PECHINO (A. T., 99-100)
Città della Cina, nella provincia del Ho-pe (Chih-li). Il nome italiano Pechino proviene dal cinese Pe-king "capitale" (king) del "Nord" (pe). Allorché col decreto del 21 giugno 1928 Nanchino (v.) fu scelta come capitale della repubblica cinese, Pechino riprese l'antico nome Pep'ing (ovvero Peping, secondo la nuova ortografia delle poste cinesi), che significa "pace" (p'ing) "del Nord".
La città, allora chiamata Chi, fu capitale dell'antico stato feudale di Yen, dal sec. VIII al III a. C., e il nome Yen king (ovvero Yen ching) è adoperato ancor oggi come designazione letteraria. Fu distrutta da Ts'in Shih Huang Ti nel 221, e ricostruita verso il 70 col nome di Yen. Sotto i T'ang (618-907 d. C.) si chiamò Yu-chow. Nel 986 d. C. divenne la capitale meridionale (Nanking) dei Tatari K'i-tan (Qïtay). Nel sec. XII divenne una delle residenze della dinastia tatara dei Kin, ed ebbe il nome di Chung-tu "capitale del centro". Da allora fino ad oggi la città fu divisa in due distretti, uno orientale Ta-hsing h sien, e uno occidentale Wan-p'ing hsien. Distrutta da Genghīz Khan nel 1215, tra il 1264 e il 1272 Qūbilāy costruì accanto alla vecchia città una nuova città che chiamò "la grande città", Ta-Tu (Taidu di Marco Polo). Dai Mongoli fu allora chiamata Khānbāliq (Cambaluc di Marco Polo). Nel 1368 la nuova dinastia cinese Ming chiamò la città Pe-p'ing, nome che conservò fino al 1416, allorché la capitale da Nanchino fu quivi trasportata. Sotto i Ming la città ebbe anche il nome Shunt'ien fu "la città obbediente al Cielo", nome che conservò anche sotto l'ultima dinastia Manciù.
La città, situata a 116° 27′ E. e a 39° 54′ N., è costruita in pianura, vicino a un affluente del Pe ho. Come il nome, cambiò spesso configurazione ed estensione. È formata ora da due città murate rettangolari, orientate da N. a S., la città tatara al N., con un perimetro di 23.700 m., e la città cinese a S., con un perimetro di circa 15.900 m. Numerosi sobborghi si estendono lungo le vie che escono dalle porte della città.
Pechino aveva, nel 1922, 850 mila ab., di cui circa un terzo nativi della città, un terzo Manciù e un terzo Cinesi di altre provincie. Secondo il censimento del 1932 gli abitanti erano 1.467.537. La città deve la sua importanza a fattori politici geografici ed economici. È una delle tante città situate in una fertile pianura, ma è la più vicina al passo di Nan-kow, il principale accesso verso la Mongolia. All'incrocio delle comunicazioni tra la Mongolia, la Manciuria e la Cina, è stata sempre un centro commerciale, cui facevano capo le linee carovaniere, e ora linee ferroviarie ed automobilistiche, per il trasporto di lana, tè, carbon fossile, ecc.
Sebbene Pechino abbia una latitudine intermedia tra quelle di Napoli e di Palermo, i suoi inverni sono rigidi e le estati caldissime; il clima è generalmente secco, il cielo sereno, turbato dai venti polverosi della Mongolia, e dalle grandi piogge e temporali estivi. Da novembre a marzo i fiumi e le acque sono gelati, e la temperatura scende spesso a −20°. In estate la temperatura sale a 40°, prima delle grandi piogge. Temperate e piacevoli la primavera in aprile-maggio, e il breve autunno, nell'ottobre.
La città ha biblioteche, archivî e sei università, con 20 mila studenti; tra esse una è dello stato, una cattolica, una protestante, ecc. Notevoli gli sviluppi di alcune istituzioni scientifiche governative, specialmente dell'ufficio geologico, il quale ha già pubblicato numerosi e importanti volumi sulla geologia e la preistoria della Cina; l'Accademia nazionale, ecc.
Pechino ha un acquedotto moderno, una rete telefonica automatica, tram elettrici (costruiti da una compagnia franco-cinese nel 1924); una stazione radiotelegrafica, un aerodromo, un giardino zoologico moderno, ecc. Attività caratteristiche della città sono la confezione dei tappeti di lana e di pelo di cammello, gli smalti (cloisonné), l'industria tipografica, ecc.
Monumenti. - Le costruzioni più antiche di Pechino, eccettuata una pagoda, rimontano alla reggia mongola di cui restano specialmente la torre del tamburo (1272), le mura dell'osservatorio e avanzi della cinta. Sulle loro fondamenta sorsero poi le costruzioni imperiali delle epoche Ming e Manciù.
La cosiddetta città dei Tatari è un ottimo esempio di architettura d'una città cinese. Il suo quadrato chiuso da due sistemi difensivi è orientato esattamente con le antiche vie tracciate verso i punti cardinali. La parte più importante delle mura di cinta (alte 12 m., larghe alla base 16 m.), munite di bastioni sporgenti, data dal periodo Ming (1419-1437). Ai quattro angoli s'innalzano torri. In ogni lato si aprono due porte, solo il lato meridionale ne ha tre. Il numero complessivo delle porte delle due mura di cinta ammonta dunque a 18. Ognuno dei passaggi, con vòlta a botte, è sormontato da una costruzione a più ordini di finestre, con tetti sovrapposti, e anche con camminamenti aperti. Queste costruzioni, monumentali e severe, furono nella maggior parte elevate nel sec. XVII.
I templi più importanti si trovano nelle immediate vicinanze della città, fuori delle mura di cinta. Essi sono: a nord il tempio della Terra, eretto verso il 1520 da Chia Ching (din. Ming); a ovest quello della Luna, del 1530; ad est quello del Sole, anch'esso del 1530; a sud quelli dell'Agricoltura (1422) e del Cielo (1420). Tutti sono situati in mezzo a bei parchi, con numerosi edifici annessi. I due templi meridionali sono, artisticamente, i più importanti. L'edificio principale dell'insieme delle costruzioni che costituisce il tempio del Cielo è il tempio dell'Anno Felice, distrutto dal fulmine nel 1889 e ricostruito esattamente sul modello antico: è un edificio circolare su basamento quadrato costituito da tre terrazze (allusione al principio maschile sovrapposto al femminile). Il suo tetto, a tre ripiani, è coperto di tegole azzurre. A qualche distanza è l'altare del Cielo, costruzione circolare aperta di marmo bianco con le balaustre delle tre terrazze anch'esse riccamente scolpite. La zona del tempio dell'Agricoltura a base quadrata comprende quattro padiglioni e quattro terrazze d'altare a un piano su cui stanno otto grandi bacini di bronzo e una stufa smaltata, per bruciarvi le offerte. Anche i templi situati nei tre altri punti cardinali arieggiano la costruzione a terrazze con altare. Il tempio della Terra ha due terrazze; e le tegole degli edifici annessi sono gialle. L'altare del Sole, decorato in rosso, è eretto su un solo piano quadrangolare, come pure il tempio della Luna, in azzurro pallido.
A nord s'innalzano, uno accanto all'altro, il tempio di Confucio delle epoche mongola e Ming, e la Loggia dei classici, che appartengono nella loro attuale struttura all'epoca manciù. Il tempio di Confucio conserva nei noti tamburi di pietra uno dei più antichi documenti di scrittura cinese (epoca Chou). Il vicino tempio dei Lama, sistemato verso la metà del sec. XVIII in un palazzo del periodo manciù, ha un sontuoso portale d'ingresso con leggiadri intagli lignei. I padiglioni dei cortili, dalla sagoma mossa, recano ancora l'impronta dell'architettura profana; davanti ad essi stanno colossali sculture in bronzo.
Tutti i palazzi imperiali di Pechino si trovano nella cosiddetta "città purpurea vietata", cinta da speciali opere di difesa e avente l'estensione di 1006 metri per 786 metri. A nord, ora fuori della cinta, è situata la collina del carbone, un terrapieno artificiale a cinque rialzi, coronato da cinque padiglioni (periodo Ming), di cui il centrale è quadrato. Ai quattro angoli delle mura della città vietata si elevano padiglioni con numerosi tetti. Ognuno dei quattro ingressi è formato da un portale tripartito, sormontato, come i portali della grande cinta, da una larga costruzione a doppio tetto. Gli edifici numerosissimi nella zona dei palazzi imperiali risalgono in parte al periodo Ming, in parte ai Manciù. Un'armoniosa policromia è composta dal bianco del marmo delle terrazze, delle scale, delle rampe inclinate e delle costruzioni, dal rosso delle parti lavorate in legno, qua e là impallidito però e coperto da pitture, dal giallo delle tegole dei tetti, colore riserbato agl'imperatori. Lungo l'asse centrale nord-sud si succedono vasti e magnifici cortili e grandiosi padiglioni adibiti a varie cerimonie; i primi cinque verso sud, più ampî, sono da tempo aperti al pubblico. A destra e a sinistra sono gli appartamenti privati imperiali. Attiguo all'angolo nord-ovest, ma già fuori della città vietata, è il "Sanssouci" degl'imperatori cinesi, il parco Peih-ai con numerosi piccoli edifici, tutti, eccettuato un tempio del periodo Ming, del 1750 circa; particolarmente caratteristica una bianca dagoba tibetana, del 1652, visibile già da lontano.
Sulle vicine alture a nordovest di Pechino sono situati i due più noti palazzi imperiali estivi, di cui l'uno, chiamato Yüen Ming Yüen, fu ornato di magnifici edifici e fontane, ad imitazione del Trianon, sotto la direzione di missionarî gesuiti, nella prima metà del '700; venne distrutto dai franco-inglesi nel 1860, ed è ora un insieme imponente di rovine. L'altro, noto come il Wan Shuo Shan, danneggiato anche esso nel 1860, fu ricostruito e abbellito con enorme dispendio dall'imperatrice vedova Tz'e Hsi. Bellissime alcune grandi figure isolate di animali, e gl'incensieri in bronzo; di dubbio gusto è il battello di marmo bianco. Il ponte "a schiena di cammello" unisce magistralmente il paesaggio alle architetture.
Sin dai tempi remoti sui vicini monti a ovest si costruirono edifici e si disegnarono parchi. L'imperatore K'ang-hsi (1661-1722) fece erigere la pagoda di marmo dominante la collina di giada, decorata parzialmente con tegole invetriate, la pagoda sul pendio, decorata tutta di ceramica, e le quattro pagode della Fontana di giada. Ai conventi sparsi pittorescamente sulle colline dànno accesso portali d'onore, in cui la maiolica multicolore sostituisce il legno, intagliato e dipinto, e il marmo. I più importanti edifici delle alture occidentali sono il "Convento del Buddha dormente" a terrazze, e il "convento delle nubi verdazzurre" che ha uno stūpa marmoreo di stile tibetano (sec. XVII). Piccoli stūpa dello stesso tipo tibetano racchiudono entro nicchie graziose sculture del pantheon dei Lama.
A nord di Pechino si trova il "Convento giallo", fondato nel 1652, noto per il suo sovraccarico stūpa marmoreo, del 1782 e, nei dintorni più lontani, in direzione sud-ovest, lo "stūpa delle cinque torri", costruzione con massiccio basamento quadrangolare, a sette zone scolpite sorreggenti cinque pagode, il tutto copiato dall'architettura indiana. (V. tavv. CXLV-CLVIII).
Musei. - Nella sistemazione dei musei e nella conservazione delle opere d'arte la Cina si attiene ai metodi europei. Era ovvio di creare tutto un insieme di musei coi palazzi della città vietata, divisi in tre sezioni: una meridionale, un'altra mediana, una terza settentrionale, la quale ultima si suddivide nuovamente in tre parti. La sezione meridionale, sistemata nel portale d'ingresso, contiene il "Museo storico" con materiale di scavo dei dintorni di Pechino. Vi si trovano anche alcune stele buddhiste. Nella sezione mediana, detta "Museo delle antichità", sono le collezioni di bronzi antichi, già a Mukden, raccolti dall'imperatore Kien lung, e oggetti primitivi di porcellana, di giada, specchi e, sopra tutto, pitture fra le quali molte che giustificano la fama che ebbero le collezioni degli antichi palazzi imperiali. Nella sezione settentrionale le parti orientale e occidentale conservano oggetti importanti più dal punto di vista storico che da quello artistico. La parte centrale contiene il museo più importante con la collezione (ordinatavi sin dal 1929) di ceramiche e di porcellane dell'imperatore Kien lung, la più bella del genere, scoperta per caso.
Vanno ricordate due altre collezioni ordinate al modo moderno: un padiglione nel parco di Pei-Hai, con le opere di Anyang scavate nella provincia Honan, dedicato allo studio dell'arte primitiva cinese; e il "Museo geologico", fondato con aiuto europeo, che raccoglie oggetti (tra cui la ceramica dipinta) del neolitico cinese. Nel 1933 buona parte della suppellettile dei musei di Pechino è stata trasportata a Shang hai.
Storia. - Nel 1271 giunse a Pechino Marco Polo, il quale vi risiedette molti anni. Egli dice: "le vie della città sono così diritte e spaziose che l'occhio le può percorrere da un capo all'altro: da ogni porta si può vedere la porta corrispondente del lato opposto. Ci sono molti bei palazzi, molti begli alberghi, molte belle case. E dapertutto, dai lati di ciascuna strada principale, ci sono stanze e botteghe di ogni genere. E tutti i terreni su cui sono fabbricate le abitazioni sono quadrati, e rettilinei; in ciascun terreno ci sono grandi e spaziosi palagi, opportunamente forniti di cortili e di giardini. Questi terreni sono distribuiti tra i capi di casa... E dintorno a ciascun terreno... ci sono belle vie... In tal modo tutto l'interno della città è disposto per quadro, come un tavoliere da scacchi. E ne risulta la città così bella, così magistralmente disposta che non è possibile a parole darne un concetto adeguato". (Marco Polo, ed. Benedetto, Milano 1932, p. 124).
Nel 1307 Giovanni da Montecorvino vi fu nominato arcivescovo e vi morì nel 1328. Vi fu per tre anni, verso il 1325, il beato Odorico da Pordenone (v.). Giovanni dei Marignolli (v.) vi giunse nell'estate del 1342 e vi dimorò tre anni. Il 7 settembre 1598 vi giunse per la prima volta Matteo Ricci (v.), il quale poi vi risiedette dal 1600 al 1610, e vi morì l'11 maggio 1610, dopo aver fondato una missione che, con varie vicende, continua e si estende ai nostri giorni. Pure a Pechino il 26 aprile del 1644 l'ultimo imperatore della dinastia Ming, dopo aver ucciso i membri della sua famiglia, si suicidò di fronte all'invasione vittoriosa dei Manciù.
Durante la spedizione anglofrancese, le truppe alleate si accamparono a N. di Pechino il 9 ottobre 1860, e il 15 ottobre duecento Francesi e duecento Inglesi occuparono le mura della città per alcune settimane, fino alla firma del trattato di pace. Nel 1894 alcuni distaccamenti stranieri presidiarono la città durante la guerra sino-giapponese. Pechino fu occupata dalle truppe internazionali in seguito all'insurrezione dei Boxers (v. cina, X, p. 295 seg.). Iniziato con l'assassinio del cancelliere della legazione giapponese l'11 giugno 1900, e del ministro tedesco il 20 giugno, il movimento terminò il 16 agosto 1900, con un assedio a cui parteciparono con onore le truppe italiane. Dopo la pace, le legazioni straniere ebbero sede nella parte meridionale della città tatara in un quartiere fortificato e presidiato da distaccamenti militari.
Il 12 febbraio 1912 l'ultimo imperatore bambino della dinastia manciù Hsüan-tung (nome personale Pu-yi; nel 1934 divenuto sovrano della Manciuria con il nome di Kang-Teh) abdicava, e nell'anno 1913 Yüan Shih-kai vi convocava un effimero parlamento repubblicano.
Bibl.: Si indicano qui soltanto alcune tra le più caratteristiche relazioni di viaggiatori e studiosi, che hanno lasciato descrizioni vive di Pechino in varie epoche. Per una bibliografia completa si veda: H. Cordier, Bibliotheca Sinica, Parigi 1904-1924. Gli scrittori europei hanno attinto dagli eruditi cinesi la maggior parte delle descrizioni storiche ed archeologiche della città. L'opera cinese più importante, in 160 libri, intitolata Je-hsia chiou-wen (Antichi ricordi della capitale), è stata riassunta da E. Bretschneider (Recherches sur Pékin, Parigi 1879).
Il libro di Messer Marco Polo... detto Milione, ecc., a cura di L. Foscolo Benedetto, Milano-Roma 1932; M. Ricci, Opere storiche, I, Macerata 1911; M. Martini, Novus Atlas Sinensis, Amsterdam 1655; A. C. Moule, Cristians in China before the year 1550, Londra 1930; M. Jametel, la Chine inconnue, Parigi 1886; id., Pékin, ivi 1887; L. Nocentini, Dell'Asia orientale, Firenze 1894; A. Favier, Péking, Lilla 1900; P. Loti, Les derniers jours de Pékin, Parigi 1902; M. Valli, Gli avvenimenti in Cina nel 1900, Milano 1905; M. Madrolle, La Chine du Nord, Parigi 1911; L. Richard, Géographie de la Chine, Shang hai 1923; D. Varé, Yehonala, Storia dell'imperatrice Tzu-hsi, Firenze 1933; H. Casseville, Pékin, Parigi 1934. Per i monumenti v. G. Combaz, Les palais impériaux de la Chine, Bruxelles 1908; id., Les temples impériaux de la Chine, ivi 1913; O. Siren, The Walls and Gates of Peking, Londra 1924; id., Les palais impériaux de Pékin, Parigi 1926; M. L. Gothein, Die Stadtanlage von Peking, Ihre historisch-philosophische Entwicklung, in Wiener Jahrb. f. Kunstgesch., VII (1930), pp. 7-33; R. F. Johnston, Twilight in the Forbidden City, Londra 1934.