pecora
. Il termine ricorre più volte, sia in senso proprio sia in senso traslato. In senso proprio ricorre spesso in sede di ipotesi esemplificative: Cv I XI 9 Questi sono da chiamare pecore... ché se una pecora si gettasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre l'andrebbero dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passare d'una strada salta, tutte l'altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare; Fiore XCVII 2 e 4 Chi della pelle del monton fasciasse / il lupo e tra le pecore il mettesse, / credete voi, / perché monton paresse, / che de le pecore e' non divorasse? (cfr. anche il v. 7; il testo riprende la contrapposizione lupo-p. che fra l'altro ha un preciso riscontro in Matt. 7, 15 " veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces "); CLXVII 2. Il medesimo significato ha in Pg XXXIII 51 ma tosto fien li fatti le Naiade / che solveranno questo enigma forte / santa danno di pecore o di biade, passo che dipende chiaramente da Ovidio Met. VII 756-766.
In alcuni contesti, invece, p. contiene una sfumatura nettamente peggiorativa. Ciò appare del tutto normale, ove si tenga presente anzitutto che in latino pecus significava spesso " qualunque bestia "; inoltre Aristotele nel De Animalibus, citato esplicitamente da D. altrove (Cv II VIII 10), scriveva: " Genus ovile amens et moribus, ut dici solet, stultissimis est, quippe quod omnium quadrupedum ineptissimum sit ". Si potrà citare, a questo proposito, Cv I I 7 Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li angeli si manuca! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo; II VII 4 lo pensiero è propio atto de la ragione, perché le bestie non pensano, che non l'hanno: e non dico pur de le minori bestie, ma di quelle che hanno apparenza umana e spirito di pecora, o d'altra bestia abominevole (si confronti per l'antitesi con If XXIV 124 Vita bestial mi piacque e non umana); If XXXII 15 Oh sovra tutte mal creata plebe / che stai nel loco onde parlare è duro, / mei foste state qui pecore o zebe!
Anche al traslato p. ricorre in senso peggiorativo: all'uomo vengono attribuiti i lati negativi dell'animale. A dir vero, siffatto traslato non è infrequente nelle orazioni di Cicerone. Del resto D. aveva sicuramente presente il passo di Pietro (Il Epist. 2, 12 " Hi vero velut irrationabilia pecora... "), dove vale la pena di notare che l'originale greco ha ὡς ἄλογα ζῷα, come in Giuda 10 da cui esso dipende (qui, invece, la Volgata ha " tamquam muta animalia "). Ricordiamo Cv I XI 9 Questi [i disprezzatori del volgare] sono da chiamare pecore, e non uomini; Pd V 80 uomini siate, e non pecore matte: le antitesi di questi due ultimi passi par proprio che riecheggino Cicerone (Phil. VIII 3 " Atque etiam homines agrestes, si homines illi, ac non pecudes potius ").
Ma p. ricorre nelle opere volgari anche come termine correlativo di ‛ pastore ', in un traslato essenzialmente biblico. L'immagine viene continuata da Cristo, il quale, con rivendicazione messianica, dice di sé: " Ego sum pastor bonus et cognosco meas [oves] " (Ioann.10,14), e per questo motivo viene chiamato dall'autore dell'epistola agli Ebrei ‛ il gran pastore delle pecore ' (13, 20); i due termini resteranno nella tradizione della Chiesa. Citiamo anzitutto Pd IX 131 La tua città... produce e spande il maladetto fiore / c'ha disviate le pecore e li agni, / però che fatto ha lupo del pastore, dove le pecore e li agni designano i grandi e i piccoli, ossia " tutti i cristiani ". Analogamente, nell'epistola ai cardinali italiani D. si qualifica ‛ ovis ': Ep XI 9 Quippe de ovibus pascuae lesu Christi minima una sum, e 13 cum… de tot ovibus... una sola vox... et haec privata, in matris Ecclesiae quasi funere audiatur. Senso più ristretto di " membro di una famiglia religiosa " (la quale vien detta perciò peculio) ha p. in Pd XI 127 quanto le sue [di s. Domenico] pecore remote / e vagabonde più da esso [il peculio, v. 124] vanno, / più tornano a l'ovil di latte vote (le parole sono state messe in bocca a s. Tommaso, che si era presentato precedentemente come uno de li agni de la santa greggia / che Domenico mena per cammino, X 94-95).
Lo stesso traslato è presente nell'epistola ai principi d'Italia (Ep V 17 ut Hectoreus pastor [Enrico VII] vos oves de ovili suo cognoscat) e in quella a Enrico VII: haec [Firenze] est languida pecus gregem domini sui sua contagione commaculans (VII 24; cfr. anche il § 26 Vere fumos... vitiantes exhalat, et inde vicinae pecudes et insciae contabescunt; si noti che tutto il passo è metaforico). Il termine Hectoreus pastor fa pensare che a D. fosse nota la tradizione greca del re pastore, comune in Omero e in Eschilo.
Il diminutivo ricorre in If XXIV 15 lo villanello... fuor le pecorelle a pascer caccia: ha valore affettivo e nel tono bucolico del contesto, oltre al villanello del v. 7, non casualmente si ha l'avvio, al v. 1, In quella parte del giovanetto anno.
Analogamente in Pg III 79 Come le pecorelle escon del chiuso, cui fa seguito (v. 81) un altro alterato: l'altre stanno / timidette atterrando l'occhio e 'l muso, con risalto carezzevole. La similitudine vuole mettere in evidenza l'atteggiamento e il comportamento delle anime incontrate da D., che sono in sintonia spirituale, ma per altro significato del paragone con questo animale, v. quanto si è detto sopra.
Nella terza occorrenza (Pd XXIX 106 le pecorelle, che non sanno, / tornan del pasco pasciute di vento) il termine, che sta a indicare " i cristiani ", " i fedeli ", è usato metaforicamente, con riferimento a una predicazione vuota e inutile della parola evangelica. Il vocabolo, in cui è presente l'uso metaforico che ne fanno anche i Vangeli, qui esprime soprattutto la semplicità degli umili fedeli e ha un tono di affettuosa commiserazione.
Vedi in Appendice la trattazione sulle strutture grammaticali del volgare di D., nel capitolo dedicato alla formazione delle parole.