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PAUPERIES

di Vincenzo ARANGIO-RUIZ - Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)
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PAUPERIES

Vincenzo ARANGIO-RUIZ

. È nelle fonti giuridiche romane, il danno prodotto da un animale (quadrupede) a persona diversa dal suo proprietario.

Se pure vi è stata anche in Roma una tendenza primitiva a considerare passibile di vendetta l'animale stesso, certo fin dai primi tempi della repubblica il mezzo giudiziario attribuito alla vittima (actio de pauperie) s'ispirava esclusivamente al criterio della responsabilità del padrone: questo aveva però la facoltà di evitare la condanna in danaro trasferendo all'attore la proprietà dell'animale. L'azione, che non presuppone una colpa del proprietario, sembra tuttavia essere stata esperibile in diritto classico soltanto contro quello a cui l'animale apparteneva al momento del fatto, e ciò anche se in seguito fosse morto o fosse stato trasferito ad altri. Queste regole sono però molto incerte, perché nella compilazione giustinianea i testi, probabilmente rimaneggiati, s'ispirano piuttosto a un'identificazione del danno prodotto dagli animali coi delitti dei servi, onde il regime dell'actio de pauperie è avvicinato a quello delle azioni nossali, in specie per quanto riguarda la massima noxa caput sequitur.

Nei testi della compilazione sembra data inoltre grande importanza a una distinzione secondo che l'animale abbia agito in conformità della sua propria indole o contra naturam; anzi vi è qualche passo da cui sembrerebbe risultare (forse senza l'intenzione dei compilatori stessi, ma per ricuciture mal riuscite) che soltanto nella seconda ipotesi l'a. de pauperie spettasse. In verità, i criterî dei classici erano assai diversi. Da una parte, essi distinguevano il danno arrecato da animali normalmente mansueti da quello prodotto da belve: quest'ultimo era contemplato dall'Editto degli edili curuli, che fissava gravi penalità a carico di chi tenesse fiere in modo da creare un pericolo pubblico, e peggio ancora se danni alle persone si fossero prodotti. Inoltre i classici distinguevano secondo che l'animale avesse cagionato il danno per suo proprio vizio (p. es., equus calcitrosus) o per circostanze estranee, imputabili al padrone o ad un terzo o alla stessa vittima o a fenomeni naturali: mentre l'actio de pauperie aveva propriamente luogo nel primo ordine di casi, altrove si poteva pensare o a una spettanza dell'a. legis Aquiliae, almeno come a. utilis, contro chi avesse aizzato l'animale, o per converso ad esonero da ogni responsabilità.

Ai casi in cui il danno fosse stato cagionato da animali non quadrupedi il pretore provvedeva con formule adattate ai casi concreti (aa. de pauperie utiles).

Bibl.: M. Zimmern, Das System der römischen Noxalklagen, Heidelberg 1818; F. Haymann, Zur Haftung für Tierschaden, in Zeitschr. der Savigny-Stift., XXXXII (1921), p. 357 segg.; B. Biondi, Actiones noxales, Cortona 1925, p. 3 segg.; U. Robbe, L'actio de pauperie, in Riv. ital. per le sc. giur., n. s., VII (1932); J. K. Wylie, A. de pauperie, in Studi in onore di S. Riccobono, Palermo 1936, p. 459 segg.

Vedi anche
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