ΡAUΝI
Località del Maharashtra (India) sita 80 km a SE di Nagpur, nella regione a S dei monti Vindhya nota in antico come Vidarbha. Nel 1969-70 vennero portati alla luce due grandi stūpa buddhisti, la produzione scultorea del più antico dei quali mostra uno stretto legame con l'arte di Bhārhut. L'area sacra e l'insediamento urbano da cui dipendeva, non esplorato ma verosimilmente situato nel luogo dell'attuale P., si trovano lungo il corso della Vaingañga (affluente di sinistra della Godāvarī) a metà percorso tra Bhārhut e il bacino inferiore della Krishna, dove sorgevano, attorno alla città di Dharanikotā, mumerosissimi insediamenti buddhisti (Amarāvatī, Vaddamanu, ecc.). Sarebbe tuttavia un errore considerare P. come una sorta di stazione intermedia nell'espansione del Buddhismo antico, e non piuttosto come un insediamento integrato in una fitta rete di siti, che in buona parte non conosciamo. La presenza di un editto su roccia di Aśoka a Deoṭek sottolinea, con P., l'importanza del Vidarbha già in epoca maurya.
Lo scavo del Jagannātha ṭekrī, disturbato da gravi espoliazioni e dalla costruzione del tempio dedicato a Viṣṇu Jagannātha, portò alla luce uno stūpa vissuto tra il IV sec. a.C. e il III-IV sec. d.C., e ha fornito importanti indicazioni su quelle che possono essere state le vicende costruttive dello stūpa di Bhārhut, non più esistente. Nella sua prima fase costruttiva il monumento, costruito con mattoni cotti di 40 x 30 cm, aveva un diametro di c.a 38 m. Un primo ingrandimento, ottenuto costruendo intorno all’aṇḍa una fodera con tecnica ad alveare, è associato a buche di palo del diametro di 16 cm relative forse a una prima balaustra lignea che delimitava il pradakṣināpatha o cammino processionale. Una seconda fodera portò il diametro dello stūpa a 41,2 m: essa era associata a un anello formato da cinque corsi di mattoni che reggeva una nuova balaustra lignea. Questi livelli sono associati a frammenti di «Ceramica nera polita del Nord» (NBPW, Northern Black Polished Ware, vasellame pregiato qui documentato con piatti e ciotole), alla ceramica nera e rossa e a quella grigia (va notato che frammenti di NBPW sono stati rinvenuti anche ad Amarāvatī in livelli assegnati, per mezzo di datazioni assolute, al IV sec. a.C.).
Il pradakṣināpatha fu completamente rinnovato intorno al 100 a.C. per mezzo di una pavimentazione in pietra posta sopra il battuto precedente e la costruzione di due balaustre, esse pure in pietra: interna l'una, accanto all’aṇḍa, esterna l'altra. I pilastri della balaustra interna, in origine un centinaio, posti alla distanza di 1,10 m l'uno dall'altro, sono a sezione esagonale dallo spiccato in su, e uniti in cima da elementi orizzontali bombati. Alcuni di essi sono scolpiti a bassorilievo sul lato meglio visibile a chi compiva il rituale, quello p.es. con l'immagine dello yakṣa Kharamukha, stante in abhayamudrā sotto un archetto «a caitya», vestito di un pesante panneggio. La balaustra esterna era invece formata da pilastri ottagonali posti alla distanza di ι m, fondati per 90 cm e alti m 1,35 dallo spiccato. In taluni casi, tre delle facce interne sono scolpite in bassorilievo con immagini di devoti, la rappresentazione di uno stūpa sormontato da harmikā, il simbolo noto come nandyāvarta e ombrello, del dharmacakra («ruota della legge») all'interno di un sacello (caityagṛha), dell'albero dell'Illuminato entro un recinto oltre il quale stanno i devoti, del serpente Mucaliṇḍa che protegge il trono dell'Illuminazione (ma in realtà lo stesso Buddha, non rappresentato in forma antropomorfa); e così via. Non vi sono, come invece a Bhārhut, scene rappresentanti episodi della vita del Buddha o jātaka (vite precedenti), ma va considerato il fatto che la maggior parte della decorazione scultorea è andata dispersa. I pilastri erano sormontati da elementi bombati e connessi da barre (sūcī). Questi elementi architettonici hanno brevi iscrizioni che ricordano - come a Sāñcī - i nomi dei donatori: laici e, molto spesso, monaci e monache.
Lo scavo ha mostrato che esistevano quattro ingressi al pradakṣināpatha, posti ai quattro punti cardinali e tali da formare, a causa della loro forma a «L», uno svāstika levogiro che, come già a Bhārhut, indicava l'orientazione polare, ovvero il girare del firmamento intorno al polo celeste: l'asse del stūpa coincideva con l'asse polare.
L'ultima fase dello stūpa risale al periodo ksatrapa (I-II sec. d.C.; da P. proviene un'iscrizione dovuta allo Kṣatrapa Rupiāmma). Il monumento non venne ulteriormente ingrandito, ma di tanto in tanto restaurato. Il nuovo, occasionale materiale scultoreo appare di qualità inferiore a quello del I sec. a.C. La ceramica associata a questa fase è quella rossa dipinta, e la tipica ceramica rossa polita di questo periodo, ben nota a Ν dei Vindhya. Lo stūpa del Jagannātha ṭekrī sembra esserci giunto in così povero stato poiché le espoliazioni furono favorite dalla sua distruzione violenta intorno al 300 d.C.
A 2 km a S sorge l'altro grande stūpa di P., il Chāṇḍakāpura ṭekrī. L'area intermedia, che non si poté esaminare, è forse il luogo in cui sorgevano i monasteri. Questo secondo monumento fu costruito in epoca kṣatrapa alternando file di grandi mattoni cotti (55 x 37 cm) a file di mattoni di uguali misure, ma crudi; ha le stesse dimensioni dell'altro stūpa (diam. 41,60 m), ma è privo di qualsivoglia decorazione. Un saggio condotto al centro del monumento rivelò la presenza, sotto il corso più basso di mattoni formanti l’aṇḍa, di una camera a pianta triangolare con la base in alto (3,80 m) e con l'apice a 1,75 m più in basso. Vi furono rinvenuti i frammenti di un vaso di ceramica rossa a fasce dipinte usato come reliquiario, e contenente infatti ossa umane. Venne osservato l'alloggiamento di un'asta lignea che partiva dall'apice della camera triangolare, che costituiva l'asse del monumento (yūpa e yaṣṭī: v. stūpa).
Bibl.: S. B. Deo, J. P. Joshi, Pauni Excavation (1969-70), Nagpur 1972.