Con la mostra del dicembre 1931 presso la galleria parigina Jeune Europe, presenti Chessa, Levi e Menzio, l’esperienza dei Sei poteva considerarsi conclusa.
In questi anni affiancò all’attività di pittore quella di critico pubblicando svariati interventi su riviste come L’Illustrazione del popolo, Le Arti plastiche e, soprattutto, La Casa bella. Essi riflettevano uno spiccato interesse anche nei confronti delle arti decorative e dell’architettura, confortato dalla vicinanza agli esponenti del razionalismo milanese e soprattutto torinese, come Giuseppe Pagano Pogatschnig, Ettore Sottsass Jr, Gino Levi Montalcini, Umberto Cuzzi, oltre all’amico Persico e a Sartoris.
Su La Casa bella, di cui fu punto di riferimento per Torino e Genova nel biennio 1930-31, pubblicò numerosi articoli tra il 1929 e il 1931 dedicati anche all’analisi di un’architettura d’interni di gusto razionalista che si rifletteva negli arredamenti da lui stesso progettati e che Persico sulla stessa rivista definiva una «lezione di misura» (P. arredatore, 1931). Fu ancora una volta Persico a segnalare il «gusto prettamente moderno» (Arredamento di un film, 1931) delle scenografie realizzate a Roma nell’estate del 1931 da Paulucci insieme a Levi, su incarico della Cines, per il film Patatrac del regista Gennaro Righelli.
Negli anni Trenta Roma divenne per l’artista un punto di riferimento alternativo e influente. Se già nei guazzi eseguiti durante la missione a Malta, dove fu invitato dall’Istituto italiano di cultura insieme a Raffaele De Grada e Donato Frisia agli inizi del 1932, affiorava una «densa compattezza di colori e più costruttività» (Enrico Paulucci, 1979, p. 21) e alla Biennale del 1932 emergeva una maggiore plasticità rispetto alla precedente produzione, alla seconda Quadriennale del 1935, dove gli fu assegnata una sala personale, i ventitré dipinti esposti testimoniavano l’evoluzione avvenuta a contatto con l’ambiente della Scuola romana in cui era evidente un crescente interesse verso una ritrattistica di carattere introspettivo, con una predilezione per il soggetto femminile che mai lo abbandonò (La bella del molo, coll. priv.). Sempre a Roma, presentato dall’amico Alberto Moravia, espose nel maggio 1938 alla galleria La Cometa diretta dal poeta Libero de Libero, mentre nel 1939 partecipò alla terza Quadriennale con tredici opere dove, in particolar modo nei dipinti di figura, emergeva la saldezza costruttiva maturata in quegli anni (Iamurri, 2004, p. 62).
Presente a tutte le edizioni del premio Bergamo (1939-1942), vinse nel 1941 un premio di II grado con Le Langhe a Bossolasco.
Furono occasione di numerosi incontri anche i lunghi soggiorni estivi a Rapallo, dove l’artista abitava nella villa Il Pennello da lui progettata agli inizi degli anni Trenta (Omaggio a P., 1996, p. 18): oltre a Moravia, ebbe modo di conoscere, tra gli altri, Ezra Pound, Luciano Anceschi e i pittori Oskar Kokoschka e Rudof Levy (Paulucci, 1982, p. 17).
Non mancarono durante tutti gli anni Trenta esperienze che esulassero dal mero fatto pittorico. Nel 1932, insieme al pittore romano Antonio Barrera, progettò per la Mostra della rivoluzione fascista l’allestimento della sala dedicata a ‘Lo spirito fascista - La bibliografia fascista’ e le aree comuni destinate ai servizi, ambienti che rispecchiavano le soluzioni razionaliste già adottate nel film Patatrac (Andreotti, 1989, pp. 203-206). Nel 1933 partecipò alla V Triennale di Milano, oltre che con una pittura murale di soggetto balneare, contribuendo alla Sala d’Estate realizzata insieme a Ottorino Aloiso, Chessa, Cuzzi, Gino Levi Montalcini, Pagano, Sottsass Jr e Carlo Turina. Fu poi coinvolto ancora in qualità di scenografo per il film della torinese Fert La contessa di Parma del 1937 del regista Alessandro Blasetti.
Anche se perfettamente inserito nel circuito espositivo locale, regionale e nazionale, in quanto membro del Sindacato fascista di belle arti, non mancò egli stesso di offrire spazi alternativi per l’arte contemporanea nella Torino degli anni Trenta. Tra il 1934 e il 1935 nello studio che condivideva con Casorati, in via Giulia di Barolo 2, si alternarono pittori delle più diverse tendenze, compresi, nel marzo del 1935, gli astrattisti della galleria del Milione di Milano. Sempre al fianco di Casorati replicò l’iniziativa dando vita nel 1938 alla galleria La Zecca, in via Verdi 15, che dopo l’esposizione inaugurale nel marzo del 1938 della collezione d’arte italiana contemporanea di Alberto Della Ragione vide l’avvicendarsi di numerosi pittori italiani. Nel biennio 1941-42 coordinò la sede torinese del Centro d’azione per le arti.
Con decreto del 16 ottobre 1940 gli fu assegnata per chiara fama dal ministro Giuseppe Bottai una cattedra di pittura all’Accademia Albertina.
Al suo arrivo introdusse una nuova attenzione nei confronti degli sviluppi dell’arte più recente, mentre nei corsi da lui tenuti, oltre a fornire le basi tecniche agli allievi, si preoccupò di assecondarne le personali inclinazioni affinché la loro «personalità abbia a svilupparsi nel più naturale e libero dei modi» (Torino, Archivio Accademia Albertina, Programmi d’insegnamento. Anno 1950-1951).
Gli importanti studi monografici dei primi anni Quaranta che riassumevano il percorso dell’artista sottolineavano una «devozione» (Rossi, 1944) e una «fedeltà» (Galvano, 1942) nei confronti dell’opera di Cézanne, come è evidente nel Ritratto di uomo seduto. Mattia Moreni (1942, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), un’ascendenza ribadita anche nella presentazione della sua personale alla galleria La Bussola di Torino di Giulio Carlo Argan (1946), al quale era legato da decennale amicizia. Fu tuttavia nel secondo dopoguerra, alla luce dei dibattiti coevi tra astrattismo e realismo, che la sua pittura andò incontro a un nuovo mutamento. Questa ricerca si manifestò con la rinuncia alla tavolozza impastata del decennio precedente e con un uso più sintetico del colore, steso a campiture quasi piatte, che nelle nature morte e nelle figure femminili ‘narrate’ in interni sfociava in esiti non immuni da neopicassismo (Camera del Cornomanno, 1947, coll. priv.). Parallelamente si mosse verso una sempre maggiore astrazione dal dato naturale nei paesaggi liguri e delle Langhe a lui tanto familiari riscontrabile sia nei dipinti e nella rinnovata pratica del guazzo, sia nelle acqueforti. Nel presentare la sala destinatagli dalla Biennale veneziana del 1954 Giuseppe Marchiori si riferiva efficacemente a queste opere di matura «sintesi pittorica» come costruite attraverso il «metodo delle pezzature a intarsio» (Marchiori, 1954), evidente, ad esempio, nella Festa notturna (1954, Genova, Museo d’arte contemporanea Villa Croce). Nella stessa occasione Venturi inseriva Paulucci nel gruppo degli ‘astratto-concreti’, posizione nella quale l’artista stesso poco più tardi si riconobbe (Sauvage, 1957, p. 334). Nelle opere presentate alla Quadriennale del 1959, nella monografia di Argan (1962) e nella sala personale alla Biennale del 1966 l’allusività all’ambiente naturale si era infine ridotta «al puro rapporto cromatico», dove l’artista procedeva organizzando «topografie cromatiche sulle due dimensioni» (Enrico Paulucci, 1979, pp. 25 s.) e le «tarsie» si liquefacevano (Liguria, 1961, coll. priv.).
In quest’ultima occasione Aldo Bertini registrava, sulla scia di Argan (1962), come nella produzione di Paulucci più recente «si alternano dipinti ove l’evocazione dell’oggetto lascia forti tracce, con altri in cui diventa inafferrabile» (Bertini, 1966), caratteristiche che ben descrivono anche gli esiti successivi, soprattutto nella pittura di paesaggio, che « ritorna al naturalismo, ma con tutta l’esperienza precedente» (Enrico Paulucci, 1979, p. 26).
Nel 1979 gli fu dedicata un’importante retrospettiva a cura di Marco Rosci, ancora fondamentale punto di riferimento per lo studio dell’artista. Continuò a dipingere e a presentare le proprie opere in numerose esposizioni anche durante tutti gli anni Ottanta e Novanta.
Nel dopoguerra non mancò di interessarsi anche al teatro, progettando diverse scenografie, come quella realizzata nel 1952 per la Favola del figlio cambiato di Gian Francesco Malipiero e Luigi Pirandello con la regia di Giorgio Strehler (Venezia, Festival internazionale di musica contemporanea La Fenice).
Numerosi gli incarichi ricoperti nel corso della carriera: direttore (1954-1972) e poi presidente (1977) dell’Accademia Albertina; presidente esecutivo del Comitato italiano dell’Associazione arti plastiche dell’UNESCO (1963); membro (1953) e poi presidente (1993-94) dell’Accademia di S. Luca e dell’Accademia delle arti e del disegno di Firenze (1985). Fece parte del Consiglio superiore di antichità e belle arti del ministero della Pubblica Istruzione. Tra i premi si ricordano: il premio Golfo La Spezia (1951), il premio Michetti (1955), il premio Città di Jesi (1980), il premio Pannunzio (1993). Nel 1963 gli fu assegnata la medaglia d’oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte.
Morì a Torino il 22 agosto 1999, pochi mesi dopo la moglie Teresa Maccagno che aveva sposato nel 1939, e fu sepolto a Montegrosso d’Asti.
Fonti e Bibl.: Torino, Archivio storico dell’Università: E. Paulucci, Diritti Morali dell’autore in punto alle arti figurative, tesi di laurea, facoltà di giurisprudenza, 1927; Torino, Archivio dell’Accademia Albertina di Belle Arti, AABA TO76, Programmi 1924-1951, AABA TOII 303, Paulucci Prof. Enrico; E. Persico, P. arredatore, in La Casa bella, maggio 1931, n. 41, pp. 20-26 (poi in E. P. (catal.), 1979, p. 173); Leader [E. Persico], Arredamento di un film, in La Casa bella, ottobre 1931, n. 46, pp. 22-36 (poi in L. P. (catal.), 1979, pp. 174 s.); A. Galvano, E. P., Roma 1942 (poi in E. P. (catal.), 1979, pp. 87 s.); A. Rossi, E. P. pittore, Genova, s.d. [ma 1944] (con bibl.); G.C. Argan, Presentazione, in Mostra del pittore E. P. (catal.), Torino 1946 (poi in E. P. (catal.), 1979, p. 92); G. Marchiori, E. P., in La Biennale di Venezia (catal.), Venezia 1954 (poi in E. P. (catal.), 1979, pp. 108 s.); E. Paulucci, I sei di Torino (Conferenza tenuta nell’Università di Torino nel 1956), in Il Verri, dicembre 1958 (poi in E. P. (catal.), 1979, pp. 42-45); A. Sauvage [R. Schwarz], Pittura italiana del dopoguerra (1945-1957), Milano 1957, pp. 333 s.; G.C.Argan, E. P., Torino 1962 (con bibl); E. Persico, Tutte le opere (1923-1935), a cura di G. Veronesi, I, Milano 1964, pp. 356-371; Archivi dei sei pittori di Torino, a cura di A. Bovero, Roma 1965; I Sei di Torino: 1929-1932 (catal.), a cura di V. Viale, Torino 1965; A. Bertini, E. P., in 33a Biennale internazionale d’arte (catal.), Venezia 1966 (poi in E. P. (catal.), 1979, p. 129); E. Paulucci, Frammento autobiografico (circa 1960), in E. P. (catal.), a cura di M. Rosci, Torino 1979, pp. 29 s.; E. P. (catal.), a cura di M. Rosci, Torino 1979 (con aggiornamento bibliografico); P. (catal., Jesi), a cura di P. Dragone, Jesi 1980 (con aggiornamento bibliografico); E. Paulucci, P. racconta, in Notizie d’arte, VII (1982), pp. 14-17; L. Andreotti, Art and politics in fascist Italy. The exhibition of the fascist revolution (1932), Ph.D. diss., MIT, 1989, pp. 203-206; P. Paulucci, Alla corte di re Umberto. Diario segreto, a cura di G. Calcagno, Milano 1986 (con prefazione di E. Paulucci); F. Fergonzi, in La pittura in Italia. Il Novecento/1, II, Milano 1992, pp. 1010 s.; I Sei di Torino (catal., Torino), a cura di M. Bandini, Milano 1993; Omaggio a P. (catal., Torino-Ginevra), a cura di M. Bandini, Milano 1996 (con bibl.); Arte e cinema. Torino 1930-1945 (catal., Torino), a cura di M. Vescovo, Milano 1997, pp. 20 s.; M.C. Maiocchi, «Parigi amica», 1930. Venturi, i Sei e Parigi: ipotesi e prospettive, in Lionello Venturi e la pittura a Torino (1919-1931), a cura di M.M. Lamberti, Torino 2000, pp. 191-213; P. Vivarelli, Il gruppo dei Sei di Torino, ibid., pp. 161-189; D. Cammarota, in Dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, II, Firenze 2001, pp. 847-848; L. Iamurri, Levi, P. e gli altri. Presenze torinesi alla Quadriennale, in Cultura artistica torinese e politiche nazionali, 1920-1940 (catal., Roma 2004-2005), a cura di M. Cossu - C. Michelli, Milano 2004, pp. 58-65; Il gruppo dei Sei e la pittura a Torino (catal., Settimo Torinese), Torino 2005; L. Ventavoli, Conversazioni con E. P., in Contessa di Parma: la modernità a Torino negli anni Trenta, a cura di F. Prono - S. Della Casa, Roma 2006, pp. 147-166; E. P. Se non dipingo non sono (catal., La Spezia), a cura di L. Riccio - M. Ratti - P. Spagiari, Milano 2009 (con bibl.); E. P. Una fuga in avanti (catal., Acqui Terme), a cura di A.F. Carozzi, Genova 2013.