pazienza (nelle edizioni del Fiore, e solo in esse, sempre pacienza)
Secondo l'accezione comune, è la disposizione d'animo di chi accetta e sopporta con moderazione e rassegnazione un dolore o un'avversità: Cv IV XXVII 17 [ad] Eaco... per lo suo senno, che a pazienza lo tenne e a Dio tornare lo fece, lo suo popolo ristorato li fu maggiore che prima, e XVII 5; Fiore V 1 Con grande umilitate e pacïenza / promisi a Amor a sofferir sua pena; IV 9 portar in pacïenza.
Dopo aver inveito contro il lusso e la corruzione del clero, s. Pier Damiano apostrofa direttamente Dio: oh pazïenza che tanto sostieni! (Pd XXI 135). Lo spunto per l'invocazione è offerto da Paolo Rom. 9, 22 " Deus volens ostendere iram et notam facere potentiam suam sustinuit in multa patientia vasa irae apta in interitum ". In armonia al valore che ha il termine nel testo paolino, qui p. varrà " immensa longanimità ", " inesauribile comprensione ", materiata di bontà e d'indulgenza.
Dopo aver descritto la pena inflitta ai superbi, D. aggiunge: qual più pazïenza avea ne gli atti, / piangendo pareo dicer: ‛ Più non posso ' (Pg X 138). La maggior parte dei commentatori, rifacendosi a una chiosa dell'Ottimo (" qualunque il comportava con più pacifico animo "), attribuiscono a pazienza il significato di " rassegnazione " alla pena. Per primo il Tommaseo intese invece il vocabolo nel senso di " patimento ", " dolore fisico ", spiegando: " Quegli che agli atti mostrava di soffrire più che gli altri, piangendo parea che dicesse, ecc. ". Per quanto accolta dal Vandelli e dal Chimenz, questa spiegazione non convince perché " annulla l'intensità dell'espressione dantesca, riducendola a una constatazione ovvia e inutile " (Sapegno).
La personificazione della p. compare in Fiore LXXIX 9 tra i vassalli della Baronia d'Amore: Ancor v'era Umiltate e Pacïenza.