paziente
Compare solo nel Convivio, in due accezioni assai diverse fra loro.
Quale termine del linguaggio dottrinario, corrisponde al neutro latino patiens e greco τὸ πάσχον indica ciò che, avendo la possibilità di assumere, ricevere, " patire " forma, attualizza la propria potenza quando l'agente (v.) agisce con la sua virtù su di lui, in qualche modo rendendolo simile a sé: III XIV 2 ne li agenti naturali vedemo manifestamente che, discendendo la loro virtù ne le pazienti cose, recano quelle a loro similitudine tanto quanto possibili sono a venire.
In questo senso tecnico il valore del vocabolo era già stato fissato dalla filosofia aristotelica e scolastica. Lo documenta il passo di Cv II IX 7 l'atto de l'agente si prende nel disposto paziente, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, che si ritiene (per la diversa ipotesi del Moore, Studies I 114, v. Busnelli-Vandelli, ad l.) rinvio ad Arist. Anima II 2, 414a 11 " Videtur... in patiente et disposito activorum inesse ratio ", così chiarito dal commento di s. Tommaso (lib. II lect. IV n. 272): " Semper... activorum actus, idest formae, quae inducuntur ab agentibus in materia, videntur esse in patiente et disposito, idest in eo quod est natum pati actiones agentis a tali agente et quod est dispositum ad consequendum finem passionis, scilicet formam ad quam patiendo perducitur ". Altro esempio in III X 2.
In due casi ricorre con l'accezione più immediata e consueta e vale " disposto a moderazione e tolleranza ": III X 7 conosce l'amico suo non paziente ma iracundo a l'ammonizione; I X 4.