paventare
Con il valore assoluto di " provar timore e smarrimento ", è attestato in If IV 17 Come verrò, se tu paventi / che suoli al mio dubbiare esser conforto?: l'Ottimo evidenzia l'assenza di una causa determinata, " hai paura d'alcuno futuro male ". Si noti che il soggetto espresso tu ha ufficio intensivo, oltre che per la relativa che segue, in quanto proprio Virgilio aveva (II 121-123) condannato vaghi timori di D. (" arguit eum de vilitate et pusillanimitate ", Benvenuto).
La forma assoluta ritorna in XXI 133 Non vo' che tu paventi (dove però è evidente il riferimento ai demoni che minaccian duoli), e in Vn XXIII 6 maravigliandomi in cotale fantasia, e paventando assai, dove lo smarrimento si riferisce al generale stato d'animo in cui si attua la visione della morte di Beatrice.
In Rime LXVIII 37 partirassi col tormentar ch'è degna, / sì che non ne paventa, il non temere il castigo è stilnovistica iperbole affermante la supremazia dell'amore.