peccatore (peccatrice)
Nel suo significato più generale, per altro scarsamente attestato in D., indica chi ha commesso uno o più peccati (Cv I VII 9 l'uomo è obediente a la giustizia [quando fa pagar lo debito de la pena...] al peccatore) o chi persiste a lungo nella colpa, cadendo così in quella condizione spirituale che la teologia morale definisce come peccato abituale: Pg V 53 Noi fummo tutti già per forza morti, / e peccatori infino a l'ultima ora. In quest'accezione ricorre anche in Cv IV XXIV 14 e nella denominazione di Pietro Peccator (Pd XXI 122), che quasi tutti i commentatori recenti identificano con s. Pier Damiano, respingendo l'ipotesi che D. alluda a Pietro degli Onesti (per la questione, v. PIER DAMIANO, e anche PIETRO degli ONESTI).
In tutti gli altri esempi è usato a proposito dei dannati alle pene dell'Inferno, e quindi occorre solo nella prima cantica: V 38 a così fatto tormento / enno dannati i peccator carnali; XXXIV 56 Da ogne bocca [Lucifero] dirompea co' denti / un peccatore; XVIII 25, XIX 23, XXI 35, XXII 23 e 28, XXIII 141, XXIV 118 e 130, XXVI 42, XXXII 117, XXXIII 2.
Anche se non pare possibile trarne alcuna deduzione valida che consenta una definizione semantica meno generica di quella ora data, la distribuzione delle occorrenze è per lo meno singolare. Nella quasi totalità degli esempi, infatti, p. ricorre a proposito di dannati che si erano resi colpevoli di frode o di tradimento. L'unica eccezione è data da V 38, ma qui l'uso di p. può essere stato suggerito dal valore specifico di " commettere un peccato di lussuria " che ha il verbo ‛ peccare ' (v.).
L'unico esempio di ‛ peccatrice ' occorre in un passo assai discusso (If XIV 80), dove lo scorrere del Flegetonte è paragonato al ruscello che esce dal Bulicame (v.), una sorgente termale nei pressi di Viterbo: Quale del Bulicame esce ruscello / che parton poi tra lor le peccatrici, / tal per la rena giù sen giva quello. È questa la lezione accolta dalla maggior parte degli editori moderni in accordo con tutti i manoscritti e con gli antichi commentatori, ai quali risalgono le interpretazioni che tuttora godono di maggior credito: del Bulicame sarebbero esistite derivazioni canalizzate, mediante le quali l'acqua termale era convogliata a un agglomerato di capanne per essere utilizzata da quelle che D. chiama le peccatrici (il termine fa pensare a un meretricio autorizzato), sia a uso di stufe o bagni nelle loro case (Lana, Benvenuto, Buti), sia per lavare i loro panni (Anonimo, Boccaccio), sia infine come bagni pubblici per curare le loro malattie (Ottimo); la costumanza cui D. si riferisce è confermata dalle fonti raccolte da M. Barbi e A. Duro nello studio citato in bibliografia (pp. 32 ss.).
L'interpretazione più plausibile del passo è dunque da ritenersi questa, risultando assai meno convincenti le altre proposte. Fra queste, rinviando allo studio di Barbi-Duro per altre suggerite da studiosi del Settecento, per l'autorità di chi la propose e per l'adesione ad essa data dal Sapegno, dev'essere ricordato quella di G. Mazzoni. Poiché gli studi in proposito hanno messo in luce che l'acqua calda del Bulicame era usata anche per la macerazione e la lavorazione della canapa e del lino, il Mazzoni suggerì di correggere peccatrici in pectatrici, " pettinatrici " addette alla pettinatura del lino o della canapa. L'emendamento è suggestivo, ma le argomentazioni addotte di contro da Barbi-Duro sono così ampie da non consentire di accoglierlo.
Bibl. - Vedi la bibl. alla voce BULICAME. In particolare, saranno da vedere G. Mazzoni, Le peccatrici del Bulicame e le pectatrici di Viterbo, in Almae luces malae cruces, Bologna 1941, 239-266; F. Maggini, in " Giorn. stor. " CXIX (1942) 130-134; M. Barbi a A. Duro, Peccatrici o pectatrici?, in " Studi d. " XXVIII (1949) 11-43.