Vedi PAUSIAS dell'anno: 1963 - 1996
PAUSIAS (Παυσίας, Pausias)
Pittore greco di Sicione, figlio e discepolo di Bryes, poi allievo di Pamphilos di Amphipolis, visse all'incirca fra il 380 e il 330 a. C. Fu uno dei più illustri nomi di quella scuola sicionia di pittura che, in opposizione alla coeva scuola attica (o tebana) dei novatori, era la conservatrice accademica della tradizione del disegno, della simmetria, della dignità, prediligeva lo smalto lucente delle tinte e le ocre acute, intendeva l'arte come scienza e imponeva un lungo discepolato, insegnando la matematica.
Intorno a P. è Plinio il Vecchio (Nat. hist., xxi, 4; xxxv, 123-126) la fonte precipua di notizie, Vagliate le quali l'odierna critica è riuscita, se non a ricostruire i quadri di questo maestro, almeno a circoscrivere qualcuno dei problemi da lui e dall'arte del suo tempo agitati. Seguendo l'insegnamento di Pamphilos, P. perfezionò la tecnica dell'encausto (v.) che, per merito suo, acquistò la capacità di rendere i colori vivaci e freschi onde, diventata particolarmente. idonea ad effigiare la varietà dei fiori, doveva produrre nei suoi risultati finali effetti non dissimili da quelli della moderna pittura ad olio, con in più un complesso e inusitato gioco di trasparenze. Pausiaca tabella (Horat., Sat., ii, 7, 9) cioè pitture su tavolette lignee di piccolo formato dovettero essere, per la maggior parte, le opere di P., perché la tecnica faticosa e lenta dell'encausto non consentiva d'impegnarsi a dipingere grandi superfici. Un quadretto eseguito con tale tecnica sarà stato quello della Stephaneplòkos (intrecciatrice di corone) o Stephanepòlos (venditrice di corone), cioè di una figura femminile seduta (dalla fonte di Plinio data come il ritratto di Glicera, amante di P.) con una ghirlanda di fiori. Una copia - fatta da un certo Dionysios (o, secondo un'altra lettura del testo pliniano, esposta durante le feste dionisiache) - fu comprata per due talenti da L. Lucullo, quando visitò Atene come questore di Silla nell'88-87 a. C. Dell'esistenza di questo quadro non è da dubitare, ma non è impossibile che il racconto relativo alla fioraia Glicera (nome tipico di cortigiane greche) inventrice delle corone floreali, amica e ispiratrice del pittore, sia stato un aneddoto etiologico per spiegare la produzione delle rappresentazioni floreali di P., delle quali un'idea può forse darci un pregevole mosaico della Villa di Adriano in Tivoli, rappresentante tre ghirlande di fiori e frutta, intrecciate con bende e corone, legate fra loro in alto e pendenti a piombo rigorosamente simmetriche. A tempera (tecnica da P. non preferita e nella quale perciò sarebbe rimasto inferiore alla sua fama), P. restaurò i dipinti murali di Polignoto in Tespie, probabilmente dopo la presa di questa città da parte di Alessandro nel 335 a. C. Dal fatto che per eseguire tale restauro fosse scelto proprio un colorista di prim'ordine quale P., si potrebbe indurre che la pittura polignotea doveva contenere colori forti e violenti. Secondo la tradizione, P. fu il primo a decorare con pitture soffitti a cassettoni, Varia e non ancor decisa è l'interpretazione del passo pliniano relativo a questo lato dell'attività pausiaca. Anzitutto è da intendersi "primo" non in senso assoluto ma, forse, relativamente agli edifici della Grecia propria, dato che già i cassettoni marmorei del Monumento delle Nereidi (circa 400 a. C.) a Xanthos in Licia erano dipinti prima di Pausias. Plinio parla di lacunaria (soffitti a cassettoni) e di camarae (vòlte), che mai prima di P. erasi usato decorare in tal modo; e subito aggiunge che P. dipingeva piccoli quadretti, per lo più fanciulli, uno dei quali, eseguito in un sol giorno, era detto Emereszo. Pausania (ii, 27, 3) ricorda due dipinti di P. - un Erote con lyra e Methe, cioè l'ebbrezza personificata, in atto di bere in una coppa di vetro, attraverso alla quale se ne vedeva il viso per trasparenza - esistenti nella tholòs del santuario d'Asklepios in Epidauro. Secondo la più comune opinione si sarebbe trattato di due piccole tavole applicate alle pareti oppure di due affreschi alle pareti. Ma altri, combinando fra loro i luoghi di Plinio e di Pausania, ha concluso che l'Erote e la Methe eran dipinti sul fondo della cupola insieme con figure di putti e che, se Pausania ne nomina solamente due mentre tace degli altri, è perché le due suddette figure avevano attirato particolarmente la attenzione del Periegeta o perché eseguite direttamente dal maestro o per l'insolito attributo dell'Erote e per la singolarità della rappresentazione della trasparenza del vetro. Altri ancora, distinguendo cassettoni da vòlte, ritiene che l'Erote e la Methe fossero figure a mezzo busto dipinte sul fondo di cassettoni del soffitto piatto del porticato ad anello della thòlos. Probabilmente P., pittore di putti, ha rappresentato anche il suo Erote lyricine come un bambino, mentre per l'innanzi il tipo artistico di questo dio era stato sempre quello di un adolescente; ed è probabile che proprio le creazioni pittoriche di P. siano state i lontani archetipi dei putti e delle ghirlande, temi prediletti dalla arte greco-romana. Un aspetto dell'arte pausiaca, ignorato dalla fonte di Plinio ma registrato da Ateneo (Deipnos., 13, 567 B), riguarda i quadri di soggetto osceno (se ne suppone una derivazione in una scena incisa su teca di specchio in Boston, certamente concepita sotto l'influsso delle forme stilistiche della pittura sicionia), genere già messo in voga da Parrasios e destinato a larga diffusione nel successivo periodo ellenistico. Eccezioni alla regola dei dipinti ad encausto di piccolo formato furon grandi tavole, fra le quali celebre l'Immolazione dei buoi (al tempo di Plinio esposta in Roma nel Portico di Pompeo), dove P. per la prima volta avrebbe raffigurato un bue di prospetto, ma in modo che se ne vedeva il corpo in tutta la sua grandezza. In realtà figure di quadrupedi, per esempio di cavalli, di pieno prospetto ne conosciamo da monumenti arcaici. Ma l'originalità di P., piuttosto che nello schema disegnativo, doveva essere nel tono e nel cromatismo, in quanto che mentre gli altri pittori modellavano per mezzo di chiazze bianche, risaltanti per contrasto con le zone scure, P., al contrario, modellò il bove nero su nero. Oscuro è questo passo di Plinio, il quale forse non capì la sua fonte greca, e neanche per noi è chiaro il procedimento tecnico usato da Pausias. Riflessi di quest'arte si sono voluti segnalare nel cavallo dell'estremità sinistra (rovinata) del grande mosaico d'Alessandro e nel leone di un mosaico campano tardoellenistico, ambedue nel Museo Nazionale di Napoli. Dopo la guerra mitridatica di Silla la città di Sicione, carica di debiti, dovette vendere all'asta le opere d'arte che la nobilitavano, fra cui i quadri di P., che furono acquistati dall'edile Scauro e trasferiti a Roma nel 59 a. C.
Bibl.: E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, II, pp. 731-734; F. von Lorentz, in Thieme-Becker, XXVI, 1932, pp. 317-318, s. v.; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, pp. 190-193; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1949, cc. 2417-2419, s. v.; R. Bianchi-Bandinelli, Storicità dell'arte classica, Firenze 1950, pp. 52-53.