PAVIA (A. T., 24-25-26)
Una delle più antiche e celebri città d'Italia e capoluogo della provincia omonima, in Lombardia. Il centro abitato sorge sulla sinistra del Ticino, 6 km. circa a monte della confluenza di questo nel Po, a 82 m. d'altezza sul livello del mare (45°11′ N., 15°46′ 13″ E.) e 10-20 m. al disopra di quello del Ticino. Corrisponde a un insediamento d'origine antichissima, che i Romani conobbero col nome di Ticinum.
La forma all'ingrosso trapezoidale della pianta di Pavia corrisponde al perimetro dei bastioni fatti costruire nel 1547-60 dal governatore Don Ferrante Gonzaga, ma la sua topografia conserva ancora chiare le tracce delle successive fasi del suo sviluppo. Il centro romano era ordinato sul classico incrocio ad angolo retto del cardo maximus col decumanus, il primo corrispondente all'attuale Corso Vittorio Emanuele, il secondo ai corsi Cavour e Mazzini. È probabile che in origine ne risultasse un quadrato di circa 850 m. di lato al massimo; il cardo, orientato da N. a S., metteva capo all'unico ponte che allora, come ora, univa le due sponde del Ticino (l'attuale ponte coperto è costruito sulle rovine dell'antico ponte romano). Comunque, la città si sviluppò notevolmente in epoca imperiale e verso il sec. III fu recinta da una prima cerchia di mura, munite ai lati di torri poligonali. La città venne acquistando importanza più che locale con Teodorico (che riattò le mura) e soprattutto sotto i Longobardi, fino a toccare il massimo della sua prosperità nei secoli XI-XII (sebbene rovinata nel 924 dagli Ungheri e incendiata durante la sommossa del 1004). Evoluzione che va posta in rapporto essenzialmente con la felice postura di Pavia rispetto al traffico tra la bassa e l'alta pianura padana, e tra questa e Genova, su cui gravitavano largamente le regioni transalpine. La città costituì infatti a lungo (sec. XII) l'ultima o la più importante tappa della navigazione fluviale che risaliva il Po e il Ticino, e quindi il punto di partenza di vie terrestri che irradiavano in varie direzioni.
L'espansione del centro urbano si andò accentuando dopo il periodo longobardo; una seconda cinta di mura fu costruita sotto il vescovo Giovanni (874-911), e una terza, sempre più esterna, in epoca comunale, l'una e l'altra racchiudenti tuttavia larghe aree prive di fabbricati.
La vita nella capitale del Regnum italicum si diffuse nei suburbî, come attestano l'ubicazione delle sue più antiche parrocchie; lo spesseggiarvi dei suoi monasteri e dei suoi ospedali e, a breve distanza dalle mura, le tre antichissime aree cemeteriali cristiane di S. Pietro in Ciel d'oro, di S. Gervaso, di S. Maria in Pertica, e il mercato o fiera di S. Martino. Nella seconda metà del secolo XII la città, spostato il suo centro di attività dal Palazzo regio al Broletto, fissa definitivamente il suo aspetto medievale di città dalle cento torri.
Col sec. XVI Pavia venne per ordine di don Ferrante Gonzaga riattata e bastionata secondo i precetti della nuova architettura militare.
Alle soglie del sec. XX, sotto l'impulso d'una certa sua incipiente industrializzazione, la città ruppe i baluardi dirigendosi verso il lato occidentale in giusto raccordo con la linea ferroviaria che congiunge Pavia con Milano e con Genova.
I vecchi cronisti calcolano a oltre 80 iugeri (poco più di 20 ettari) l'ampiezza dello spazio cinto entro il primo perimetro di mura anteriore ai Longobardi (e cominciato a distruggere nel 1172). È probabile che la popolazione della capitale barbarica non raggiungesse ancora i 15 mila ab. che Pavia contava sul chiudersi del sec. XII, massimo non oltrepassato neppure in epoca viscontea. Le dominazioni spagnola e austriaca segnano in sostanza regresso e ristagno. Al principio del sec. XIX la città non toccava ancora i 25 mila ab., cifra superata di poco nel primo censimento del regno (1861), che diede 30.480 presenti e 26.879 residenti. Nel 1883 il comune s'ingrandì per l'annessione dei cosiddetti Corpi Santi (sobborghi immediatamente adiacenti al nucleo antico; 2378 ettari, di contro ai 184 che ne ha quest'ultimo), dopo di che l'accrescimento è stato continuo, se pur lento: 35.447 ab. nel 1901, 39.888 nel 1911, 42.043 nel 1921, 50.325 nel 1931 (popolazione calcolata: 52.267 alla fine del '33). L'accrescimento ha assunto un ritmo più deciso dopo il 1900 - naturalmente con un periodo di arresto durante la guerra mondiale - per l'intenso richiamo di braccia dal contado, conseguente all'impianto della grande industria; lo sviluppo urbano è stato comunque contenuto quasi tutto entro il perimetro dei bastioni spagnoli.
Nonostante le trasformazioni subite, la città conserva ancora netti alcuni dei suoi tratti caratteristici: il decorso in sostanza rettilineo, o quasi, delle sue vie, incrociantisi ad angolo retto, pavimentate con selci e duplice guida di grandi lastre; la prevalenza pressoché assoluta dei laterizî (anche negli edifici monumentali) e il pittoresco emergere delle torri, superstiti avanzi della civitas centum turrium descritta dagli antichi cronisti.
Il 95% della popolazione vive accentrata; quella sparsa numerava appena 2739 persone nel 1931. L'indice di mortalità che era del 23,6‰ nel quinquennio 1886-90, è sceso al 13,2‰ nel 1926-30 (12,5‰ nel 1933), ma anche quello di natalità si è contratto di molto: da 26,6‰ (29,6‰ nel 1884) a 15,7‰ nello stesso periodo (14,5‰ nel 1933). Per contro la nuzialità mantiene all'incirca lo stesso ritmo (6,1% nel 1886-90, 6,8‰ nel 1926-30, ma 6,2‰ nel 1933).
Il clima di Pavia ha carattere continentale; l'escursione media annua oscilla sui 23° (da 0°,2 in gennaio, a 23°,2 in luglio). Le precipitazioni segnano intorno a 875 mm. in media l'anno, con due massimi in ottobre e in maggio e il minimo in febbraio; il numero dei giorni nevosi (10,4 in media l'anno) è qui maggiore che nelle altre principali città lombarde.
Oltre ad essere rimasto uno dei principali mercati agricoli della Valle Padana (cereali, riso, vino, bestiame), Pavia ha veduto nel primo trentennio del secolo XX lo sviluppo dell'industria moderna, iniziatosi nel 1905 con l'impianto della prima grande fabbrica italiana di seta artificiale. Attualmente circa un terzo della popolazione cittadina è interessato nelle industrie (1400 esercizî con 16.000 addetti), fra le quali prevalgono le tessili (oltre 4000 addetti), le siderurgiche, le metallurgiche e le meccaniche. Pavia è del pari uno dei nodi stradali e ferroviarî (Milano, Mortara, Valenza, Voghera, Cremona, Lodi) più importanti della Lombardia, e ha perciò un attivo commercio (1700 esercizî con 4500 addetti), destinato certamente ad aumentare ancora quando sia ripresa la navigazione sui fiumi e canali che la congiungono, oltre che al Po, alla regione dei grandi laghi.
Arte. - Architettura. - L'aulica Pavia, che Paolo Diacono celebrò per il fasto edilizio delle sue chiese, null'altro conserva, del più antico passato che pochi e frammentarî reperti di spoglie della bassa romanità, susseguiti da un manipolo di lapidi tombali e di capitelli prelombardi, che solo a motivo della scarsità di pietre da taglio, furono risparmiati negli ulteriori rifacimenti dell'età comunale.
Il suo aspetto è quindi per eccellenza romanico, come quello che è rappresentato da un intero ciclo di potenti organismi architettonici, prima in arenaria e quindi in cotto, che tuttora fanno testimonianza come Pavia, almeno per il sec. XII, fu uno dei più caratteristici centri di elaborazione dell'arte lombarda.
Eletta espressione di tanto fervore costruttivo, la palatina basilica di S. Michele, la quale, per quanto rappresenti nel suo rifacimento del primissimo scorcio del sec. XII un organismo più progredito del Sant'Ambrogio di Milano, si può dire realizzi, più di qualsiasi altra chiesa lombarda, quel caratteristico tipo di costruzione con facciata a capanna e a cupola ottagona, dal quale per il tramite di sempre più progrediti esemplari, quali S. Pietro in Ciel d'Oro, S. Giovanni in Borgo (demolito nel secondo decennio del sec. XIX), S. Teodoro, Santa Maria in Betlemme, S. Lanfranco e S. Lazzaro, derivarono tutte quelle vermiglie costruzioni in laterizio, sorte così frequenti in Pavia sino alle soglie dell'età sforzesca, come il Broletto, la chiesa del Carmine, il Castello visconteo e in parte la Certosa, la cui comune derivazione agevolmente traspare attraverso gli esteriori travestimenti decorativi dell'arte gotica e di quella del Rinascimento. Non a caso la pittoresca figurazione di Pavia, tracciata nel 1522 da Bernardino Lanzani nella chiesa di S. Teodoro, rispecchia ancora inalterato il fiero profilo medievale della città dalle torri e dai campanili senza numero.
Con l'avvento della dominazione viscontea, l'arte pavese si arricchisce d'un secondo edificio monumentale, il Castello o Arce Maggiore (1360-1365), la più bella e vasta fabbrica trecentesca lombarda che sia pervenuta sino a noi nella sua originale struttura a pianta quadrata, con torri pure quadrate ai vertici. Quattro secoli di abbandono e d'occupazione militare l'avevano reso pressoché irriconoscibile; oggi non più, perché adeguate opere di restauro tendono a richiamarlo al suo antico splendore.
Terzo esponente del rinnovamento monumentale di Pavia visconteo-sforzesca, il nuovo duomo (1488), sorto sull'area della vecchia cattedrale binata. Dovuto in massima parte a Giovanni Antonio Amadeo, sebbene non si possa mettere in dubbio l'intervento del Bramante nella sua classica cripta e nella parte absidale, si può considerare come uno dei più perspicui monumenti del primo Rinascimento lombardo per l'assoluto predominio della parte architettonica su quella ornamentale.
Di minore importanza, ma pur degni di nota, sorgevano nello stesso periodo numerosi palazzi più o meno sotto l'influenza dell'arte bramantesca, di cui il meno contaminato si può ritenere quello dei Carminali per la sua armoniosa facciata tutta intessuta di squisite terrecotte decorative.
Nella seconda metà del Cinquecento grandeggia invece la maestosa mole del Collegio Borromeo (1564), dovuta all'architetto Pellegrini; due secoli dopo, tra il 1728 e il 1730, il fastosissimo palazzo Mezzabarba dovuto a Giovanni Antonio Veneroni; nel periodo neoclassico l'università e il Teatro del Condominio, rispettivamente del Piermarini-Pollach e di Antonio Galli Bibbiena (1773); quindi una torpida stasi durante la quale l'architettura cittadina si rivelò più audace nel demolire l'antico che nel creare il nuovo; tale fase oggi si può ritenere definitivamente chiusa.
Scultura. - Dopo le ornate lastre del sarcofago di Teodote (720 d. C.), di stile italo-bizantino, la scultura si afferma sovrana nel periodo romanico, nelle risorte chiese cittadine, come San Michele, San Pietro in Ciel d'Oro e San Giovanni in Borgo, per ricordare le maggiori. Con l'avvento dell'arte gotica e di quella del Rinascimento, nuove e più ridenti grazie ornamentali vennero a illeggiadrire l'austero aspetto di Pavia, mercé il raffinato impiego delle terrecotte decorative, come si vede nel grande cortile del Castello visconteo e nei mirabili chiostri della Certosa, nel fronte del palazzo Carminali Bottigella e della chiesa del Carmine nonché nei chiostri dell'ottagona basilichetta di Canepanova e dei monasteri della Pusterla e di San Lanfranco. Nel campo della scultura campionese, il Trecento lombardo è adeguatamente rappresentato dalla macchinosa arca di Sant'Agostino in San Pietro in Ciel d'Oro (1361); mentre la plastica dei secoli susseguenti trova nell'ambito regale della Certosa (v. certosa: La Certosa di Pavia) le più svariate fogge di espressione e nel pavese Giovanni Antonio Amadeo il suo più geniale interprete.
Pittura. - Le prime testimonianze dell'attività pittorica in Pavia, prescindendo dall'arte del musaico, sviluppatasi particolarmente nella età romanica, come provano i frammenti pavimentarî di S. Maria del Popolo, di S. Michele e di S. Pietro in Ciel d'Oro, risalgono ai secoli XIII e XIV (affreschi nelle cripte di Sant'Eusebio, di San Giovanni Domnarum e nelle chiese di San Teodoro e di San Michele). L'arte locale pertanto ricevette i primi e più vividi impulsi dai decoratori e frescanti dell'Arce viscontea e della vicina Certosa.
Documento di questo nuovo fervore pittorico, per il periodo che precede il soggiorno pavese del Foppa (1473-1486), sono gli affreschi del Carmine, dovuti a Leonardo Vidolenghi (1463); per il susseguente, il ciclo pittorico della cappella del collegio Castiglioni; la decorazione absidale eseguita in San Michele da Agostino da Montebello (1491) o meglio la superba pala d'altare della famiglia Bottigella del Museo civico; per la fase leonardesca, le numerose decorazioni parietali eseguite dalla bottega di Bernardino de' Rossi nel convento della Pusterla; i ciclici affreschi di Bernardino Lanzani in San Teodoro e in San Salvatore e infine la suggestiva Madonna in Trono di Giampietrino (1521) nella cattedrale.
Con la Vergine del Rosario di Bernardino Gatti, nella cattedrale, e la sparsa attività dei due Fasolo, di P. F. Sacchi e di Cesare Magni, ha fine il Rinascimento pavese stroncato dal terribile sacco di Pavia (1527), seguito nel 1530 dall'esiziale dominazione spagnola.
Di qui tre secoli di stasi, interrotta soltanto dalla fugace apparizione di alcuni artisti venuti da fuori, come i noti affrescatori del collegio Borromeo, Federico Zuccari e Cesare Nebbia; lo Scaramuzza e il Del Sole che operarono al collegio Ghislieri; Daniele Crespi al duomo e nella chiesa dell'ospedale; il Magatti al palazzo Mezzabarba e via dicendo sino all'avvento della età romantica in cui le sorti pittoriche di Pavia tornarono a rifiorire nei nomi di Pasquale Massacra, Federico Faruffini e Tranquillo Cremona.
V. tavv. CXXVII-CXXXII.
Istituti di cultura e biblioteche. - Università. - L'università deve il suo atto di nascita a un diploma dell'imperatore Carlo IV (1361), che istituiva in Pavia uno "Studio generale di diritto civile e canonico, di filosofia, medicina ed arti liberali", studio ammesso a godere degli stessi privilegi e immunità di cui godevano quelli di Bologna, Parigi, Montpellier. Ma è pur necessario, nell'indagine storica, tenere conto dell'antica scuola giuridica di Pavia sorta lungo il corso del sec. IX, con l'autonomia conseguita dall'insegnamento del diritto nella capitale del regno italico, sede di una scuola fiorente di arti liberali e del tribunale supremo. La scuola che visse una vita gloriosa nei due secoli successivi e produsse opere di grande valore per la elaborazione giuridica dell'alto Medioevo, rivolse la sua attività esegetica ai testi delle leggi longobardo-franche, ma con frequente ricorso al diritto romano come legge generale, seminando in terreno fecondo i germi della rinascita romanistica. Probabilmente la scuola non si era spenta nel Duecento, almeno come studio puramente locale, giustificando la costante tradizione pavese della continuità fino al diploma di Carlo IV. Comunque nel 1361 l'università sorgeva con tutte le facoltà e con felici prospettive assicurate dal favore di Galeazzo Visconti che voleva potesse reggere il confronto con le maggiori. Già sul cadere del secolo, con l'insegnamento di Baldo degli Ubaldi e, nel secolo successivo, con una schiera di maestri valenti, la scuola giuridica pavese creava una tradizione che sarà particolarmente gloriosa nella prima metà del sec. XVI con Andrea Alciato, promotore della scuola dei "culti" e rinnovatore del metodo nello studio della giurisprudenza. E del pari nel secolo XV tenevano posto eminente le lettere con una schiera di umanisti, dal Crisolora al Filargo, al Panormita, al Valla, mentre nel sec. XVI le discipline mediche e naturali erano illustrate da Gerolamo Cardano e Gaspare Aselli.
Ma il periodo più prospero dell'università di Pavia fu quello di Maria Teresa e quello del dominio francese; l'università acquistò allora fama altissima nella medicina, nelle scienze fisiche, matematiche e naturali e fu un faro di cultura mondiale. I nomi di parecchi che v'insegnarono sono da annoverare tra i grandissimi: Alessandro Volta, Lazzaro Spallanzani e Antonio Scopoli nelle discipline fisiche e naturali; Antonio Scarpa, discepolo del Morgagni, fondatore di una grande scuola di chirurgia; il Tissot, il Frank, il Rasori nella medicina; Lorenzo Mascheroni e poi Antonio Bordoni nelle matematiche. Nel campo delle lettere basterà ricordare i nomi di Vincenzo Monti, di Ugo Foscolo.
L'eredità della fama conseguita dall'Ateneo pavese non andò dispersa; anzi inspirò e animò indirizzi scientifici nella medicina, con le scoperte di nuovi mezzi curativi della tubercolosi che sono grande merito di Carlo Forlanini, nella ostetricia con l'indirizzo dottrinale e i nuovi metodi di Edoardo Porro e di Alessandro Cuzzi, nelle scienze biologiche, con gl'immortali contributi di Camillo Golgi alla conoscenza della struttura del sistema nervoso e dei cicli di sviluppo dei diversi tipi di parassiti della malaria, nelle matematiche con l'opera e l'insegnamento di Eugenio Beltrami e Felice Casorati, nel diritto col rinnovamento della scienza giuridica italiana, in larga parte dovuto a C. Ferrini e a P. Bonfante. L'università di Pavia è oggi uno dei più fecondi laboratorî della scienza italiana. Conserva una sua caratteristica nei due collegi universitarî, il Ghislieri e il Borromeo, eretti nella seconda metà del sec. XVI da papa S. Pio V il primo, da San Carlo Borromeo il secondo; essi, integrati oggi da istituzioni ausiliarie, accolgono per concorso e ospitano gratuitamente studenti distinti della regione lombarda e di altre regioni italiane.
Biblioteca universitaria. - È una delle trentadue governative dipendenti dal Ministero dell'educazione nazionale. Ideata da Maria Teresa e iniziata nel 1757, si arricchì successivamente con donazioni della corte di Vienna, lasciti di biblioteche private e biblioteche degli ordini religiosi soppressi; ebbe notevole incremento nei tempi moderni specialmente per opere di carattere scientifico-sperimentale, le collezioni di periodici medico-naturalistici e un vasto fondo storico-giuridico. Possiede oltre 326 mila volumi e opuscoli, e 1520 manoscritti, molte centinaia di documenti e 649 incunabuli.
Biblioteca civica. - Formata con donazioni private, comprende un notevole fondo di carattere prevalentemente storico-artistico (soprattutto numismatico) e di storia municipale e statutaria. È annessa al Museo civico.
Società pavese di storia patria. - Fondata nel 1901, pubblica un Bollettino nel quale appaiono studî di carattere locale e anche di carattere generale che abbiano riferimento alla storia di Pavia e della Lombardia. La Società ha pubblicato inoltre il codice diplomatico dell'università di Pavia, tre volumi con documenti dal 1361 al 1450, e ha iniziato una Collana storica pavese con monografie relative alla storia di Pavia e del suo territorio.
Società medico-chirurgica. - Fondata nel 1885 per incoraggiare lo studio e il progresso della medicina, della chirurgia e delle scienze affini, promuove a tale scopo riunioni e conferenze e pubblica un Bollettino bimestrale giunto alla 47ª annata.
Musei. - Il Museo civico, fondato nel 1835, deriva da un legato del marchese L. Malaspina di Sannazzaro; ha una preziosa collezione di stampe e una raccolta di marmi dell'epoca longobarda. La galleria, ricca di quadri di scuola lombarda, possiede due gemme: una piccola Madonna del Correggio e un ritrattino di Antonello da Messina.
Vita musicale. - Pavia ha un notevole patrimonio di memorie musicali, pur senza mai essere assurta all'importanza di un vero e proprio centro di vita musicale. A parte pochi e incerti accenni in cronache e memorie medievali, bisogna giungere al Rinascimento per trovare un nome che deve avere avuta una certa importanza. È quello di Lorenzo Gusnasco da Pavia, organaro che godette i favori di Giovanni Galeazzo Sforza e di Ludovico il Moro e che forniva Clavicordii perfectissimi. Nella storia degli strumenti, dopo di lui, ha risalto notevole Afranio dei conti d'Albonese di Pavia, canonico a Ferrara, che inventò lo strumento musicale phagotus non precisamente della famiglia dei nostri moderni fagotti, ma piuttosto della famiglia degli organi. Nello stesso secolo, la musica deve avere avuto certamente speciali cure nelle sale del castello di Pavia all'epoca di Leonardo, auspice la munificenza di Ludovico il Moro, e forse anche attenzioni particolari nello Studio già allora centenario, dove appare ascritto ad lecturam musices Franchino Gaffurio da Lodi che insegnò però a Milano. Di musica scrisse anche ben nove capitoli il filosofo, medico e matematico pavese, G. Cardano. Per ciò che riguarda la musica pratica dell'ultimo Cinquecento e del primo Seicento, ancora possiamo ricordare, quali pavesi, taluni nomi pressoché dimenticati. Nel 1547 nasce a Pavia L. Torti che fu poi maestro di cappella nella chiesa dei teatini di Chieti e che lasciò una messa, inni e salmi e pubblicò canzoni a 3 voci, madrigali a 5 voci e mottetti. Musicista, mottettista insigne è stato anche don Benedetto Re, maestro di cappella della cattedrale pavese. Di lui si hanno litanie a 5-6 voci, una canzone alla franzese a 4 voci e mottetti. Caterina Assandra, allieva del Re scrisse mottetti a 2 e a 3 voci. Il solo nome possiamo citare del sacerdote pavese Lorenzo Calvi, che intorno al 1626 è stato maestro di cappella alla cattedrale di Pavia. Forse pavese fu G. B. Mazzaferrata (nato invece a Como secondo altre notizie) autore di cantate, arie e madrigali. Anche la composizione liutistica e chitarristica, tanto fiorente e vivida di colori nel secolo XVI e in parte del XVII, ha un noto rappresentante pavese in F. Corbetta, che viaggiò mezza Italia e fu in Spagna, in Germania, in Inghilterra. In Francia ebbe anche molti allievi e specialissima fama. Nel Settecento ricordiamo G. A. Fioroni, che, nato a Pavia nel 1704, formò il suo stile alla scuola napoletana e lasciò oltre che buona musica sacra, l'opera Didone abbandonata. Meritevole di attenzione, quale compositore di musica religiosa (messe, mottetti, ecc.) fu anche Raimondo Mei, nato a Pavia nel 1740. La storia del violino ricorda poi Alessandro Rolla, nato a Pavia nel 1757, compositore da considerarsi tra i minori, ma di fertilità notevole. Anche più modesta, per quanto caratteristica, è la figura del coreografo famoso e primo ballerino pavese A. Cortesi (1793-1879). L'Ottocento ricorda di Pavia una famiglia di costruttori d'organo della quale i più famosi furono Giovanni Battista e i suoi due figli Giacomo e Luigi Lingiardi. Anche il teatro melodrammatico ebbe a Pavia i suoi fasti, ma la vicinanza di Milano ne attenuò sempre gli splendori. Nel 1701, Giacomo Homodei, nobile pavese, fece costruire il teatro che da lui prese il nome e che nel 1840 andò distrutto. Nel 1771 altri quattro nobili pavesi, unitisi in "Societȧ de' quattro cavalieri patrizî", decisero la fondazione di un altro teatro, detto dei Quattro Cavalieri, fino a che nel 1869 il suo nome non venne cambiato con quello del tenore pavese Gaetano Fraschini. Questo teatro fu inaugurato con l'opera Demetrio del Venatorini (il boemo J. Mysliveček, amico di Mozart). Oggi il municipio provvede al mantenimento di un'ottima scuola musicale.
Storia. - Nel territorio che comprende la bassa pianura bagnata dal corso inferiore del Ticino e la zona del Preappennino fino alla valle della Trebbia, territorio d'incontro e di commistione fra le stirpi ligure e celtica, sopra un terrazzo che guarda la sponda sinistra del Ticino, a cinque chilometri dalla sua confluenza col Po, nacque forse già nell'età della predominanza dei Liguri e crebbe poi, per opera dei Galli, un centro di popolazione che prese nome dal fiume: Ticinum. Come gli altri centri liguri-gallici, Ticinum fu sottomesso da Claudio Marcello, quando i Romani procedettero, nei primi anni del sec. II a. C., alla riconquista e alla pacificazione della Gallia Cisalpina; l'importanza del centro si accrebbe quando la via Emilia, costruita nel 187 a. C. dal console M. Emilio Lepido, fu proseguita oltre il Po, probabilmente nel secondo decennio del sec. I avanti l'era volgare, quando al termine della guerra sociale i transpadani ottennero con la lex Pompeia la cittadinanza latina. Fu allora che i più frequenti rapporti con Roma fecero sentire la necessità di uno stretto collegamento con Placentia dei due importanti centri di Ticinum e Mediolanum e promossero la costruzione di due nuove arterie stradali di cui l'una, varcato il Po, ne rimontava la sponda sinistra fino a Ticinum. La strada fu poi proseguita a occidente per Lomello e Cozzo e, biforcandosi in due rami, salì a mezzodì per Augusta Taurinorum al valico delle Alpi Cozie, a settentrione per Eporedia e Augusta Praetoria ai valichi delle Alpi Graie e Pennine.
Questa felice postura, nella fertile pianura bagnata dal Po, sull'asse delle comunicazioni fra la Gallia Transpadana e l'Occidente, giovò non poco ai progressi di Ticinum che appare già come un municipio importante, dopo la concessione della cittadinanza romana accordata da Cesare alle comunità transalpine. Ticinum ebbe una sua notevole funzione militare negli ultimi tempi dell'Impero e nella prima età delle invasioni barbariche; Teodorico re degli Ostrogoti la elesse, come Verona, quasi a seconda capitale dopo Ravenna, vi costruì un palazzo, le terme, l'anfiteatro, vi promosse una notevole attività culturale. Anche il cristianesimo, penetrato nella prima metà del sec. IV, contribuì, in questo periodo, ad accrescere il prestigio di Ticinum; la prima comunità cristiana fu presieduta da Siro che viene concordemente designato come primo vescovo dalla tradizione pavese e di cui abbiamo conservata la tomba con iscrizione. Nell'età gotica la sede episcopale sarà tenuta da Ennodio, una delle figure più eminenti del suo tempo.
Queste ragioni storiche bene spiegano la particolare posizione della città nell'età longobarda; già durante la guerra gotico-bizantina Ticinum era stato strenuo baluardo di difesa dei Goti, e dopo la caduta di Ravenna la sede del comando delle milizie; Ildibaldo e Teia tra gli ultimi re del forte popolo dei Goti erano proclamati in Ticinum che incominciò ad assumere in quel tempo il nuovo nome di Papia. Il governo bizantino conservò alla città una posizione ragguardevole e vi sostenne la sua estrema difesa quando calarono i Longobardi alla conquista d'Italia. Pavia cadde dopo tre anni di assedio: i nuovi dominatori la elessero, probabilmente dopo la proditoria uccisione di Alboino, a capitale del regno e tale essa rimase, sede del re e della corte regia, tranne una breve parentesi alla fine del sec. VI, quando la sede fu trasportata a Milano e a Monza, sino al cadere della monarchia.
Capitale del regno dei Longobardi, Pavia acquistò un'importanza preminente; fu arricchita di molte chiese e di monumenti civili, ebbe splendore di studî, scuole di arti liberali nella cappella palatina presso la corte, il tribunale del re con giudici e legisti, una cospicua attività economica favorita dai traffici fluviali. Lentamente e attraverso fieri contrasti, maturava frattanto la definitiva conversione dei Longobardi al cattolicesimo: con la vittoria di questo, la chiesa episcopale trasportata nel cuore della città divenne un centro di cultura religiosa e romana; il vescovo pavese ottenne, probabilmente in questa età, il privilegio della diretta consacrazione pontificia e la chiesa pavese conseguì la sua piena indipendenza dalla diocesi milanese.
Né la posizione di Pavia decadde sotto il successivo governo dei Franchi e nell'età del particolarismo italico e degl'imperatori di Sassonia e di Franconia. Anzi divenne più ragguardevole in virtù dell'autonomia di fatto conseguita dal Regnum italicum; la capitale (lontano generalmente l'imperatore, coronato re in Pavia) divenne il vero organo d'amministrazione e di governo del regno. I sovrani carolingi ne promossero lo sviluppo, facendone un centro culturale e politico di primaria importanza; il Palatium di Pavia divenne il palatium per eccellenza, la sede centrale dove erano il tribunale supremo e gli organi dell'amministrazione finanziaria; a capo di essi e della corte, il conte palatino che rappresentava il re e ne esercitava le funzioni. A Pavia e nella vicina corte regia sull'Olona si radunava, ordinariamente, l'assemblea italica per l'approvazione delle leggi e le deliberazoni d'interesse generale, per le quali i grandi del regno avevano rivendicato e ottenuto diritto d'intervento. A Pavia avevano una loro cella o curtis o xenodochium, spesso con case e botteghe da affittare a mercanti e anche con diritto di proprietà dei porti sul Ticino e nella confluenza del Po, le più importanti chiese e monasteri dell'Italia media e settentrionale e persino della Francia. In questa età ebbe origine e sviluppo la celebre scuola giuridica di Pavia (v. sopra: Istituti di cultura).
Nell'anno 1024 i Pavesi, appresa la notizia della morte dell'imperatore Enrico II, insorsero e distrussero dalle fondamenta il palazzo regio, né più vollero aderire all'ordine imperiale di ricostruirlo. Tale circostanza e l'atteggiamento antitedesco indubbiamente arrecarono un grave colpo alla posizione di Pavia. Essa non perdette giuridicamente la sua funzione di città capitale, ma il regno italico era ormai in decadenza, mentre cresceva l'autonomia delle città e il favore imperiale si era allontanato. Gl'imperatori furono ancora talvolta incoronati a Pavia nella basilica di S. Michele, ma più spesso a Milano e Monza. La posizione politica di Milano, posta nel centro della Lombardia, più ricca e più popolosa, diventava una posizione di preminenza, accentuando una rivalità che risaliva al più remoto Medioevo.
Frattanto maturava anche in Pavia, sotto il governo del conte palatino, residente nella rocca di Lomello, l'autonomia comunale e agl'inizî del sec. XII appaiono i primi consoli. Nell'età comunale Pavia, retta da un ceto nobiliare predominante ma aperto all'afflusso di nuove forze specialmente dal contado, poté godere di una prosperità e di una posizione ragguardevoli, con una popolazione probabilmente non inferiore a 40 mila abitanti; nella cerchia delle sue mura fiorì un'attività artistica veramente mirabile con la ricostruzione, lungo il corso del sec. XII, delle chiese romaniche: S. Michele, S. Teodoro, S. Pietro in Ciel d'Oro, S. Giovanni in Borgo, S. Stefano, S. Maria del Popolo e altre. Nell'ordine politico, la città seguì più spesso la parte imperiale, e tranne una tarda e transitoria adesione alla Lega lombarda, sostenne con le armi Federico I che amò sostare in essa più volte e qui ricevette dopo la distruzione di Milano giuramento di sottomissione e di alleanza dei Genovesi, Piacentini, Cremonesi, Mantovani. E Federico I ripagò la città agguerrita e fedele con il diploma del 1164, vera "magna charta" del comune pavese che contiene privilegi anche più vasti di quelli che saranno riconosciuti ai comuni lombardi con la pace di Costanza; i comuni lombardi vittoriosi potranno soltanto eguagliarli più tardi.
E tuttavia la sostanziale sconfitta della politica imperiale apportò un grave colpo al prestigio di Pavia; e la posizione della città subì danni più fieri col tracollo delle fortune ghibelline negli ultimi decennî del sec. XIII. Perché Pavia anche nella lotta fra la Lega lombarda e Federico II era rimasta fedele all'impero, come seguirà più tardi le parti del giovane Corradino di Svevia, nel suo animoso ma sventurato tentativo di riconquistare il trono del grande avo. Nella seconda metà del sec. XIII Pavia era stata come il centro e il più forte baluardo della lega ghibellina contro le città guelfe capitanate da Milano; e quando Vercelli, come più tardi Piacenza e Cremona, aveva abbandonato Uberto Pelavicino e la parte ghibellina, Pavia, prima con Lodi poi con le sole sue forze, aveva fieramente resistito nella difesa della sua politica tradizionale. Ma la battaglia di Benevento e la morte di Manfredi avevano compromesso le fortune ghibelline: ne segnerà il crollo la tragica avventura di Corradino e Pavia ne subirà le conseguenze.
La città conserva ancora la sua indipendenza, ma non più la sua posizione preminente; il governo, che appare ancora in una fase di equilibrio fra la parte nobiliare e la parte popolare alla fine del sec. XIII, sarà successivamente minato e scosso dalle discordie intestine, fattori potenti dell'instaurazione del nuovo governo della signoria viscontea. Pavia fu l'ultima delle città lombarde a piegare ai Visconti: prima di cedere, combatté con singolare tenacia contro Galeazzo Visconti, per tre anni, animando la sua resistenza con la predicazione ardente di frate Iacopo Bussolari. Fu un episodio glorioso, degno dei ferrei tempi del Medioevo: ben lo videro i contemporanei e lo celebrò Matteo Villani. La città si arrese al Visconti il 13 novembre 1359 e i nuovi signori, se gradatamente rimossero l'antico reggimento libero del comune, dotarono Pavia di opere cospicue: vi costruirono, subito dopo la conquista, un castello di mole insigne e di maestosa bellezza, fondarono l'università, iniziarono l'immortale opera della Certosa. Pavia divenne uno dei centri culturali e politici più cospicui della penisola, perché i Visconti elessero nel castello la sede della corte ducale e vi ospitarono eminenti diplomatici del Trecento.
La posizione della città invece decadde con gli Sforza che risiedettero stabilmente a Milano; né l'erezione in principato della contea pavese ne poté migliorare le sorti. E peggio accadde quando, postasi la città contro i Francesi, fu da questi sottoposta a duro governo, privata della magnifica biblioteca del castello (trasportata per gran parte in Francia), saccheggiata nel 1515, stretta due volte da assedio nel 1522 e 1525 e vittoriosa l'una e l'altra con la sua ferrea resistenza e con l'aiuto della guarnigione spagnola (e la resistenza insuperata della città fu non ultima causa della sconfitta di Francesco I nel parco della Certosa il 24 febbraio 1525), ma infine espugnata e posta a orribile sacco dalle milizie del Lautrec nel 1527.
Il dominio spagnolo, al quale la città soggiacque per quasi due secoli, non poteva rialzarne le sorti; ormai Pavia era una delle tante città del dominio di Lombardia e conservava soltanto nell'università, arricchita di collegi soprattutto nell'età della Controriforma, e nelle chiese (a cui si aggiunse la cattedrale iniziata con grandioso disegno a cui non fu estraneo Donato Bramante alla fine del sec. XV e proseguita nel successivo), i segni dell'antico splendore. La divisione del principato pavese, quando col trattato di Worms nel 1743 la Lomellina e l'Oltrepò furono definitivamente assegnati al ducato di Savoia e il confine del principato fu stabilito al Ticino fra il Lago Maggiore ed il Po, limitò il territorio pavese ai Corpi Santi della città e alla campagna immediatamente circostante, con gravissimo danno del centro, privato di gran parte delle più ricche sorgenti di rifornimento senza possibilità di respiro e di espansione: questi disagi furono aggravati dalle difficoltà dei rapporti economici fra il Pavese e la Lomellina, temperate, ma non sanate, dal trattato del 1751 fra l'Austria e il regno di Sardegna.
E tuttavia nell'età austriaca la costruzione di parecchi notevoli palazzi nobiliari e di monumenti cittadini mostra che l'antico splendore non era spento; contribuiva a tenerne accesa la fiaccola l'università, salita in grande fama europea alla fine del Settecento. La città cessa di essere piazzaforte e può godere di un vasto rinnovamento edilizio con trasformazioni agevolate dalla graduale soppressione di gran parte dei conventi e degli ordini religiosi. Nella parentesi del dominio francese (dal 1796, anno memorabile per l'insurrezione dei Pavesi contro le milizie di Francia e la ferrea repressione del Bonaparte, al 1814) mentre proseguiva il poderoso sviluppo dell'attività e della fama scientifica dell'Ateneo, crescevano le prime correnti liberali, sorrette dalla stessa università. La nuova coscienza politica, rafforzata dalla partecipazione di numerosi Pavesi alle campagne napoleoniche e non soffocata dalla reazione austriaca, l'università dove la gioventù lombarda subiva il fascino degl'ideali d'indipendenza, la stessa posizione della città, sentinella di confine con frequenti rapporti con gli Stati Sardi e i nobili dell'Oltrepò e della Lomellina, liberali per gran parte, tutto cospirerà ad assegnare a Pavia, dai moti del 1821 alle guerre per l'indipendenza, una funzione eminente che sarà gloriosa con i nomi di Adeodato Ressi e dei Cairoli, col contributo dei Pavesi alla spedizione dei Mille e ad altre imprese garibaldine, e costituirà, accanto agl'insigni monumenti d' arte e all'università, prezioso retaggio del passato per la città, restituita nel possesso del suo territorio storico dal 1859, fervida oggi di nuova e feconda attività, nell'agricoltura, nelle industrie, nella scienza.
Battaglia di Pavia. - Un esercito di 20.000 fanti (francesi, svizzeri e tedeschi, agli ordini del re di Francia, assediava, nell'ottobre del 1524, Pavia, difesa da una guarnigione di 6000 Spagnoli comandati dal de Leyva. Tra logoranti alternative, il nuovo assedio, che s'inquadra nelle lotte tra Francesco I e Carlo V per il possesso del ducato di Milano, durava già da tre mesi. Nel gennaio 1525, 12.000 lanzinchenecchi del connestabile di Borbone sopraggiungevano a rafforzare le truppe imperiali, allora comandate dal marchese di Pescara e da Carlo di Lannoy. Dopo alcuni episodî (diserzione dal campo di Francesco I di 8000 Grigioni) avvenuti durante la presa di contatto dei due partiti avversi e dopo un continuo susseguirsi di scaramuccie, in una delle quali rimaneva ferito Giovanni dalle Bande Nere, il Pescara usciva con la sua avanguardia dalle mura (senza fossato esterno) con l'obiettivo di attrarre l'avversario costringendolo ad abbandonare i trinceramenti. Mentre al campo di Francesco I si dava l'allarme, il contestabile di Borbone e il Pescara formavano la loro linea di battaglia. Primi a cedere nella furiosa mischia furono i Francesi dell'ala destra e gli Svizzeri, i quali ultimi, culti dal panico, voltarono le spalle e fuggirono verso Milano, seguiti dal duca d'Alençon con la retroguardia ai suoi ordini. La battaglia si fece allora più cruenta intorno alla "gendarmeria" e ai gentiluomini francesi rimasti al loro posto; ma ben presto anche l'eroismo di questi ultimi e fedelissimi difensori del re dovette cedere al furore e al numero degli uomini del de Leyva. Francesco I cercò di mettersi in salvo verso il Ticino, ma cadde prigioniero. La battaglia era durata un'ora. Perdite francesi: 8000 uomini, fra i quali La Palice, Bonnivet, ecc.
Arte della stampa. - La sede dell'università favorì singolarmente a Pavia lo sviluppo dell'arte tipografica nel sec. XV. Ve la introdusse il milanese Giovanni de Sidriano, che stampò il 30 ottobre 1473 la Lectura super Institutionum di Angelo Gambiglioni di Arezzo. Opere di giurisprudenza e di medicina furono specialmente impresse in gran numero per opera di Antonio Carcano, Damiano Confalonieri, Giacomo e Francesco di San Pietro, Francesco e Nicola Girardenghi, Giuliano Di Zerbo, Benigno e G. A. De Honate, Cristoforo De Canibus, Leonardo Gerla, G. A. Birreta, Martino di Lavalle, Gaspare de Balditionibus, Bernardino e Ambrogio Rovelli, Michele e Bernardino Garaldi, Luigi da Como con Bartolommeo Trotti, Francesco Guaschi. Un libretto particolarmente prezioso è quello di Nicola Scillacio, De insulis Meridiani atque Indici maris nuper inventis, relazione della 2ª spedizione di Cristoforo Colombo, priva di note tipografiche ma che G. Fumagalli dimostra (in Bibliofilia, 1900) impressa nel 1494 da Francesco Girardenghi.
La provincia di Pavia.
È per estensione la terza delle provincie lombarde (2964,64 kmq.), ma la quinta per popolazione assoluta (481.884 ab. secondo il censimento del 1931), e la settima per densità (163,5 abitanti per kmq.).
Consta di due parti, divise dal corso del Po: sulla sinistra, il Pavese vero e proprio e la Lomellina, separate dal Ticino; sulla destra, il cosiddetto Oltrepò pavese (v.) che ha, oltre la pianura, una regione di collina e una di montagna, rappresentante il declivio adriatico dell'Appennino Ligure (altezza massima 1460 m. nel M. Penice).
La pianura (terreni alluvionali e pliocenici) forma il 77% della superficie totale della provincia; di quella agraria e forestale (2755,69 kmq., cioè il 93%), i 3/4 all'incirca (73%) sono occupati da seminativi e da arborati, il 6% da prati e pascoli permanenti, il 7% da colture legnose specializzate, il 9,5% da boschi (compresivi i castagneti); il resto è improduttivo.
L'occupazione prevalente degli abitanti è l'agricoltura, i cui prodotti principali sono il riso (Lomellina), il frumento (specie sulla destra del Po), e la vite (coltura promiscua e specializzata), completata da un fiorente allevamento (150 mila bovini, 35 mila suini e 30 mila cavalli). L'industria è andata sviluppandosi con ritmo deciso nell'ultimo trentennio, fino ad assorbire all'incirca il 20% della popolazione. Ora conta 12 mila esercizî con 65 mila operai; i suoi rami principali sono l'industria tessile, la meccanica, la siderurgica e la metallurgica. In armonia con questo sviluppo la popolazione urbana è passata dal 19,8% nel 1861 al 27,5% nel 1931.
Dal 1861 al 1911 vi fu nella provincia un aumento percentuale del 22,9%; dopo il 1911, invece, la popolazione diminuì sensibilmente (dai 495.159 ab. del 1911 ai 475.529 del 1921) quasi in ogni zona (specie nella Lomellina), eccetto che nel Vogherese. I comuni di massima densità corrispondono infatti alle zone della coltura viticola d'Oltrepò e all'alto Pavese. Dei 180 comuni della provincia, 59 hanno una popolazione compresa tra 1000 e 2500 ab.; 10 fra 2500 e 5000, uno (Mortara) superiore ai 5000 uno (Vigevano) ai 10.000 e uno (Pavia) ai 50 mila.
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