Peace-keeping
L'Italia continuerà,
con determinazione e convinzione,
a operare per un mondo pacificato
(Carlo Azeglio Ciampi)
Il significato delle missioni di pace italiane
di Mario Arpino
12 novembre 2003
A Nassiriya un'autocisterna con a bordo 400 kg di tritolo viene fatta esplodere all'ingresso del quartier generale della missione italiana in Iraq 'Antica Babilonia'. Le vittime italiane sono tredici carabinieri, quattro militari dell'Esercito e due civili: un addetto alla cooperazione e un regista e produttore cinematografico. Molti dei soldati avevano quasi terminato il loro mandato e sarebbero dovuti tornare in patria dopo pochi giorni. Mentre tutto il paese rende omaggio ai morti, caduti nell'esercizio del dovere, ci si interroga sulle motivazioni e le finalità della partecipazione italiana alle operazioni internazionali di mantenimento e rafforzamento della pace.
L'impegno italiano
Afghanistan e Iraq rappresentano solo gli ultimi tra i numerosi impegni che le Forze Armate italiane hanno assolto e assolvono all'estero, con modalità operative che, in termini allargati, continuiamo a chiamare 'missioni di pace'. La guerra al terrorismo, dichiarata dal presidente Bush in un discorso di soli sette minuti la sera dell'11 settembre 2001, ha infatti complicato l'analisi delle finalità di ciascuna missione e il dibattito parlamentare che caratterizza ormai ogni decisione altro non è che un nitido specchio di una situazione mutevole, complessa e non sufficientemente codificata, che si pone al di là dei lodevoli intenti umanitari, da sempre ben presenti nelle nostre missioni. In questa ottica, portare medicinali, viveri e coperte ai terremotati è differente dall'interporsi con le armi tra due contendenti e ciò è ancora diverso dall'abbattere dittature, sia pure sanguinarie e violente. È interessante, sotto questo profilo, rileggere le parole e i concetti espressi dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 5 febbraio 2004, nel salutare i fanti della Brigata Sassari al loro rientro dall'Iraq: "L'Italia continuerà, con determinazione e convinzione, a operare per un mondo pacificato, nel quale si estendano le garanzie democratiche e la libertà di espressione dei popoli, anche con l'impiego delle sue Forze Armate, laddove sarà necessario, e in collegamento con le Nazioni Unite, l'Unione Europea, la NATO". Alzando poi il tono della voce, ha soggiunto: "Lo dobbiamo ai caduti di Nassiriya". Per quanto riguarda la missione in Iraq, Ciampi ha sottolineato l'auspicio che essa "divenga presto, a pieno titolo, un'ampia missione di pacificazione delle Nazioni Unite, volta a ricostruire in quel martoriato paese le basi della civile convivenza, conculcate per tanti anni da una feroce dittatura". In queste poche parole il presidente è riuscito a comprendere tutta la dottrina e il significato delle missioni di pace italiane, vecchie e nuove, indicando nel contempo i temi problematici che, tra cronaca e storia, è quanto mai necessario sviluppare per una corretta ed equilibrata cognizione del fenomeno.
Il ruolo dell'ONU
Il modo di concepire i conflitti è cambiato più volte da quando è stata varata la Carta delle Nazioni Unite ed è normale che tutto il sistema organizzato ne risenta sotto vari profili, non ultimo quello del diritto internazionale. Ma l'obiettivo finale, quello di porre fine alle guerre, è ben lungi dall'essere raggiunto. Se la Carta dell'ONU affermava il divieto dell'uso della forza nella risoluzione delle controversie internazionali, demandando al Consiglio di Sicurezza come, se e quando usarla, la trasformazione, al di là dei buoni principi e alla prova dei fatti, sembrerebbe per ora essere riuscita a eliminare solo la parola guerra e non di certo il fenomeno. Le guerre, infatti, continuano a farsi come prima, con la variante che non si chiamano più così, non essendo state ufficialmente dichiarate da ambasciatori in tight e feluca. È questa, ovviamente, la madre di mille implicazioni giuridiche delle quali i Parlamenti nazionali devono continuamente farsi carico. Si fa spesso strada il concetto che se un'operazione di pace è richiesta dall'ONU oppure è condotta sotto la sua egida, o meglio è condotta direttamente dai caschi blu, allora non soltanto è lecita, ma è anche buona e giusta. In realtà non è sempre così.
Gli episodi di 'conflittualità non convenzionale' sono molto aumentati dopo la caduta del Muro, per cui sarebbe per prima cosa necessario capire quale possa essere, nel contesto giuridico internazionale, lo strumento più idoneo per combatterli, arginarli o, magari, prevenirli. La Carta dell'ONU e le varie organizzazioni che più o meno direttamente a essa fanno capo hanno in sé tutti gli strumenti idonei a risolvere, o quantomeno a controllare, questo tipo di questioni e la risposta sembrerebbe quindi scontata. Ma, purtroppo, non lo è affatto. L'Assemblea è infatti rappresentativa proprio di quella frammentazione di interessi che è origine prima dei conflitti. L'ONU poi non possiede una propria capacità di intervento e lo stesso Consiglio di Sicurezza, così come è strutturato, rappresenta oggi un anacronismo storico, costituito a suo tempo dai vincitori della Seconda guerra mondiale per ben diverse finalità. Se, teoricamente, il capitolo VI e il capitolo VII della Carta contengono tutto ciò che servirebbe per controllare il nuovo modo di concepire i conflitti, la realtà ci dimostra che, guardando indietro anche non di molto, i successi militari dell'ONU si possono contare sulle dita di una mano, mentre le questioni irrisolte, lasciate a metà come focolai di sicuri conflitti futuri, sono un gran numero. Il concorso delle grandi Organizzazioni internazionali o nazionali in possesso di una robusta struttura militare e di un valido sistema di comando e controllo continuerà, almeno nel medio termine, a essere indispensabile, su mandato o meno, purché l'intervento si ispiri ai principi e allo spirito della Carta. È in questo contesto che, primariamente, va ricercato il significato delle missioni di pace italiane.
Le missioni di pace secondo l'ONU
Se si esaminano gli interventi armati effettuati da singoli Stati o da Organizzazioni internazionali negli ultimi decenni, con o senza l'ONU e spesso con la partecipazione italiana, risulta possibile raggrupparli in quattro tipologie, ciascuna delle quali in qualche modo afferente al concetto di 'liceità'. Tra gli interventi effettuati con il 'consenso' del Sovrano Nazionale figurano l'UNIFIL (United Nations interposition force in Lebanon) nel 1978, la Forza multinazionale di pace sempre in Libano tra il 1982 e il 1984, l'operazione 'Pellicano' in Albania nel 1991, l'UNOMOZ (UN operation in Mozambique) dal 1992 al 1994 e ancora in Albania l'operazione 'Alba' del 1997 e i successivi accordi per il controllo dei clandestini. Tra gli interventi per il 'mantenimento' della pace si possono annoverare l'UNOSOM 1 (UN operation in Somalia) del 1992, l'UNPROFOR (UN protection force) in Croazia e in Bosnia del 1992 e la spedizione a Timor Est tra il 1999 e il 2000. Tra gli interventi 'coercitivi' per il mantenimento della pace rientrano il monitoraggio svolto nell'Adriatico dalle Marine dell'Unione europea occidentale e della NATO (Sharp vigilance e Sharp guard) tra il 1991 e il 1993, le missioni di seconda fase in Somalia (UNOSOM 2 e UNITAF, Unified task force) nel 1991 e 1993, nonché la costituzione delle zone di sicurezza in Bosnia nel 1993. Il quarto gruppo, quello oggi più discusso perché maggiormente carente di sostegno giuridico, comprende gli interventi autonomi di 'ingerenza' umanitaria, tra i quali si possono ricordare l'occupazione di parte del Kurdistan iracheno nel 1991 per fermare il genocidio dei curdi (operazione Provide comfort) e l'intervento della NATO in Kosovo nel marzo del 1999, effettuato senza l'autorizzazione dell'ONU. Persino l'ingresso in Cambogia del Vietnam (1978) a seguito delle stragi perpetrate sulla popolazione dai Khmer rossi potrebbe essere annoverato in questa categoria.
A ben ricordare, dopo la guerra di Corea del 1950-53, cui l'Italia contribuì con un ospedale da campo, e l'intervento contro l'Iraq del 1991, in conseguenza dell'invasione del Kuwait (la partecipazione italiana, la prima a fuoco nel dopoguerra, consistette nell'invio di un gruppo di cacciabombardieri Tornado) non vi sono altri esempi in cui l'ONU abbia esplicitamente autorizzato l'uso della forza. Vi sono state invece autorizzazioni implicite, ma nebulose e talvolta impugnabili, riferite per lo più all'articolo 51 della Carta, in relazione al "diritto di autodifesa" oppure alla "minaccia per la pace internazionale e per la sicurezza della regione" e alla necessità di combattere questa minaccia "con tutti i mezzi", tra i quali, come nel caso dell'Afghanistan, è stato possibile contemplare anche l'uso della forza. Nulla, se non a posteriori, per quanto riguarda l'Iraq (ricompreso, come l'Afghanistan, nella 'guerra al terrorismo') e per quanto riguarda l'uso della forza come 'ingerenza umanitaria'. A quest'ultimo proposito, risulterebbe che solo la NATO si sia espressa al vertice di Washington dell'aprile 1999, guerra del Kosovo in corso, affermando che la forza potesse essere applicata senza esplicita autorizzazione dell'ONU o richiesta dal Sovrano Nazionale unicamente in situazioni di vera emergenza umanitaria (nella fattispecie genocidio) e nel rispetto dei principi generali sanciti dalla Carta.
Risulta evidente che, in mancanza di aggiunte e varianti ai capitoli VI e VII, è ormai la prassi a fare giurisprudenza internazionale. In termini di liceità è ovvio che, in carenza dell'ONU, per i casi particolari fanno testo gli accordi bilaterali tra Stati. Nei primi mesi del 2004 in Italia è stato assai acceso il dibattito sull'opportunità, la legittimità e le conseguenze del supporto logistico nazionale all'operazione Iraqi freedom. In realtà, si è discusso su un problema che non si pone. Tra l'Italia e gli Stati Uniti esistono accordi bilaterali che si riferiscono proprio alla logistica e ai transiti di materiale bellico sul territorio, senza menzione alcuna a situazioni di pace o di guerra.
Sino a oggi questi accordi non solo non sono mai stati denunziati, ma al contrario sono stati più volte oggetto di varianti nei loro Annessi, senza che ne venissero mai intaccati gli aspetti sostanziali. È plausibile che, nei tempi nuovi, necessitino di rivisitazione, ma ciò presuppone una volontà politica.
Tipologia e significato delle missioni di pace
Oggi, in Europa, non si può parlare di missioni di pace senza che la mente vada a Petersberg, un bel castello sulle colline prospicienti il fiume Reno, in Germania, nei pressi di Colonia e di Bonn, spesso utilizzato per i grandi eventi internazionali. Qui, nel 1992, i capi di Stato e di governo, rifacendosi alle articolazioni del capitolo VI e del capitolo VII della Carta dell'ONU, cercarono di mettere un po' di ordine nella materia, ritenuta ormai, forse a torto, l'unica motivazione dell'esistenza delle Forze Armate nei paesi liberi, come di fatto è stato per molto tempo, almeno sino alla svolta determinata dai fatti dell'11 settembre 2001. Oggi vanno sotto il nome di 'missioni di Petersberg' tutte quelle condotte da forze militari che spazino dal disaster relief, intervento umanitario in caso di calamità, alla separation by force, utilizzo della forza per la separazione dei contendenti, fatta eccezione per quelle relative alla 'guerra al terrorismo'. L'Italia ha partecipato e partecipa, come vedremo in seguito, all'intera gamma di queste missioni. Prima di passare a descriverle è utile qualche ulteriore precisazione dei termini, a beneficio della chiarezza e della corretta comprensione della natura e del significato degli interventi.
Le operazioni umanitarie hanno natura diversa da quelle per il supporto della pace, tanto che un tempo, prima della microconflittualità successiva alla caduta del Muro, venivano effettuate da organizzazioni caritatevoli, dalla Croce Rossa o da missioni religiose (Jean 2004, cap. 15). Oggi, sempre più spesso vengono condotte da forze militari, che hanno il vantaggio di offrire maggiore sicurezza, migliore logistica e una rete di telecomunicazioni affidabile. Qualitativamente, le operazioni umanitarie si collocano nella 'zona grigia' posta tra il non intervento e il peace-keeping di prima generazione, che in passato si esplicava in missioni di osservazione e controllo pacifico delle tregue tra gli eserciti o le fazioni in lotta. In genere consistono nell'apertura di corridoi e di aree di sicurezza per consentire la distribuzione di aiuti umanitari, o nell'assunzione, per un tempo limitato, di funzioni e responsabilità specifiche delle autorità civili. Di particolare interesse appaiono le cosiddette attività CiMiC (Civil-military cooperation), che possono spaziare dalla funzione di anagrafe pubblica alla riparazione dei tetti, dalla distribuzione di viveri e indumenti al recupero di abitazioni occupate e così via, una forma di cooperazione che sviluppa un senso di fiducia da parte delle popolazioni delle aree controllate verso i militari che vi sono schierati. In queste operazioni l'uso della forza è autorizzato solo per autodifesa. È però rimarchevole il fatto che nel peace-keeping cosiddetto di seconda generazione, quello che è normalmente applicato nelle missioni ONU in Africa, è previsto che i caschi blu dispongano di regole di ingaggio non soltanto per l'autodifesa, ma anche per l'assolvimento del mandato diretto a far cessare le ostilità.
Le truppe italiane si sono trovate a operare nell'una o nell'altra condizione e, spesso, in entrambe contemporaneamente.
Gli interventi di peace-enforcing, assimilabili a vere e proprie operazioni di guerra, pur rientrando nelle misure previste dal capitolo VII della Carta, hanno natura coercitiva e mirano a costringere le parti in lotta a negoziare e a rispettare un accordo di pace. Queste attività hanno la caratteristica di prolungarsi nel tempo, sino a quando non sia possibile la loro trasformazione in peace-keeping di prima generazione, rientrando così nello spirito del capitolo VI. Le operazioni di peace-making, sotto il profilo pratico, non differiscono dalle precedenti, ma, concettualmente, fanno 'guerra alla guerra', cercando di non lasciar degenerare ulteriormente le situazioni o, quantomeno, di realizzare un nuovo equilibrio di forze che non premi l'aggressore. Un esempio è quanto avvenuto in Bosnia nel 1995, quando l'alternanza di uso della forza, per mezzo di attacchi aerei contro le truppe serbo-bosniache che circondavano Sarajevo, e di azione diplomatica di fatto ha portato i contendenti al tavolo di Dayton. Sono, infine, classificati come peace-building quegli interventi che, dopo un conflitto, mirano a incoraggiare la ricomposizione politica, per consolidare la pace senza trascurare il miglioramento delle condizioni socioeconomiche (Corsini 2003). Si tratta di processi laboriosi - vedasi l'esperienza del Kosovo - dove la presenza militare conferisce la cornice di sicurezza necessaria al graduale ritorno alle consuetudini del vivere civile. Le forze italiane si sono trovate a operare in ciascuno dei tre casi descritti e spesso simultaneamente in almeno due di essi.
I prodromi delle missioni italiane
Sebbene le operazioni Libano 1 del 1982 e Libano 2, dal 1982 al 1984, siano state le prime ad attrarre l'attenzione dell'opinione pubblica in maniera massiccia, vuoi per la loro durata, vuoi per la loro dimensione, vuoi per il ruolo già assunto all'epoca dai media, la tradizione di missioni di pace all'estero delle Forze Armate italiane è assai più antica.
Già ai tempi della crisi di Creta (Isastia 2000), tra il 1897 e il 1906, un distaccamento di bersaglieri condivise con la fanteria di Marina inglese l'onere di assicurare l'ordine nell'isola, mentre un nucleo di carabinieri regi si occupava dell'addestramento della polizia locale. Dopo la guerra, negli anni Cinquanta, toccò a un corpo di sicurezza italiano assicurare nel corso dell'Amministrazione fiduciaria della Somalia l'ordine interno e i più elementari servizi necessari al vivere civile e, nel contempo, preparare le Forze Armate locali al cammino verso l'indipendenza, poi proclamata il 1° luglio 1960. Sempre negli anni Cinquanta, l'Aeronautica Militare compì numerose missioni a favore dell'ONU, come tra il novembre 1956 e il marzo 1957 il ponte aereo tra Napoli e Abu Suweir, stabilito con i 'vagoni volanti' C-119 per il supporto logistico alla forza di interposizione UNEF (UN emergency force) schierata sul Canale di Suez. Subito dopo, dal settembre 1957 all'aprile 1958, i velivoli italiani furono impegnati in un altro ponte aereo, per assicurare l'avvicendamento tra gli aeroporti di Beirut e Al Arish dei caschi blu scandinavi impiegati nella striscia di Gaza.
Così, la 46a Aerobrigata da trasporto di Pisa venne ufficialmente inserita dall'ONU nel novero delle forze internazionali utilizzabili nelle aree di crisi.
Ma fu nel corso della guerra civile scoppiata nell'ex Congo Belga nell'estate del 1960 che l'Aeronautica Militare dovette affrontare il suo maggiore impegno dell'epoca, e il suo più doloroso sacrificio. Prima vittima di quel conflitto fu un giovane diplomatico, il viceconsole Tito Spoglia, falciato da una raffica di mitra nella notte del 10 luglio 1960 mentre tentava di portare in salvo alcune famiglie. I 'vagoni volanti', partiti immediatamente da Pisa, evacuarono in pochi giorni 429 connazionali, lasciando in cambio 57.350 libbre di materiale di soccorso. Nasceva parallelamente la missione UNOC (UN operation in the Congo), con caschi blu di Tunisia, Ghana, Etiopia, Marocco, Svezia e Irlanda, ai cui distaccamenti, dislocati in aeroporti sparsi su sei province congolesi, fornivano supporto logistico i C-119 italiani, sui quali spiccavano le insegne dell'ONU. Tra il luglio 1960 e il giugno 1962, quando il distaccamento aereo italiano fu rimpatriato, i velivoli dell'Aeronautica Militare avevano effettuato 2177 sortite, per un totale di 9165 ore di volo, trasportando oltre 9 milioni di libbre di materiale e oltre 8000 passeggeri: tutto al prezzo di 21 vite umane, tra cui quelle dei 13 aviatori trucidati a Kindu l'11 novembre 1961, sei feriti e tre aerei distrutti. Da allora sino a oggi non c'è stata missione di pace delle Forze Armate italiane cui non abbiano partecipato i velivoli da trasporto della 46a Brigata aerea di Pisa o del 31° Stormo di Ciampino.
Aree di intervento delle missioni italiane
Mar Cinese meridionale e Cambogia. Nel luglio 1979 la Marina Militare, con le navi Vittorio Veneto, Stromboli e Andrea Doria, svolse una missione umanitaria nel Mar Cinese meridionale, portando in salvo numerosi profughi vietnamiti alla deriva, i cosiddetti boat people. Un anno dopo, durante la terribile guerra civile scatenata in Cambogia dai Khmer rossi e il successivo intervento del Vietnam, l'Aeronautica Militare, utilizzando alcuni G-222 della 46a Brigata aerea di Pisa, stabilì un ponte aereo tra Bangkok e Pnom Penh, per portare aiuti umanitari sotto l'egida della Croce Rossa internazionale. Nel 1992-93, con il supporto del 31° Stormo di Ciampino, l'Arma dei Carabinieri schierò in Cambogia 75 militari, per contribuire alla riattivazione dei servizi civili e di anagrafe. L'operazione si svolse nel quadro della missione UNTAC (UN transitional authority in Cambodia).
Libano e Sinai. Nell'agosto 1979 fu costituita in Libano una Forza di pace, cui l'Italia contribuì inviando in sostituzione di un'unità norvegese un Gruppo di elicotteri dell'Esercito e della Marina, con piloti e specialisti tratti anche dall'Aeronautica; la missione UNIFIL è tuttora in atto, con gli elicotteri italiani di base a Nakoura. Nel 1982, l'ONU istituì anche una Forza multinazionale di osservazione nella penisola del Sinai (MFO, Multinational force and observers, Sinai), cui la Marina partecipò con tre cacciamine e 90 uomini schierati a Sharm el Sheik; anche questa missione è ancora in atto. Le prime missioni di una certa consistenza dove per la prima volta fu impegnato l'Esercito furono le già ricordate Libano 1 e Libano 2, tra il 1982 e il 1984: un contingente di circa 2200 militari dell'Esercito e della Marina (battaglione San Marco, cui apparteneva l'unica vittima) si avvicendò nel controllare le strade di Beirut ovest, nonché i campi di profughi palestinesi di Sabra e Chatila; nel contempo, migliaia di civili libanesi vittime della guerriglia venivano curati nell'ospedale da campo, aperto a tutta la popolazione. Sempre nel 1984 tre cacciamine della Marina, appoggiati dalla nave Cavezzale, intervennero nel Canale di Suez per un'azione di sminamento resa necessaria da atti terroristici.
Golfo Persico e Kuwait. Nel 1987, la Marina italiana partecipò a una missione multinazionale (Golfo 1) organizzata dall'ONU per proteggere il naviglio mercantile dagli attacchi dei pasdaran iraniani nel quadro del conflitto con l'Iraq. Dopo l'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, nell'agosto 1990, l'Italia in conformità a una decisione dell'ONU inviò nel Golfo Persico il 20° Gruppo Navale e, nel successivo settembre, un Gruppo di cacciabombardieri Tornado. La campagna Desert storm rappresentò un momento assai importante perché per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale le forze italiane ebbero un ruolo attivo in operazioni belliche effettive. È stato in conseguenza di questa prima Guerra del Golfo che in Italia si è cominciato a pensare seriamente alla 'professionalizzazione' delle Forze Armate. Al termine del conflitto una risoluzione del Consiglio di Sicurezza stabilì un intervento nell'Iraq settentrionale per evitare il massacro dei curdi. Nel quadro della più ampia campagna statunitense Provide comfort, l'Italia organizzò l'operazione 'Airone', guidata dall'Esercito, con lo schieramento di velivoli da trasporto in Turchia e forze terrestri nell'area di Zhako.
Croazia e Bosnia. Gli anni Novanta sono stati caratterizzati dalle crisi balcaniche, già latenti nell'immediato dopo-Tito e scoppiate poco dopo la caduta del Muro. L'Italia, esclusa dal Gruppo di Contatto in quanto già nazione occupante, non poté esimersi da altri tipi di supporto da estrinsecarsi con la disponibilità delle basi militari e con l'intervento umanitario. Una prima iniziativa fu l'invio della nave San Marco a Dubrovnik, nel novembre 1991, con soccorsi per i rifugiati croati e il trasferimento a Brindisi di 800 donne, anziani e bambini. Alle operazioni di monitoraggio dell'embargo imposto dall'ONU nei confronti di Serbia e Montenegro, la Marina Militare partecipò con circa un quarto della flotta, mentre l'Aeronautica mise a disposizione le sue basi per l'operazione Deny flight della NATO. La durata del conflitto in Bosnia, dalla dichiarazione di indipendenza nel marzo 1992 fino alla sottoscrizione dell'accordo di Dayton nel 1995, vide un sempre maggiore impegno italiano, che costò la perdita degli equipaggi di un elicottero dell'Esercito in ricognizione e di un G-222 dell'Aeronautica in volo di trasporto umanitario per conto dell'ONU tra Ancona e Sarajevo. Attorno a questa città, nel corso della primavera-estate 1995, velivoli Tornado e AM-X dell'Aeronautica compirono assieme agli alleati numerosi attacchi aria-superficie, per neutralizzare le armi pesanti della Repubblica Serba che cannoneggiavano il centro cittadino. Dopo la cessazione della missione delle Nazioni Unite UNPROFOR, dimostratasi inadeguata per carenze decisionali, di comando e controllo, nella regione subentrò la NATO con le missioni IFOR (Implementation force) e successivamente SFOR (Stabilization force).
In quest'ambito, alla fine del 1995, furono inviati a presidio di Sarajevo i primi reparti dell'Esercito e dei Carabinieri.
Albania. Dopo il primo massiccio esodo di clandestini albanesi verso l'Italia, nel settembre 1991 le Forze Armate italiane misero piede in Albania per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, questa volta disarmate, impegnate in un'operazione umanitaria di grandi dimensioni per portare assistenza alla popolazione sin nell'interno del paese. È riconosciuto che fu proprio la missione 'Pellicano' del nostro Esercito, durata ben 804 giorni, ad aver consentito il primo avvio dell'Albania verso il ristabilimento di un regime democratico. Nel 1997, a seguito di una grave crisi economica e istituzionale attraversata dall'Albania, fu varata l'operazione 'Alba', a base prevalentemente italiana e organizzata dallo Stato Maggiore della Difesa, nella quale le Forze Armate italiane si riattribuirono sul campo una gran parte del merito della rinascita civile del paese. La collaborazione, cui sono seguiti accordi proficui, è tuttora amichevole e attiva.
Somalia e Mozambico. Nata come missione di soccorso umanitario sotto l'egida dell'ONU, l'operazione 'Ibis' in Somalia, che ha visto impegnate le forze italiane per 15 mesi tra il dicembre 1992 e il marzo 1994, ha dimostrato come esse avessero ormai acquisito maturità tale da intervenire anche in situazioni complesse, con capacità di analisi psicologica, di diplomazia e di padronanza nella gestione delle relazioni umane, del supporto logistico e della capacità operativa: elementi, questi, tutti di massimo rilievo in una missione di peace-keeping (UNOSOM 1) trasformatasi strada facendo in peace-enforcing (UNOSOM 2). L'impegno dell'Esercito e dei Carabinieri ha assicurato una presenza media di 2400 uomini, cui vanno aggiunti i contingenti della Marina e dell'Aeronautica. Missione difficile, l'operazione è costata 14 morti, tra cui una giornalista e una crocerossina.
In Mozambico l'Italia è intervenuta con l'operazione 'Albatros' dal dicembre 1992 alla fine del 1994; il mandato delle Nazioni Unite prevedeva, al termine di una disastrosa e lunga guerra civile, il controllo della cessazione del fuoco, la smobilitazione delle fazioni armate e un programma di assistenza alle popolazioni.
Kosovo. Dopo il fallimento delle trattative di Rambouillet per porre termine al genocidio perpetrato dai serbi ai danni della popolazione di etnia albanese, le forze aeree italiane parteciparono alle operazioni della coalizione NATO, attaccando per 78 giorni consecutivi (24 marzo-10 giugno 1999) l'esercito serbo. Successivamente entrarono in Kosovo, sempre in ambito NATO, anche forze dell'Esercito a livello di Brigata, assumendo il controllo di un settore. L'operazione di peace-keeping, che ha incluso una parte della Macedonia, è tuttora in corso. Da sottolineare come per due periodi, uno di sei mesi e uno di un anno, un generale italiano sia stato comandante di una forza della NATO superiore a 40.000 uomini, riscuotendo successo e rispetto.
Timor Est. La partecipazione a INTERFET (International force in East Timor) è stata senz'altro la missione più lontana svolta dalle Forze Armate italiane, che tra l'ottobre 1999 e il febbraio 2000 hanno operato, in piena autonomia logistica, a 16.000 km dall'Italia, impegnando un contingente di 600 uomini delle tre Armi e dei Carabinieri. La missione, sotto mandato dell'ONU, era stata originata dall'esigenza di far cessare i massacri della popolazione da parte delle bande paramilitari musulmane contrarie all'indipendenza dell'isola dall'Indonesia.
Afghanistan e Iraq. Le operazioni Enduring Freedom e ISAF (International security assistance force) in Afghanistan e 'Antica Babilonia', nell'ambito della campagna Iraqi Freedom, in Iraq sono tuttora in corso e appartengono a una categoria di interventi originata dalla 'guerra al terrorismo' che l'ONU, al momento, non ha ancora classificato tra quelle previste dai capitoli VI e VII della Carta.
Il dibattito parlamentare e la percezione sociopolitica
Il carattere parlamentare dell'ordinamento italiano comporta che l'indirizzo politico, ivi compreso l'impiego delle Forze Armate, spetti alle Camere e al Governo, legati da un rapporto fiduciario. Su 78 missioni militari cui l'Italia ha partecipato nel dopoguerra, l'intervento del Parlamento si è verificato in 55 casi, attraverso strumenti e procedure tra loro diverse. La prassi del passaggio alle Camere non è quindi costante e qualche governo lo ha addirittura omesso limitandosi a un''informazione' nel quadro di autorizzazioni precedenti, o dando per scontato ampio e unanime supporto, specie nei casi di 'obbligo internazionale' quando piccole operazioni sono state disposte direttamente dall'ONU. Rientra in questa fattispecie la partecipazione a UNMOGIP (UN military observer group in India and Pakistan, gennaio 1959), UNIIMOG (UN Iran Iraq military observer group, agosto 1988), alla già ricordata UNIFIL (luglio 1979) fino alle più recenti MINUGUA (Misión de Verificación de las Naciones Unidas en Guatemala, luglio 1995) o MONUC (Mission de l'Organisation des Nations Unies en République démocratique du Congo, dicembre1999). Vi sono poi dei casi in cui l'intervento parlamentare si è svolto successivamente all'inizio della missione. Questo è accaduto, per esempio, per la missione umanitaria Allied harbour svolta in ambito NATO dall'AFOR (Albanian force) dall'8 aprile 1999, contestualmente alle operazioni di guerra in Kosovo.
Il dibattito parlamentare ha assunto aspetti di ampio rilievo a seguito della situazione venutasi a creare dopo l'11 settembre 2001, con particolare riferimento alla legittimazione delle cosiddette 'guerre preventive' e al ruolo delle Nazioni Unite, della NATO e in genere delle organizzazioni internazionali. La stessa definizione di 'missioni di pace' per alcune delle attività militari in atto è stata in più occasioni posta in discussione. Ciononostante, la percezione sociopolitica delle missioni da parte dell'opinione pubblica sembra essere positivamente crescente. C'è un incremento di attenzione per le relazioni internazionali e per la politica estera, settori verso i quali il pubblico italiano mostrava tradizionalmente una certa freddezza, e si comincia a notare anche un risveglio di interesse verso le Forze Armate e le loro attività. Ne sono dimostrazione due fatti statistici. Dopo il triste evento di Nassiriya, le domande di giovani che desiderano arruolarsi come volontari sono all'incirca raddoppiate. Parallelamente, un sondaggio realizzato a febbraio 2004 da IPSOS tra 1000 persone, campione rappresentativo della popolazione italiana adulta, ha dato risultati sorprendenti: il 68% degli intervistati si identifica 'molto' o 'abbastanza' con i militari in missione, il 29% ricorda con maggior favore la missione in Iraq, seguita dal 21% per il Kosovo, l'80% ritiene che il ruolo delle Forze Armate italiane sia proprio di carattere umanitario o di sicurezza, mentre il 92% è disponibile a confermare questi ruoli anche per il futuro. Da ultimo, il 99% è convinto che la creazione di un Esercito europeo garantirebbe la sicurezza e favorirebbe la pace internazionale.
repertorio
Le operazioni di peace-keeping nel sistema delle Nazioni Unite
Nascita e sviluppo delle operazioni
di Mario Carta
Le operazioni di peace-keeping sono state definite un''invenzione' delle Nazioni Unite da una parte per esprimere la difficoltà di rinvenire tra le norme del suo statuto, la Carta di San Francisco del 1945, un sicuro fondamento giuridico per tale tipologia di missioni, dall'altra per mettere in luce la varietà e l'ampiezza dei compiti che i contingenti militari inviati in aree di crisi internazionali sono chiamati a svolgere.
Tra le ragioni dello sviluppo di questa particolare modalità di intervento delle Nazioni Unite vi è senza dubbio la mancata attivazione della complessa procedura per costituire forze aeree, navali o terrestri necessarie a garantire l'attuazione delle misure coercitive implicanti l'uso della forza che il Consiglio di Sicurezza, ai sensi dell'articolo 42 della Carta, può adottare per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. L'istituzione di Forze Armate da porre direttamente sotto il comando del Consiglio di Sicurezza, in via permanente, avrebbe richiesto la previa conclusione di appositi accordi con gli Stati membri, volti a stabilire il numero, il grado di preparazione e la dislocazione dei contingenti nazionali messi a disposizione dell'organo, nonché il genere di facilitazioni e di assistenza che si sarebbero dovuti fornire. Tali accordi non sono mai stati conclusi e gli organi chiamati a coadiuvare il Consiglio di Sicurezza nell'opera di direzione e comando delle forze militari, come il Comitato di Stato Maggiore, non hanno mai esplicato alcuna funzione rilevante in materia.
La mancata attuazione di tali disposizioni della Carta non ha impedito però, di fronte al sorgere di esigenze concrete di intervento - legate per esempio alla necessità di prevenire, limitare o far cessare le ostilità tra le parti di un conflitto di natura sia internazionale sia interna - lo svilupparsi nell'ambito delle Nazioni Unite di una prassi che ha favorito la costituzione di contingenti militari formati da Forze Armate reperiti grazie ad accordi ad hoc conclusi dal Segretario Generale, su delega del Consiglio di Sicurezza, con alcuni Stati membri che, in tal modo, mettono a disposizione dell'Organizzazione propri contingenti militari per periodi limitati e variabili.
Le prime esperienze in tal senso risalgono all'istituzione di una Forza di emergenza nel Sinai (UNEF 1), incaricata durante la crisi di Suez del 1956 e sino al 1967 di assicurare e sorvegliare la cessazione delle ostilità tra Egitto da una parte e Israele, Gran Bretagna e Francia dall'altra. Nonostante l'iniziativa per la costituzione della forza fosse stata presa eccezionalmente dall'Assemblea Generale, in presenza di un Consiglio di Sicurezza paralizzato dal ricorso al diritto di veto da parte di alcuni membri permanenti, già da questa prima missione emergono quelle che saranno le caratteristiche principali delle successive peace-keeping operations. In particolare il mandato dell'Assemblea Generale questa volta, a differenza di precedenti operazioni svolte sempre sotto l'egida delle Nazioni Unite da corpi di osservatori, consentiva il ricorso all'uso della forza ai fini della legittima difesa, anche in considerazione della persistente pericolosità della situazione nella quale i contingenti erano stati chiamati a intervenire.
A questa prima missione seguì presto, questa volta su impulso del Consiglio di Sicurezza, l'istituzione nel 1960 di una forza operante in Congo (UNOC), con l'obiettivo di mantenere l'ordine interno in quel paese per i gravi incidenti sorti all'indomani dell'indipendenza dal Belgio, sfociati nella secessione della provincia del Katanga. Furono successive la costituzione di una forza delle Nazioni Unite a Cipro (UNFICYP, creata nel 1964 e ancora oggi attiva non semplicemente come forza di interposizione), di una seconda forza cuscinetto tra Egitto e Israele (UNEF 2, attiva tra il 1973 e il 1979), di una forza di osservazione tra Israele e Siria per il disimpegno militare dalle alture del Golan (UNDOF), istituita nel 1974 in seguito alla guerra del Kippur, di una forza temporanea delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL), creata nel 1978.
La gran parte delle operazioni però è stata realizzata a partire dagli anni Novanta sino a oggi, dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine dell'equilibrio internazionale fondato sul ruolo svolto dalle grandi potenze. Si è avuta un'accentuazione dei compiti di natura non esclusivamente militare ma di assistenza civile alle amministrazioni delle zone di conflitto, attuata per esempio tramite il controllo dei procedimenti elettorali, di polizia civile, di assistenza umanitaria alle popolazioni coinvolte nei conflitti, di verifica del rispetto in quelle aree dei diritti dell'uomo (cosiddetto peace-keeping multifunzionale).
Tra le decine di missioni con tali caratteristiche, solo per citarne alcune, vanno ricordate quelle intraprese a far data dal 1992 sulla base del mandato originario del Consiglio di Sicurezza, in varie zone della ex Iugoslavia dall'UNPROFOR (UN protection force), la missione presente in Cambogia dal 1991 prima come UNAMIC (UN advance mission in Cambodia), nell'ambito degli sforzi per assicurare la pace tra le fazioni in lotta in quel paese, e poi dal 1992 come UNTAC (UN transitional authority in Cambodia), che sino alla scadenza del suo mandato, nel settembre 1993, ha svolto non solo funzioni di amministrazione civile ma ha anche organizzato l'intero processo elettorale in Cambogia, ha contribuito ad assicurare la tutela dei diritti dell'uomo nel paese, ha svolto attività umanitaria per favorire il rimpatrio dei rifugiati.
Più recentemente, con risoluzione nr. 1272 del 1999, è stata creata una forza multinazionale sotto comando australiano per ristabilire la pace e la sicurezza in Timor Est (UNTAET, UN transitional administration in East Timor), dotata anche di poteri di amministrazione del territorio sino alla sua indipendenza, realizzatasi nel maggio 2002.
Principali caratteristiche del peace-keeping
di Mario Carta
Gli elementi che generalmente caratterizzano le operazioni di mantenimento della pace, anche in virtù di quanto previsto dal Segretario Generale delle Nazione Unite nel Supplemento all'Agenda per la pace, possono riassumersi in tre dati principali che appaiono peraltro strettamente legati tra loro: a) il consenso dello Stato o degli Stati nel cui territorio si interviene, che spesso è contenuto in accordi o piani di pace conclusi grazie alla mediazione delle stesse Nazioni Unite nella persona del suo Segretario Generale; b) l'imparzialità e neutralità delle forze che operano rispetto alle parti in conflitto, ragione per la quale si cerca di coinvolgere nella loro istituzione Stati diversi; c) il ricorso all'uso della forza limitato ai soli casi di legittima difesa.
Quest'ultima caratteristica, in particolare, contribuisce a distinguere le operazioni in questione da quelle missioni che vengono invece definite di peace-enforcement, pure esse deliberate dal Consiglio di Sicurezza ma che hanno un loro fondamento giuridico ben individuato nel capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, a differenza di quanto accade per le peace-keeping operations. Il riferimento alle disposizioni raccolte sotto tale titolo, e in particolare a quella di cui all'articolo 42 relativa all'adozione di misure coercitive, si spiega in quanto il mandato dell'operazione contempla in questi casi l'uso della forza a fini non solamente difensivi ma autorizza i contingenti militari a ricorrere a tutti i mezzi necessari per garantire il raggiungimento di determinati scopi. In base a tali principi si può qualificare in termini non di peace-keeping ma di peace-enforcement, per esempio, la missione UNOSOM 2, ove il ricorso all'uso della forza in senso più esteso è stato autorizzato dal Consiglio di Sicurezza per garantire il disarmo delle parti in lotta, il sequestro di armi non legittimamente detenute, la sicurezza nelle operazioni di assistenza umanitaria alla popolazione civile, ma anche ai fini dell'adozione di ogni misura necessaria per neutralizzare i responsabili degli attacchi armati rivolti contro i contingenti militari delle Nazioni Unite impegnati nell'operazione, di fatto autorizzando in questo modo azioni di combattimento contro le fazioni in lotta.
Il fondamento giuridico
di Mario Carta
Per quanto concerne il fondamento normativo delle operazioni, diverse tesi sono state elaborate dalla dottrina, in mancanza di un'espressa previsione della Carta dalla quale dedurre in maniera certa i poteri del Consiglio di Sicurezza nell'istituire tali operazioni.
Secondo un primo orientamento le peace-keeping operations andrebbero inquadrate nella funzione conciliativa del Consiglio prevista dal Capitolo VI della Carta, in considerazione del fatto che i compiti svolti spesso tendono al riavvicinamento delle parti in lotta e sono funzionali all'applicazione di accordi di pace come, per fare un esempio tra i tanti, è accaduto per la creazione della Forza UNOMOZ attiva in Mozambico nell'ambito dell'accordo di pace sottoscritto a Roma nel 1992 dai presidenti della Repubblica del Mozambico e della RENAMO (Resistencia nacional mocambicana), per porre termine a un conflitto durato 14 anni.
Altra tesi invece, per la verità minoritaria anche se autorevolmente sostenuta, riconduce le operazioni in questione nell'alveo delle misure coercitive ex articolo 42 della Carta che il Consiglio di Sicurezza può adottare per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale, ponendo evidentemente in risalto la componente militare delle forze, che realizzerebbero quindi vere e proprie azioni di polizia internazionale e non solo attività di pacificazione tra le parti in lotta. Come si è accennato in precedenza tale riferimento avrebbe invece un suo fondamento solo per quella particolare tipologia di operazioni che sono state definite di peace-enforcement.
Vi è anche una parte della dottrina che, in virtù della responsabilità principale nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali attribuita dall'articolo 24 della Carta al Consiglio di Sicurezza, deduce dalla necessità di perseguire tale finalità a carattere generale anche il potere di istituire le forze in questione, in applicazione della teoria dei poteri impliciti formulata dalla Corte Internazionale di Giustizia nel parere dell'11 aprile 1948 in materia di danni subiti da funzionari delle Nazioni Unite.
Il dato comune a opinioni tanto diverse, ciascuna oggetto di critiche specifiche, è sicuramente rappresentato dal tentativo di ancorare al dato testuale della Carta la competenza del Consiglio di Sicurezza nel decidere le peace-keeping operations. Per la verità questo comune orientamento non si concilia pienamente con la prassi seguita dallo stesso Consiglio di Sicurezza che, nell'adozione delle risoluzioni istitutive delle peace-keeping operations, non si è mai peritato, invece, di indicare i riferimenti giuridici e le norme della Carta da porre a fondamento delle risoluzioni in questione. Le difficoltà richiamate, pertanto, hanno spinto parte della dottrina a ritenere che la legittimazione all'adozione di misure del genere dovesse rinvenirsi piuttosto nella formazione di una norma consuetudinaria interna alle Nazioni Unite, desumibile dalla pressoché totale accettazione di questa prassi operativa, manifestatasi soprattutto in epoca recente, da parte degli Stati membri. Elemento significativo a tal proposito è rappresentato senz'altro dall'elevato numero delle operazioni di peace-keeping intraprese sotto l'egida delle Nazioni Unite.
Le operazioni concluse
UNEF 1 (UN emergency force). Fu costituita nel novembre 1956 per monitorare la cessazione delle ostilità nel settore del Canale di Suez e nella penisola del Sinai, sovrintendere al ritiro delle forze armate francesi, israeliane e britanniche dal territorio egiziano e, successivamente, fungere da interposizione tra le forze egiziane e israeliane. Fu sciolta nel maggio 1967, per volere dell'Egitto.
UNOGIL (UN observation group in Lebanon). Operò da giugno a dicembre 1958 al confine fra Libano e Siria per controllare che non si verificassero infiltrazioni illegali di persone, armi o di materiali.
UNOC (UN operation in the Congo). Istituita nel 1960 per assicurare il ritiro delle forze belghe dal Congo divenuto indipendente, rimase poi schierata per mantenere l'integrità territoriale del paese, minacciata dalla secessione del Katanga, e provvedere all'allontanamento di tutto il personale militare e paramilitare che non fosse sotto il comando delle Nazioni Unite. Si concluse nel 1964.
UNSF (UN security force in West New Guinea). Creata nel 1962 per mantenere la pace e la sicurezza nell'Irian occidentale, sottoposto in base agli accordi fra l'Indonesia e l'Olanda all'autorità transitoria dell'ONU, verificò il rispetto del cessate il fuoco e contribuì a garantire legge e ordine fino al passaggio dei poteri alle autorità indonesiane nel 1963.
UNYOM (UN Yemen observation mission). Dal luglio 1963 al settembre 1964 accertò che Arabia Saudita e la Repubblica Araba Unita rispettassero l'accordo di richiamo delle truppe.
DOMREP (Mission of the representative of the Secretary General in the Dominican Republic). Fu una missione di osservazione costituita nel 1965 per riferire al Segretario Generale sulle violazioni del cessate il fuoco tra le fazioni che esercitavano il controllo de facto sulla Repubblica Dominicana. Fu ritirata nel 1966, dopo la costituzione di un nuovo governo.
UNIPOM (UN India-Pakistan observation mission). Venne istituita nel 1965, dopo una serie di scontri fra India e Pakistan, per supervisionare il cessate il fuoco e il ritiro di tutto il personale militare entro i propri confini. Fu sciolta nel 1966.
UNEF 2 (UN emergency force). Tra l'ottobre 1973 e il luglio 1979 verificò il cessate il fuoco nella zona del Canale di Suez tra Egitto e Israele e controllò le aree cuscinetto istituite a seguito della firma degli accordi del 18 gennaio 1974 e del 4 settembre 1975.
UNGOMAP (UN good offices mission in Afghanistan and Pakistan). Fu costituita nel 1988 per assistere il rappresentante personale del Segretario Generale a prestare i suoi buoni uffici alle parti, al fine di assicurare l'attuazione degli accordi in base ai quali si sarebbe dovuto svolgere il ritiro delle truppe sovietiche dall'Afghanistan. Il mandato ebbe termine nel 1990.
UNIIMOG (UN Iran-Iraq military observer group). Dal 1988 al 1991 la missione verificò il cessate il fuoco fra Iraq e Iran e il ritiro di tutte le forze entro i confini internazionalmente riconosciuti.
UNAVEM 1, 2 e 3 (UN Angola verification mission).
UNAVEM 1 fu costituita il 20 dicembre 1988 per controllare il ritiro delle truppe cubane dal territorio angolano, che fu completato nel 1991. Nello stesso anno, in seguito agli accordi di pace sottoscritti fra il governo angolano e l'UNITA (União nacional para a independência total de Angola); UNAVEM 2 ebbe l'incarico di controllare il cessate il fuoco e di consentire lo svolgimento delle elezioni nel paese, che si tennero nel settembre 1992. Un mese più tardi, dopo nuovi combattimenti tra le forze governative e quelle dell'UNITA, il mandato di UNAVEM 2 fu modificato allo scopo di aiutare le due fazioni a raggiungere un accordo sul completamento del processo di pace, che portò nel novembre 1994 alla firma del Protocollo di Lusaka. Nel febbraio 1995, il Consiglio di Sicurezza avviò UNAVEM 3 per verificare il rispetto del Protocollo. La missione ebbe termine nel 1997.
UNTAG (UN transition assistance group). Venne costituita nel 1989 per sovrintendere alla prima fase dell'indipendenza della Namibia, assicurando la cessazione delle ostilità e il ritiro definitivo delle truppe sudafricane. Nel periodo di transizione tutte le leggi discriminatorie vennero abrogate, i prigionieri politici furono rilasciati, ai profughi fu concesso di rientrare in patria. L'UNTAG fu sciolta nel 1990 quando la Namibia indipendente entrò a far parte delle Nazioni Unite.
ONUCA (Observadores de las Naciones Unidas en Centroamerica). Dal 1989 al 1992 ebbe il mandato di verificare che i governi di Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua si astenessero, secondo gli impegni assunti, dal fornire aiuto alle forze irregolari e ai movimenti insurrezionali della regione. Inoltre, l'ONUCA svolse un ruolo di controllo sulla volontaria smobilitazione della resistenza nicaraguense.
ONUSAL (Observadores de las Naciones Unidas en El Salvador). Dal 1991 al 1995 monitorò l'attuazione degli accordi tra il governo di El Salvador e il Frente Farabundo Martí para la liberación nacional intesi a porre fine a una guerra civile durata dieci anni. Gli accordi, oltre al cessate il fuoco, prevedevano la riduzione delle Forze Armate, la creazione di una nuova forza di polizia, la riforma del sistema giudiziario ed elettorale. Dopo il 1995 un piccolo gruppo di personale civile delle Nazioni Unite (MINUSAL, Misión de las Naciones Unidas en El Salvador) rimase per alcuni mesi in El Salvador per fornire i suoi buoni uffici alle parti.
UNAMIC (UN advance mission in Cambodia) e UNTAC (UN transitional authority in Cambodia). L'UNAMIC fu costituita nel 1991 per assistere i quattro partiti del Supremo consiglio nazionale della Cambogia durante il periodo precedente l'insediamento dell'autorità transitoria delle Nazioni Unite in Cambogia e per istruire la popolazione civile sui pericoli delle aree minate. Nel 1992 l'UNAMIC fu assorbita dall'UNTAC la cui istituzione era stata stabilita in base agli accordi sulla soluzione politica del conflitto cambogiano, sottoscritti a Parigi il 23 ottobre 1991. Il mandato dell'UNTAC terminò nel settembre 1993 con la promulgazione della Costituzione del Regno di Cambogia e la formazione del nuovo governo.
UNIKOM (UN Iraq-Kuwait observation mission). Fu costituita nel 1991, dopo il ritiro delle forze irachene dal Kuwait, come missione di osservatori disarmati, per controllare una zona smilitarizzata lungo il confine e segnalare eventuali violazioni da ambedue le parti. Nel 1993 il ripetersi di incidenti lungo la frontiera spinse il Consiglio di Sicurezza a concedere all'UNIKOM la possibilità di ricorrere all'uso della forza. Il mandato terminò nell'ottobre 2003.
UNPROFOR (UN protection force). Stabilita nel 1992 inizialmente in Croazia per assicurare la smilitarizzazione di aree protette dalle Nazioni Unite, il suo mandato fu poi esteso ad altre regioni della ex Iugoslavia: Bosnia-Erzegovina, per consentire l'erogazione di aiuti umanitari e controllare il rispetto del divieto di sorvolo, e Repubblica di Macedonia a fini di monitoraggio preventivo delle zone di confine. Tra i compiti dell'UNPROFOR vi fu successivamente la verifica del rispetto dell'accordo per il cessate il fuoco ratificato dal governo della Bosnia e dalle forze croato-bosniache nel febbraio 1994, di quello ratificato dal governo croato e dalle autorità locali serbe nel marzo 1994 e di quello negoziato fra il governo di Bosnia e le forze serbo-bosniache ed entrato in vigore nel gennaio 1995. Il 31 marzo 1995 la missione fu sciolta per dar vita a tre operazioni separate: UNRO, UNPREDEP e UNMIBH.
UNOSOM 1 e 2 (UN operation in Somalia). UNOSOM 1 fu costituita nell'aprile 1992 per imporre il cessate il fuoco e favorire la distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione somala provata dalla guerra civile e dalla carestia. A fronte dell'ulteriore deteriorarsi della situazione del paese, nel dicembre dello stesso anno il Consiglio di Sicurezza autorizzò gli Stati membri a formare una task force unificata (UNITAF) che avrebbe dovuto supportare UNOSOM nell'opera di consegna del materiale umanitario. Nel 1993 UNOSOM 2 subentrò a UNITAF con il mandato di assumere le iniziative appropriate, comprese misure costrittive, per stabilire in tutta la Somalia un ambiente sicuro. Nel febbraio 1994, dopo numerosi incidenti e violenti attacchi ai caschi blu, il Consiglio di Sicurezza escluse l'utilizzo di metodi coercitivi e infine, agli inizi di marzo, dispose la conclusione dell'operazione.
UNOMOZ (UN operation in Mozambico). Venne istituita per facilitare l'attuazione dell'accordo di pace firmato nel 1992, dopo diciotto anni di guerra civile, dal presidente della Repubblica del Mozambico e dal presidente della RENAMO (Resistencia nacional mocambicana). Terminò dopo le elezioni presidenziali e legislative dell'ottobre 1994 e l'insediamento del nuovo Parlamento.
UNOMUR (UN observer mission Uganda-Rwanda) e UNAMIR (UN assistance mission for Rwanda). UNOMUR fu adibita dal 1993 al 1994 al controllo del confine tra Uganda e Ruanda, per impedire il passaggio di armi, munizioni e altro materiale bellico. UNAMIR, in origine destinata a facilitare l'attuazione dell'accordo di pace sottoscritto dai partiti ruandesi ad Arusha il 4 agosto 1993, dopo i tragici avvenimenti dell'aprile 1994 si propose come intermediario fra le fazioni ruandesi in guerra e cercò di assicurare operazioni di assistenza umanitaria garantendo, per quanto possibile, la sicurezza e la protezione dei rifugiati e dei civili a rischio. Dopo il cessate il fuoco e l'insediamento del nuovo governo si è incaricata di promuovere la riconciliazione nazionale nel paese, contribuendo anche alla sicurezza del personale del Tribunale penale internazionale per il Ruanda. Il suo mandato ebbe termine nel 1996.
UNOMIL (UN observer mission in Liberia). Fu istituita nel 1993 per monitorare l'imparziale applicazione dell'accordo di pace di Cotonou sottoscritto dai partiti liberiani. Fu la prima operazione di peace-keeping dell'ONU svolta in collaborazione con un'operazione già varata da un'altra organizzazione. Agì infatti in cooperazione con la missione ECOMOG dell'ECOWAS (Economic community of West African States). Fu ritirata nel 1997.
UNMIH (UN mission in Haiti), UNSMIH (UN support mission in Haiti), UNTMIH (UN transition mission in Haiti) e MIPONUH (Mission de police civile en Haïti). L'UNMIH fu inizialmente costituita per favorire la realizzazione di alcune clausole dell'accordo sottoscritto dai partiti haitiani nel luglio 1993 e doveva fornire assistenza nella modernizzazione delle Forze Armate e nell'istituzione di una nuova forza di polizia. Nell'ottobre 1994, dopo la restaurazione di un governo costituzionale grazie all'aiuto di una forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti e autorizzata dal Consiglio di Sicurezza, l'UNMIH ebbe l'incarico di assistere il governo nell'adempimento delle proprie responsabilità, specificatamente preparando le elezioni, che si tennero nel 1995. Concluso il mandato dell'UNMIH, nel 1996 fu costituita l'UNSMIH, per coordinare le attività ONU mirate alla riconciliazione nazionale. Compiti analoghi ebbe nell'agosto-novembre 1997 l'UNTMIH. Dal dicembre 1997 al marzo 2000 fu attiva MIPONUH, essenzialmente con funzione di addestramento della polizia.
UNASOG (UN Aouzou strip observer group). Da maggio a giugno 1994 verificò il ritiro della Libia dalla striscia di Aouzou disposto in conformità alla decisione della Corte internazionale di giustizia dopo una lunga contesa con il Ciad.
UNMOT (UN mission of observers in Tajikistan). Fu stabilita nel 1994 per verificare il cessate il fuoco fra il governo del Tagikistan e le forze di opposizione e, dopo la firma di un accordo di pace, per monitorarne l'implementazione. Il mandato fu assolto entro il maggio 2000.
UNCRO (UN confidence restoration operation in Croatia), UNTAES (UN transitional administration for eastern Slavonia, Baranja and western Sirmium), UNMOP (UN mission of observers in Prevlaka) e UNPSG (UN police support group). L'UNCRO fu costituita nel marzo 1995 per rimpiazzare l'UNPROFOR in Croazia e fu dislocata nel territorio della Slavonia occidentale, della Krajina e della Slavonia orientale, regioni abitate prevalentemente da serbi e di cui si voleva la graduale e pacifica reintegrazione sotto la sovranità croata. L'UNTAES prese il posto dell'UNCRO nel gennaio 1996 e si occupò della supervisione del processo di smilitarizzazione, del ritorno dei rifugiati, dell'addestramento di una forza di polizia transitoria, dell'organizzazione delle elezioni, dell'amministrazione civile e del monitoraggio del rispetto dei diritti umani, da parte sia croata sia serba. Rimase attiva fino a gennaio 1998. Nel gennaio 1996, alla scadenza del mandato dell'UNCRO, il Consiglio di Sicurezza autorizzò gli osservatori militari delle Nazioni Unite a continuare per un periodo di tre mesi la verifica della smilitarizzazione della penisola di Prevlaka nell'ambito della missione UNMOP. Al termine del mandato dell'UNTAES le funzioni di polizia che svolgeva furono rilevate per un periodo di nove mesi (fino all'ottobre 1998) dall'UNPSG.
UNPREDEP (UN preventive deployment force). Fu costituita nel 1995 per rimpiazzare l'UNPROFOR nella ex Repubblica iugoslava di Macedonia, mantenendone sostanzialmente il mandato di verificare eventuali minacce alla stabilità del paese. Ebbe termine nel febbraio 1999.
UNMIBH (UN mission in Bosnia and Herzegovina). Costituita in Bosnia ed Erzegovina dopo lo scioglimento dell'UNPROFOR, dal dicembre 1995 al 2002 esercitò un'ampia gamma di funzioni di addestramento della polizia, gestione degli aiuti umanitari, sminamento, ripristino delle strutture socioeconomiche.
MINUGUA (Misión de verificación de las Naciones Unidas en Guatemala). Nei primi mesi del 1997 fu istituita per controllare il cessate il fuoco a cui si erano impegnati il governo del Guatemala e l'Unidad revolucionaria nacional guatemalteca. Agì nell'ambito di un più vasto programma di aiuti umanitari.
MONUA (Misión de Observadores de las Naciones Unidas en Angola). Fu istituita nel 1997 per assistere i partiti angolani nel processo di consolidamento della pace e di instaurazione di un regime democratico nel paese. Rimase attiva fino al 1999.
UNOMSIL (UN observer mission in Sierra Leone). Dal 1998 al 1999 ebbe mandato di monitorare la situazione militare e di sicurezza in Sierra Leone, verificando la smilitarizzazione e il disarmo delle varie fazioni in lotta. Nel 1999 il Consiglio di sicurezza dispose la sua sostituzione con un'operazione di più vasta portata, l'UNAMSIL.
MINURCA (Misión de las Naciones Unidas en la República Centroafricana). Venne costituita nel 1998 per assicurare stabilità e sicurezza a Bangui e dintorni, e per verificare la distruzione delle armi prevista dal programma di disarmo. Sovrintese anche allo svolgimento delle elezioni presidenziali. Si concluse nel 2000.
UNTAET (UN transitional administration in East Timor). Dopo che nell'agosto 1999 un referendum decretò l'indipendenza di Timor Est dall'Indonesia, l'UNTAET fu costituita per amministrare il territorio in via transitoria ed esercitò il potere esecutivo e legislativo fino alla proclamazione della nascita del nuovo Stato nel maggio 2002.
Le operazioni in corso nel 2004
UNTSO (UN truce supervision organization). Istituita nel 1948 per verificare il rispetto dell'armistizio in Palestina, le furono poi affidati la supervisione dell'armistizio del 1949 e, al termine della guerra araboisraeliana del 1967, il controllo del cessate il fuoco nella zona del Canale di Suez e sulle Alture del Golan. Attualmente coopera con l'UNDOF nel settore Israele-Siria e con l'UNIFIL nel settore Israele-Libano.
UNMOGIP (UN military observer group in India and Pakistan). Fu costituita nel 1949 per supervisionare il cessate il fuoco tra India e Pakistan nello Stato di Jammu e Kashmir.
UNFICYP (UN peace-keeping force in Cyprus). Venne stabilita nel 1964 per prevenire una ripresa dei combattimenti tra la comunità dei ciprioti di origine greca e quella dei ciprioti di origine turca. Dalla fine delle ostilità del 1974, controlla la zona cuscinetto al confine tra la Repubblica di Cipro e la Repubblica turca di Cipro Nord.
UNDOF (UN disengagement observer force). Iniziò la sua attività sulle Alture del Golan dopo la guerra del Kippur del 1973, per assicurare il rispetto del cessate il fuoco tra Israele e Siria, supervisionare lo smantellamento delle forze israeliane e siriane e controllare le aree di separazione e delimitazione.
UNIFIL (UN interim force in Lebanon). Opera dal 1978, quando ebbe il mandato di controllare il ritiro dal Libano delle forze israeliane e assistere il governo di Beirut nel riaffermare la sua piena sovranità.
MINURSO (Misión de las Naciones Unidas para el referéndum del Sáhara Occidental). Fu costituita nel 1991, in seguito a un accordo fra Marocco e il Fronte Polisario, allo scopo di organizzare e assicurare il libero svolgimento di un referendum sull'indipendenza dell'ex colonia spagnola passata sotto il controllo del Marocco. Il referendum non si è ancora tenuto e la principale funzione del MINURSO nel suo attuale limitato spiegamento è ristretta a verificare che non riprendano le ostilità.
UNOMIG (UN observer mission in Georgia). Istituita nel 1993 per monitorare il rispetto dell'accordo stilato tra governo della Georgia e il movimento secessionista filorusso dell'Abkhazia, ha il compito di sorvegliare che non si verifichino scontri con particolare riferimento alla contesa Valle di Kodori.
UNMIK (UN mission in Kosovo). Nel giugno 1999 il Segretario Generale ne autorizzò l'istituzione, con il mandato di costituire un'amministrazione civile provvisoria che portasse progressivamente all'acquisizione dell'autonomia della provincia dalla Serbia.
MONUC (Misión de las Naciones Unidas en la República Democrática del Congo). Originata nel 1999 dall'accordo sul cessate il fuoco di Lusaka, firmato da Namibia, Ruanda, Uganda, Zambia, Zimbabwe, Repubblica Democratica del Congo e i due principali movimenti ribelli congolesi, ha il compito di supervisionare l'implementazione del cessate il fuoco e investigare eventuali violazioni.
UNAMSIL (United Nations mission in Sierra Leone). Dal 1999 ha il mandato di monitorare il cessate il fuoco fra governo della Sierra Leone e movimenti ribelli, che viene rotto ripetutamente, e impedire le continue violazioni dei diritti umani.
UNMEE (UN mission in Ethiopia and Eritrea). Stabilita nel 2000, mantiene il collegamento fra Etiopia ed Eritrea, vigila sul cessate il fuoco, verifica la ridislocazione, secondo gli accordi, delle forze etiopi.
UNMISET (UN mission of support in East Timor). Il Consiglio di Sicurezza ne decretò la costituzione nel 2002 con l'incarico di fornire assistenza agli organi dell'amministrazione centrale di Timor Est, sviluppando le forze di polizia e contribuendo alla sicurezza interna ed esterna.
UNMIL (UN mission in Liberia). È stata istituita nel settembre 2003 per verificare il rispetto del cessate il fuoco fra le milizie dell'ex presidente Taylor e i movimenti ribelli, e assistere il paese nel processo di pacificazione e democratizzazione.
UNOCI (Un operation in Côte d'Ivoire). È stata istituita con risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 27 febbraio 2004 per rimpiazzare la missione inviata nel maggio 2003 con il compito di coadiuvare i partiti ivoriani nel mantenimento degli accordi di pace del gennaio 2003.
MINUSTAH (Mission des Nations Unies pour la stabilisation en Haïti). Istituita dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 30 aprile 2004, rimpiazza ufficialmente la forza multinazionale presente dal 29 febbraio a Haiti, teatro di scontri fra le forze governative e i sostenitori dell'ex presidente Jean-Bertrand Aristide.
UNOB (UN operation in Burundi). È stata stabilita nel maggio 2004 con il compito di monitorare il processo di pace, controllare il disarmo, favorire l'organizzazione delle elezioni e addestrare la nuova polizia locale, assorbendo i contingenti sudafricani, mozambicani ed etiopi già presenti nel paese sotto l'egida dell'Unione Africana.
riferimenti bibliografici
P. Agnetti, Operazione Alba, Novara, De Agostini, 1997.
Id., La forza e la pace, Novara, De Agostini, 1999.
Id., Pace senza confini, Novara, De Agostini, 2000.
M. Arpino, ONU: pensieri in libertà, "Rivista Marittima", novembre 2003.
W.K. Clark, Waging modern war, New York, Public Affairs, 2001.
R. Corsini, L'uso della forza nelle operazioni di pace, "Rivista Aeronautica", 1, 2003.
A.M. Isastia, Soldiers and citizens, Firenze, Alinari, 2000.
C. Jean, Manuale di studi strategici, Milano, Franco Angeli, 2004.
Il sacrario di Kindu, a cura di P. Farina, Pisa, Comando 46. Brigata Aerea, 2003.
R. Stanglini, Operazione Somalia, Firenze, EDAI, 1994.