PAZARLI
Località dell'Anatolia centrale, 29 km a N-E di Alaca Hüyük, presso il villaggio di Mustafa Çelebi, sede di un importante stanziamento frigio.
La zona montagnosa, di difficile accesso e quindi propizia alla difesa, fu abitata fin dall'età calcolitica, ma un agglomerato a caratteristiche urbane si ebbe soltanto nel periodo frigio (VII-VI sec. a. C.), quando il capo arroccato nella cittadella doveva dominare anche parte del territorio circostante.
I resti dell'età calcolitica mostrano una facies simile a quelle coeve di Alisar (v.) ed Alaca Hüyük (v.), con ceramica fatta a mano, provvista di ingubbiatura, in forma di piatti e colatoi privi di anse.
Anche la ceramica dell'Eneolitico è affine a quella ad ingubbiatura rossa di Alişar, a punteggiature (o ad ingubbiatura nera) di Ahlatlibel, e a quella ad ornamenti incisi di Alaca. Vi sono tipiche coppe con una sola piccola ansa e un lungo becco che esce dal ventre del recipiente. Il periodo hittita dà poca ceramica monocroma e un frammento del tipo detto Schnabelkanne. Al periodo frigio appartengono tre strati architettonici; il più basso ha abitazioni cinte da bastioni quadrangolari e da muri che seguono l'andamento accidentato del terreno: le fondazioni sono in grosse pietre non lavorate, la pianta è generalmente rettangolare. Le case dovevano avere due piani, con tetto ligneo e tegole di rivestimento in terracotta, alcune ornate da figurazioni policrome in basso rilievo (cfr. oltre). Le abitazioni del secondo e terzo strato utilizzano i muri di fondazione preesistenti, ma, anziché sulla viva roccia, si elevano su superfici lastricate: la raggiunta sicurezza contro i nemici fa sì che esse vengano costruite anche al di fuori della cinta muraria, sotto i bastioni.
La ceramica del periodo frigio è simile a quella di Alişar, Alaca, Gordion (stile tardo-frigio o degenerato, Provinzstil, secondo l'Akurgal): si distingue un gruppo a semplice ingubbiatura rossa (con linee geometriche nerastre) ed uno ad ingubbiatura bianca su fondo rosso con ornamenti geometrici sulla spalla in rosso, nero, bianco: meandri, triangoli, soprattutto linee orizzontali. Non mancano disegni schematizzati di piante e di animali e resti di ceramica monocroma fabbricata al tornio, con anse circolari a forma di nastro o di bobina ritorta.
Il ritrovamento più notevole di P. in epoca frigia è dato dalle tegole dipinte che servivano di rivestimento esterno degli edifici (probabilmente templari) e che si apparentano strettamente, nel genere e nella decorazione, alle lastre fittili di Larisa, Sardi, Gordion, Akalan (Ponto). Il repertorio figurativo è di carattere eminentemente ornamentale: file di guerrieri in marcia, con lancia, grandi scudi rotondi ed elmi ionici dall'alto cimiero, lotte fra un leone e un toro, grifoni arrontati al di sopra di una vittima (un daino) oppure in gruppo antitetico sopra due centauri che recano un ramo fronzuto sulle spalle, stambecchi drizzati sulle zampe posteriori accanto all'albero della vita. L'analisi stilistica e tematica del fregio architettonico di P., intrapresa dal Bittel, dallo Schefold e dall'Akurgal, ha mostrato come esso si apparenti strettamente al repertorio greco arcaico: i guerrieri marcianti trovano il parallelo in analoghe figurazioni sui crateri micenei; i centauri ed alcune particolarità stilistiche (la punteggiatura interna dei corpi degli animali, la schematizzazione cuoriforme delle scapole) trovano riscontro nella ceramica greca del periodo orientalizzante, particolarmente in quella greca orientale. Così i grifoni con l'ala perfettamente incurvata a falce e la testa aquilina sormontata da un'alta protuberanza, sono di tipo ionico: essi si pongono al termine della lunga evoluzione che il mostro subisce, entrando in territorio greco dall'Anatolia, dall'iconografia tardo-hittita, che a P. si manifesta riplasmata nello spirito greco. Solo un motivo si dimostra prettamente orientale (elamita), quello degli animali fiancheggianti l'albero della vita: ma e un'eco remota, per di più anch'essa stilisticamente trasformata in senso greco, in un ambiente che vediamo proteso culturalmente e artisticamente verso l'occidente (l'irradiazione ellenica, secondo lo Schefold, verrebbe dai centri dell'Eolia attraverso la Lidia). Quanto alla datazione delle placche (ora al museo di Ankara), l'Akurgal pensa alla metà del VI sec. a. C., riconoscendo in esse l'imitazione di modelli greci e microasiatici del secolo precedente; l'aspetto di maggiore rozzezza che il fregio di P. presenta è dovuto non ad un'effettiva arcaicità, ma all'ambiente provinciale attardato. L'età classica ha lasciato a P. pochi resti di muri e grande abbondanza di ceramica: ma già dall'ellenismo comincia lo spopolamento e quindi la progressiva decadenza del sito.
Bibl.: H. Z. Kosay, Les fouilles de Pazarli (Pazarli Hafryiati Raporu), Ankara 1941, pp. 11-21, tavv. I-LX (fondamentale); K. Bittel, Bericht über die Ausgrabungen von Pazarli, in Arch. Anz., LIV, 1939, p. 133 ss.; H. Th. Bossert, Altanatolien, Berlino 1942, pp. 82, 276, nn. 1045-1048, pp. 84, 289, n. 1106; E. Akurgal, Bemerkungen zu den architektonischen Terrakottareliefs aus Pazarli in Phrygien, in Belleten, VII, 1943, pp. 1-43; id., Späthethitische Bildkunst, Ankara 1949, pp. 64, 145, nota 289; K. Schefold, Die Tonfriese von Pazarli, in Kleinasien und Byzanz (= Istanbuler Forschungen, XVII), Berlino 1950, pp. 137-48, tavv. LX-LXIII; E. Akurgal, Phrygische Kunst, Ankara 1955, passim, specialmente pp. 69-80, tavv. XLV-LVI; id., Die Kunst Anatoliens von Homer bis Alexander, Berlino 1961, pp. 85, 100, tav. VII c.