pedagogia
Dal gr. παιδαγωγία, der. di παιδαγωγός, comp. di παῖς παιδός «ragazzo» e ἀγωγός «che guida» (der. di ἄγω «condurre»; propr. «accompagnatore di ragazzi»). Disciplina che studia i problemi relativi all’educazione; riflessione scientifica sul processo educativo.
La p., come riflessione scientifica sul problema dell’educazione o della formazione dell’uomo, si afferma in Grecia con i sofisti, iniziatori del pensiero pedagogico in Occidente. I sofisti, muovendosi in una prospettiva di «umanesimo relativistico» (H.-I. Marrou), non ricercano alcuna verità universale; insegnano piuttosto un metodo con il quale confutare le tesi avversarie o riuscire a persuadere anche un più vasto pubblico. Il loro impegno di maestri, tanto ricercati nell’Atene del 5° sec., è volto a promuovere negli ascoltatori una cultura utile, fatta di conoscenze di vario genere (polymathia) e di quelle abilità dialettiche e retoriche, di immediata efficacia pratica nella vita pubblica (assemblee cittadine e tribunali). Al contrario, Socrate è impegnato a scoprire un criterio di validità universale che concili le possibilità aperte dal soggettivismo sofistico con la saldezza di un valore oggettivo. Per lui l’uomo continua a essere la misura di tutte le cose, ma solo in quanto pensa, in quanto si solleva al concetto, al bello, al buono, al vero. L’educazione è quindi intesa come un processo di autoliberazione, di conquista della consapevolezza etica. L’originalità pedagogica di Socrate è in questo motivo e nel principio che gli si collega della «maieutica» (arte ostetrica), che presuppone nel discente la capacità di generare spontaneamente il vero. Il meglio dell’insegnamento morale di Socrate fu accolto e continuato da Platone e da Aristotele. Per il primo, l’educazione che si consegue con la musica e con la ginnastica (il tradizionale curricolo dell’istruzione in Grecia), e persino lo studio delle matematiche, cui è affidato, nella Repubblica (➔), il compito di sollevare la mente dal sensibile all’intelligibile, possono essere gradini alla vera educazione; ma a essa ci si solleva soltanto con la dialettica, con la contemplazione del mondo delle idee, al vertice del quale si trova l’idea somma del bene. La dottrina dell’anamnesi o reminiscenza costituisce un aspetto decisivo della p. di Platone. L’uomo possiede già la conoscenza, nessuno deve insegnargliela; compito dell’educazione è di volgerla dal mondo del divenire a quello dell’essere e di ciò che nell’essere è più luminoso, il Bene. «Imparare in generale non è altro che ricordare»; l’anima immortale può ricordare il mondo da cui proviene; e l’insegnamento deve facilitare questo ricordare. Nei suoi sforzi di restaurare lo Stato su basi razionali, cioè con un complesso ed elaborato sistema di educazione che faccia capo alla sapienza dialettica di un’aristocrazia di reggitori, Platone ha concepito lo Stato come un immenso paedagogium, in cui la filosofia non deve soltanto indicare nel Bene lo scopo supremo della vita sociale, ma dirigere e regolamentare anche le manifestazioni più particolari, dai matrimoni alla proprietà privata. Così Platone si oppone consapevolmente ed energicamente al nuovo principio, cui risale la responsabilità della crisi della polis, il soggettivismo sofistico. Per Aristotele, il processo educativo consiste nel fare acquisire l’abitudine alla virtù, ciò che è compito, oltre che dell’educatore, anche del buon legislatore, poiché lo Stato per Aristotele è il supremo educatore. Siccome però l’anima, oltre alla tendenza appetitiva (nell’ambito della quale essa può raggiungere quella medietà fra l’eccesso e il difetto in cui consiste la virtù), ha una tendenza razionale, così, oltre che della perfezione «etica», essa è suscettibile di quella «dianoetica» (da διάνοια, ragione dimostrativa) e di quella «noetica» o intellettuale (intuitiva). Così la contemplazione e la speculazione costituiscono anche per Aristotele il fine ultimo non soltanto del singolo, ma anche dello Stato, e il solo mezzo con cui l’uomo può sollevarsi, a tratti, alla beatitudine degli dei. In un’epoca in cui si assiste al tramonto ormai definitivo della Città e si affievoliscono nella coscienza gli ideali che essa aveva incarnato, egli traccia l’ideale di una cultura e di una filosofia che non esprimono ormai più i valori di una polis particolare. È questo il legato di Aristotele che sarà accolto dall’ellenismo e in particolar modo da epicurei e stoici. Un legato che rimarrà invece inoperoso per secoli è il suo concetto della filosofia e della scienza come indagine disinteressata del vero, in cui culmina il suo pensiero educativo. Già Epicuro, pochi anni dopo Aristotele, interpreterà l’esigenza più assillante dell’età sua con il contrapporre all’ideale aristotelico un ideale diametralmente opposto della scienza: «Vano è quel discorso di filosofo che non medichi qualche umana passione». La filosofia si deve limitare ad affrancare l’uomo dal timore della morte, del fato e degli dei, insegnandogli che soltanto il caso e la causa operano nella realtà; essa deve pure aiutarlo a liberarsi da tutti gli altri legami che lo avvincono alla realtà e sono fonti di perenne turbamento. Ideale dell’educazione diventano l’aponia e l’atarassia, la liberazione dal dolore e dal turbamento. Così l’epicureismo si avvicina al suo antagonista, lo stoicismo, che poneva come fine dell’educazione l’apatia, l’assenza di desiderio. Roma, che pure ha creato un tipo di educazione originale e vigorosa, non ha espresso dal suo seno nessun pensatore che abbia fatto oggetto di indagine la sua intuizione educativa. Quando con Cicerone, e poi sotto l’Impero con Seneca e Quintiliano, si prendono a dibattere i problemi dell’educazione, lo si fa alla luce di un pensiero che non affonda le sue radici nella tradizione indigena, e Seneca e gli stoici in particolar modo sono mossi da preoccupazioni che già trascendono gli interessi spirituali della romanità classica. L’eclettismo ciceroniano e la disincantata saggezza di Seneca sono ormai lontani dalla più originale esperienza pedagogica romana, assai concreta e improntata a un ottimismo realistico, e appartengono, in sostanza, alla storia del pensiero filosofico e pedagogico dell’ellenismo. L’unica opera organica sui problemi tecnici dell’educazione e dell’istruzione della letteratura romana sono le Institutiones oratoriae di Quintiliano, che si propone di tracciare le linee di una sistematica educazione del futuro oratore, vir dicendi peritus, che incarna l’ideale civico-retorico dell’età imperiale.
Il problema dell’educazione venne posto su basi nuove dal cristianesimo. Nei Vangeli Cristo rivela agli uomini il valore della personalità (Luca 9,25: «che gioverà all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina sé stesso?») e addita nell’interiorità dell’intenzione l’unica sorgente della vita morale e religiosa. L’amore e la dedizione diventano le virtù capitali della nuova comunità che si raccoglie fraternamente nel nome di Cristo, e proprio l’imitazione del Cristo, che per amore dell’umanità ha affrontato il supremo sacrificio, diventa il caposaldo di ogni educazione cristiana. I concetti di autorità e di obbedienza conoscono un approfondimento decisivo per tutta la storia del pensiero pedagogico. L’ideale dell’educazione cessa di essere la contemplazione teoretica: l’uomo ha il dovere di impegnarsi a fondo nel dramma dell’esistenza, che già con Paolo diventa il dramma, a un tempo individuale e cosmico, della redenzione. Accanto all’imperativo di collaborare infaticabilmente all’instaurazione del regno di Dio nelle coscienze, attraverso l’amore e la dedizione, sopravvivono nei Vangeli altre intuizioni, quella, per es., che tende a identificare la bontà con l’innocenza, o quella, che preannuncia già l’indirizzo ascetico-monastico dei secoli seguenti, che all’ideale di vita intesa come milizia attiva tende a sostituire quello della rinuncia all’azione, della contemplazione e della preghiera, nell’attesa fiduciosa che si compia la volontà del Padre. Questo intrinseco dualismo, fecondo di problemi e di contrasti, attraversa tutta la storia dell’etica e della pedagogia dei popoli cristiani sino alle soglie del mondo contemporaneo.
Deciso distacco dalla tradizione classica si nota nelle istituzioni scolastiche sorte da esigenze religiose, nelle quali si vennero rapidamente determinando i nuovi principi fondamentali dell’educazione. E le fonti della più schietta pedagogia cristiana si trovano difatti nelle opere rivolte alla formazione religiosa dapprima dei catecumeni, poi degli aspiranti al sacerdozio, dalla Διδαχὴ τῶν δώδεκα ἀποστόλων («Dottrina dei dodici apostoli») del 1°-2° sec. al De officiis ministrorum di Ambrogio e al De doctrina christiana (trad. it. La dottrina cristiana) di Agostino, ma in particolar modo nelle opere rivolte all’educazione dei monaci e al disciplinamento della vita nei conventi (Basilio, Benedetto) e nelle epistole educative di Girolamo. L’intuizione religiosa della filiazione divina, approfondendosi e interiorizzandosi, diventa in Agostino un concetto speculativo, la prima affermazione filosofico-teologica della soggettività e immanenza del vero: Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas («Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità»). Donde l’impostazione del problema educativo nel De magistro (trad. it. Il maestro): c’è un unico vero maestro, il Christus docens; egli non è però un estrinseco modello da imitare, ma una fonte interna di perenne rivelazione. Gli altri maestri possono unicamente stimolare e aiutare chi è disposto ad ascoltare questa profonda voce interiore. Questa intuizione di Agostino sarà ripresa da Tommaso con intenti più decisamente sistematici. Per Tommaso se da un lato è vero quel che afferma Agostino che «Dio solo è colui che interiormente e principalmente insegna», poiché nessun insegnamento umano può avere efficacia se non per virtù di quel lume, dall’altro però l’acquistare scienza da sé è «causa imperfetta», perché l’autodidatta dispone soltanto delle «ragioni seminali della scienza, le quali sono principi comuni», mentre «causa perfetta» è il maestro, in quanto possiede l’intera scienza cui deve iniziarsi l’alunno. Insomma la scienza di chi impara preesiste «in potenza attiva completa», vale a dire «l’agente estrinseco non agisce se non aiutando l’agente intrinseco e somministrandogli i mezzi onde possa sboccare nell’atto». È questo il maggiore sforzo fatto dalla scolastica per giustificare la profonda fede nell’interiorità del vero trasmessale dall’agostinismo.
Con l’inizio dell’Umanesimo e del Rinascimento, anche il problema dell’educazione assume decisamente un nuovo aspetto. A intendere lo spirito della nuova p. basterebbe osservare che all’Umanesimo risale la creazione della scuola di cultura disinteressata e liberale, formatrice di ‘umanità’. Nella molteplicità degli indirizzi, un motivo profondo difatti accomuna tutti i novatori, il concetto cioè che l’istruzione e la cultura, che culmina nella filosofia, «liberos homines efficit», come afferma Vergerio, e li prepara a vivere nella «città terrestre», perché in essa soltanto gli uomini realizzano e affermano la loro specifica ‘dignità’. Lo studio delle humanae litterae, altissima espressione dell’umanità pagana greco-latina, ha lo scopo di «portare l’uomo a perfezione» e questa, per gli umanisti, si esprime soprattutto nell’azione morale e civile. I classici dell’arte e del pensiero greco-romano, che riacquistano pieno diritto di cittadinanza nella scuola umanistica e ne diventano presto i dominatori, non sono più considerati strumenti di edificazione religiosa e neppure fonti di sapere enciclopedico propedeutico agli studi sacri. Si comincia a studiarli e ammirarli per il loro intrinseco valore, come modelli insuperati di arte, di eloquenza, di pensiero esclusivamente ‘umani’. Nell’Umanesimo e nel Rinascimento predomina l’ideale estetico di una formazione armonica dell’individuo. Nell’ambito delle idee appena accennate si muovono tutti i primi teorici italiani della p. umanistica, Leonardo Bruni, Pier Paolo Vergerio, Maffeo Vegio, Guarino Veronese, Piccolomini, Francesco Filelfo, Matteo Palmieri e in particolar modo Alberti e Ficino. Creazione tipicamente espressiva della p. umanistica è la Casa giocosa di Vittorino da Feltre, che nel suo insegnamento realizzò quella che era stata l’ispirazione più profonda del primo Umanesimo italiano, cioè la conciliazione, nel processo educativo, dell’etica evangelica con la cultura classica, ai fini di una formazione integrale e liberale della personalità dei discenti. Nonostante la sua pietà e fede cattolica, egli era talmente dominato dal nuovo spirito che rivolse tutte le sue cure a promuovere e disciplinare lo spontaneo svolgimento della personalità dei suoi alunni attraverso il gioco, gli esercizi fisici, la cultura letteraria e scientifica e la musica. Tutto ciò fa di Vittorino il primo grande interprete della nuova intuizione educativa, sebbene egli non le abbia dedicato nessuna opera teoretica.
Parallela al Rinascimento e variamente intrecciandosi con esso procede in talune nazioni europee la Riforma, che presenta peraltro un duplice orientamento. Da un lato essa promuove, nell’ambito della fede, la libertà dello spirito, nella vita morale fa leva sulla buona volontà e sull’intimità della coscienza, si appella al criterio individuale, sia pure illuminato dalla grazia, nell’interpretazione dei testi sacri (suscitando un vasto moto di educazione popolare, che è stato il frutto immediato più notevole del protestantesimo nella scuola), respinge lo ius divinum della gerarchia, l’autorità e la mediazione del sacerdozio, i sacramenti come forze liberatrici e salvatrici dall’esterno. Dall’altro lato però reagisce ai principi più profondi e originali dell’Umanesimo; accentua ed esaspera la funzione della grazia nel processo di salvazione e quindi nella costituzione della vita morale, nega all’individuo il libero arbitrio e ogni autonomia allo Stato e alla scuola.
Un’interessante sintesi di motivi naturalistici rinascimentali e mistici di ispirazione riformata presenta l’opera pedagogica di Comenio. La sua Didactica magna (1638) costituisce l’esito più organico di una lunga riflessione sul tema della riforma della scuola e del metodo didattico. La concezione pedagogica di Comenio muove da due idee fondamentali: che nell’uomo si possa attuare l’armonia e l’ordine che regna nell’Universo, e che una retta educazione ne sia lo strumento di realizzazione. Questa deve pertanto tendere a una formazione il più possibile completa e integrale che rispecchi l’ideale della pansofia. Particolare interesse per la vasta influenza nell’ambito dell’organizzazione tecnica della scuola media, specialmente sulla formazione spirituale delle classi dominanti del Seicento, offre anche il pensiero educativo dei gesuiti, che tuttavia per alcuni suoi caratteri fondamentali, quali l’astratto formalismo (onde viene curata particolarmente l’imitazione stilistica dei classici, e quindi la forma, considerata quasi per sé stessa), l’importanza eccessiva data agli esercizi di memoria e il sistema complesso e severo di disciplina, riesce a influenzare piuttosto negativamente il libero sviluppo della personalità dell’educando. Un’impostazione profondamente originale del problema pedagogico è avviata dal cartesianismo e dall’empirismo baconiano-lockiano, due indirizzi che, pur divergendo nel procedimento del metodo e della ricerca, perseguono un’unica meta e finiranno difatti con il fondersi in una sola corrente speculativa. Cogito ergo sum, afferma Des- cartes: il pensiero che dubita non può non esistere. Ecco la prima certezza che restituisce al pensiero una saldezza che nessuno scetticismo sarà in grado di scuotere. Sarà dunque vero per noi tutto ciò che apparirà con la chiarezza e la distinzione con cui cogliamo il nostro Io. D’ora innanzi non accetteremo più per vero nulla che non ci appaia evidentemente tale. Notevole efficacia hanno anche esercitato sulla p. successiva i giansenisti. La loro posizione è, sì, un compromesso fra un rinnovato agostinismo in teologia e un radicale cartesianismo nei problemi filosofici, ma essa non è segno di scarsa vigoria spirituale, bensì attesta un’energica volontà di comporre un dissidio comune a molti spiriti del tempo, senza sacrificare né la grazia divina, di cui i giansenisti accentuano anzi, come i calvinisti, l’irresistibile azione, né i diritti della ragione. Le loro Piccole scuole di Port-Royal sono rimaste in fama di modelli di un altissimo spirito educativo, severo e talvolta forse un po’ duro, ma a un tempo rispettosissimo della personalità dei discenti. I loro testi scolastici, in lingua francese, accurati, chiari, sobri hanno giovato a liberare definitivamente la scuola dalla letteratura scolastica che l’ingombrava. Anche dopo lo scioglimento della comunità e nonostante le persecuzioni cui fu sottoposta, il pensiero e le metodologie educative gianseniste rivelarono una sorprendente vitalità fino ai primi anni del sec. 19°. La pedagogia dell’empirismo è rappresentata specialmente da Locke con i suoi Pensieri sull’educazione (1693). Tutta la sua attenzione è rivolta alla formazione della personalità del discente attraverso la sua esperienza. «Il fine dell’educazione», dice nella Guida dell’intelletto (uscita postuma), «non è già di rendere gli uomini perfetti in alcuna scienza, ma di aprir loro la mente, in modo che siano capaci di riuscire in tutto ciò a cui si applicano». Da ciò il suo disprezzo per le discettazioni sul metodo migliore, per le regole, per le dispute di scuola, per il formalismo e le cognizioni libresche, per il sapere che non proviene dall’esperienza personale. La fiducia inconcussa nell’appello alla ragione anche con i bambini, nell’efficacia della persuasione, il richiamo continuo al senso dell’onore e della dignità personale, il ripudio di ogni forma di imposizione coattiva dell’intelletto e della volontà, la celebrazione della libera iniziativa nel lavoro e nel gioco, il suo modo di concepire la moralità come frutto naturale dello svolgimento normale dello spirito, traggono ispirazione dalla fede nelle forze spontanee e nell’autonomia della ragione umana, presupposto che imprime a tutta l’opera, letterariamente frammentaria, un’intima unità ideale, e un sapore di modernità che la distingue nettamente da tutte le precedenti.
Dopo Locke e prima di Rousseau, notevole significato riveste nella storia del pensiero pedagogico Vico. Questi rivaluta tutte le forme di sapere, cui Cartesio aveva negato verità (storia, lingua, norme della prudenza, ecc.), e che costituiscono il fondamento di ogni educazione. Il suo De nostri temporis studiorum ratione (trad. it. Del metodo degli studi del nostro tempo), orazione inaugurale del 1708, è il primo grande monumento pedagogico italiano moderno. In esso, e in poche altre pagine del carteggio, la pedagogia di Cartesio, o meglio dei cartesiani, è assoggettata a una critica severa. Sostituire nell’educazione il criterio delle idee chiare e distinte al senso comune, all’autorità del genere umano, significa capovolgere il processo naturale e porre all’inizio il punto d’arrivo. Ciò che è comune agli uomini non è la mente, ma la memoria e la fantasia, e a ogni modo all’uso della mente ci si solleva soltanto attraverso la cultura della memoria e della fantasia. Prima di giudicare, i giovani devono avere appreso. Solo chi avrà coltivato opportunamente la memoria con lo studio delle lingue, la fantasia con le lezioni dei poeti, storici e oratori, l’ingegno con lo studio della geometria, sarà in grado di giudicare. Nell’Emilio (➔) (1762) di Rousseau, il ritorno alla natura diventa l’obbedienza alla «marche de la nature», al «développement interne de nos facultés et de nos organes»; il problema è ormai dunque quello d’intendere l’educazione come processo di autosvolgimento della personalità. L’uomo, attraverso l’educazione, deve essere posto in condizione «qu’il voie par ses yeux, qu’il sente par son cœur; qu’aucune autorité ne le gouverne hors celle de sa propre raison». Due soli maestri gli possono dare questo dominio di sé: «l’expérience et le sentiment» (cioè l’immediatezza del sentimento morale). Gli altri insegnanti debbono collaborare con essi, non sostituirsi a essi. L’educazione non deve essere ‘attiva’ ossia non deve intervenire a sproposito, violando il normale e spontaneo svolgimento del processo naturale, ma deve essere ‘negativa’ vale a dire tempestiva. Ormai l’educazione naturale non è già quella che tende a conservare l’integrità di un’ipotetica purezza originaria contrapposta alla mala influenza della vita sociale, come è stato troppo spesso affermato considerando la posizione dei due Discours, ma quella che tende a salvaguardare e a promuovere la spontaneità, l’autonomia dell’educando nella vita sociale. Nonostante i limiti e le contraddizioni del suo pensiero, Rousseau rimane il primo filosofo moderno della personalità prima di Kant, e Kant ha dichiarato di aver imparato da lui ad apprezzare l’umanità nell’uomo. Con il concetto di sintesi a priori e in particolar modo con quello di autonomia della volontà (la moralità è la volontà che si realizza, ossia il fine della volontà è la realizzazione della sua stessa libertà), Kant poneva implicitamente le fondamenta di una pedagogia come scienza della personalità autonoma, verso la quale si muovono tutti gli indirizzi educativi più vitali dall’Umanesimo in poi, e appagava l’esigenza più profonda dell’autore dell’Emilio.
Il pensatore che ha per primo conquistato un concetto veramente adeguato dello spirito come autonomia, inverando le esperienze filosofiche e il più profondo motivo speculativo di Fichte e Schelling, è stato Hegel. Il suo concetto del divenire e dello spirito come autocoscienza sono a fondamento della dottrina dell’autoeducazione, per quanto Hegel non ci abbia dato una trattazione sistematica del problema pedagogico. A questo stesso concetto, piuttosto intuito e vissuto intensamente che ripensato rigorosamente alla luce di una matura consapevolezza speculativa, s’ispirano pure, nella loro azione di maestri e nella loro opera letteraria, due grandi apostoli dell’educazione infantile, Pestalozzi e Fröbel. La pedagogia di Pestalozzi ha superato quasi ogni traccia di dogmatismo e di oggettivismo: non c’è sapere né moralità che non provenga dall’esperienza personale. Processo naturale per lui è quello che rispetta non già «l’homme abstrait», ma la personalità storicamente determinata del discente; altrimenti si costruisce sul vuoto. Alla formazione armonica delle varie attività dell’uomo, fine immanente di ogni educazione spontanea, si perviene unicamente con l’esercizio normale di esse, con la libera attività. L’unico discepolo veramente geniale di Pestalozzi è stato Fröbel, il creatore dei ‘giardini d’infanzia’. La sua originalità consiste nella scoperta del mondo dell’infanzia nella pienezza dei suoi interessi. Egli ha rivelato più a fondo di Pestalozzi (ancora in parte legato ai pregiudizi naturalistici, filantropici e moralistici del suo tempo) l’umanità del bambino come libera attività creatrice, avente in sé il proprio fine. Questa penetrazione degli interessi della prima infanzia gli ha rivelato il significato e il valore del gioco, cioè la profonda serietà dell’attività creatrice del bimbo. Egli, accanto a Jean Paul Richter e a Schleiermacher, si può considerare uno dei più originali interpreti dell’anima del Romanticismo. Alla migliore tradizione pestalozziana si ricollegano anche (mediatori altri educatori svizzeri, Padre Girard, Necker de Saussure, i Naville, Alexandre-R. Vinet) taluni dei più acuti educatori e scrittori italiani di problemi educativi del cattolicismo liberale, nel Risorgimento italiano, e in particolar modo Capponi e Lambruschini. Il loro problema centrale fu quello della conciliazione, nell’ambito dell’educazione cattolica, della tradizione dogmatica e dell’autorità della Chiesa con l’autonomia della coscienza del credente; problema che sarà ripreso da altri cattolici contemporanei che si ricollegano al movimento del modernismo, e in particolar modo da Blondel e da Laberthonnière. Da Kant e Pestalozzi prende pure le mosse, ma se ne discosta poi decisamente, Herbart, che fu considerato a lungo come il fondatore della pedagogia scientifica e ha suscitato un largo movimento di ricerche psicologico-didattiche, soprattutto in Austria e Germania.
Con il positivismo della seconda metà del 19° sec. (Comte in Francia; Spencer, Bain, Huxley in Gran Bretagna; Aristide Gabelli, Angiulli, Ardigò in Italia) la p., sottratta ai principi forniti dall’indagine metafisica, si costituisce come scienza, affiancandosi alla psicologia, intesa come descrizione dei ‘fatti’ psichici, che si succederebbero, assocerebbero ed eliderebbero con lo stesso meccanismo e determinismo con cui accadono i fatti fisici. Ora, se, contro le astratte costruzioni aprioristiche cui indulgeva talvolta l’idealismo romantico, questo richiamo alla considerazione dei fatti aveva il merito di tener vivo il senso della concretezza e dell’esperienza e di ribadire il principio che il processo educativo ha da obbedire alla natura dell’educando e deve quindi avere una base psicologica, esso però aveva il torto, conseguente alla sua particolare interpretazione dei fatti psichici, di disconoscere l’originalità e la libera iniziativa della personalità spirituale. Dall’attenta osservazione e classificazione dei fatti psichici si ricavarono anche i ‘metodi’ da applicarsi nel processo educativo: esigenza che degenerò ben presto nel metodismo, il quale finiva con il dare l’illusione di possedere lo strumento perfetto dell’opera educativa, ancor prima di prender contatto con la realtà del soggetto educando. E inoltre, dalla fede nell’assoluta capacità della scienza a guidare e ordinare la vita degli individui e delle società, l’istruzione scientifico-utilitaria ricevette una sopravalutazione a discapito di quella umanistica.
Il senso dell’inadeguatezza di molte soluzioni positivistiche accomuna molti indirizzi di pensiero della prima metà del 20° sec., per altri riguardi profondamente divergenti: il contingentismo, la filosofia dei valori, la filosofia dell’azione, l’intuizionismo bergsoniano, il pragmatismo, il neohegelismo angloamericano. Ma nessuno di questi indirizzi ha dato luogo a un moto di pensiero pedagogico paragonabile a quello, organico e originale, promosso dall’idealismo assoluto italiano (Gentile, Croce, Lombardo-Radice), il quale alla rivendicazione dell’originalità, libertà e attività della personalità spirituale ha dato una fondazione speculativa e alla p. una base filosofica, intendendo non già eliminare i problemi dell’esperienza specificamente pedagogica, bensì riprenderli e assoggettarli a un rigoroso esame filosofico. Partendo dall’identità di pensiero e azione, ha concepito la vita dello spirito come operosità e conquista di valori e l’educazione come lo stesso atto con cui l’Io si fa (autoeducazione), ha rivendicato l’autonomia del processo educativo, non come isolamento dell’educando da ogni influsso esterno (il maestro, la tradizione, la storia, la società), ma come risoluzione di ciò che immediatamente gli si presenta come limite, nel processo della propria formazione, da cui si attua la sintesi di scolaro e maestro, di attualità spirituale e tradizione o storia, di individuo e società. Di qui l’importanza dell’insegnamento estetico, promotore di libera e gioiosa creatività, e dell’insegnamento scientifico, storico e religioso, il quale corregge l’unilateralità del primo, dando il senso del limite (verità e legge), da cui si attua la concreta disciplina dello spirito, che è vivo senso morale e critica (filosofia) d’ogni pura soggettività e d’ogni pura oggettività; di qui anche la confutazione di ogni metodismo che pretenda fornire il metodo valido, in sé stesso, per ogni scuola e per ogni insegnante disconoscendo il metodo vivo immanente a quella determinatissima situazione storica che è di volta in volta l’insegnamento in atto. Contemporaneamente all’affermarsi della pedagogia idealistica si andò svolgendo il movimento della ‘scuola attiva’ o ‘nuova’, che ha avuto il più fervido divulgatore dei suoi metodi nello svizzero Ferrière. Esso ha in comune con la p. idealistica l’attivismo e il concetto dell’educazione come autoformazione, ma se ne distingue d’altra parte per il ricorso ai dati della psicologia del fanciullo e dell‘età evolutiva. Una tendenza simile (risvegliare nel bambino il mondo spirituale che ha in sé) si ritrova anche nella pedagogia che Steiner iniziò a sperimentare nel 1919.
Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale la riflessione pedagogica è stata caratterizzata principalmente da un profondo mutamento metodologico. In luogo delle tradizionali filosofie dell’educazione, si sono avuti quasi esclusivamente contributi che si sono limitati a proporre caute indicazioni generali, frutto di un lavoro di ricerca sul campo, sul modo di realizzare l’apprendimento nelle forme migliori. Si è cioè accentuato sempre più quel processo avviato agli inizi del 20° sec. e che ha segnato il declino della p. speculativa e la nascita di una p. scientifica e sperimentale. Tale processo si può far cominciare con l’opera di Maria Montessori e di Ovide Decroly, iniziatori di quella ‘rivoluzione copernicana’ in p. che fu il primo risultato dell’affermarsi di una pedagogia scientifica. Come scriveva Dewey in Scuola e società nel 1899, «nella nostra educazione si sta verificando lo spostamento del centro di gravità. È un cambiamento, una rivoluzione non diversa da quella provocata da Copernico [...]. Nel nostro caso il fanciullo diventa il sole intorno al quale girano gli strumenti dell’educazione». Da questo mutamento deriva la grande importanza che in p. è stata data alle conclusioni della psicologia evolutiva. In questa linea va ricordato particolarmente il contributo di Decroly, che pone al centro della sua p. l’affermazione della superiorità dell’attività globalizzatrice come metodologia didattica. Proprio partendo da questa prospettiva globalistica si deve rifiutare la frammentazione del curriculum scolastico in materia e si deve insistere sull’opportunità di un insegnamento individualizzato. Insieme a quello della p. scientifica si è fatto sentire l’influsso della prospettiva legata alla p. sperimentale sorta, anch’essa, nella prima metà del sec. 20°. All’attività di Claparède, tra gli altri, si deve far risalire il progetto d’introdurre nella p. l’esperimento e precise ipotesi educative e controllabili sulla base di un esame dei risultati raggiunti. La p. sperimentale poneva l’accento sul ruolo centrale dell’ambiente nella attività educativa e sull’opportunità di una pianificazione sia delle fasi dell’apprendimento, sia delle condizioni in cui si realizza l’insegnamento. Già nella prima metà del secolo la nuova prospettiva segnata dalla p. sperimentale stimolava una molteplicità di nuovi progetti pedagogici, che si sforzavano di porre il discente di fronte a condizioni artificiali e mutevoli, adeguate al suo grado di sviluppo e capaci di stimolarne un’attiva partecipazione al processo formativo (scuole nuove e scuole attive). Freinet ha insistito sul valore di un’utilizzazione delle tecniche della stampa come via per impegnare gli allievi in una molteplicità di attività che rendano più concreto, spontaneo e agevole l’apprendimento. Roger Cousinet ha posto l’accento sulla fertilità, da un punto di vista pedagogico, di un lavoro libero per gruppi in cui i giovani realizzassero un autogoverno integrale; laddove Anton S. Makarenko poneva al centro dell’educazione la partecipazione del discente a un’attività d’interesse collettivo saldamente orientata a realizzare degli obiettivi sociali. Infine Arnould Clausse ha messo in luce il valore formativo di un insegnamento che dia largo spazio a ricerche e allo studio d’ambiente. Negli Stati Uniti il filone delle scuole nuove o attive riprende le idee principali dello strumentalismo pedagogico di Dewey; sono da ricordare: il metodo dei progetti di Kilpatrick, in cui attraverso una serie graduata di progetti si porta l’allievo a una crescente integrazione sociale, formandone, oltre che il bagaglio intellettuale, anche il carattere morale; il sistema di Winnetka di Washburne, che si fonda su un insegnamento individualizzato, auspicato anche da Claparède, ruotante intorno a un insieme di programmi minimi e di sviluppo nei quali il discente si deve impegnare controllando i risultati ottenuti con l’aiuto di opportuni test di apprendimento. Lo scambio tra p. e ricerca scientifica ha in partic. interessato la psicologia e la sociologia. Gli studi di psicologi dell’età evolutiva come Jean Piaget, Hans Aebli e Henry Wallon hanno permesso l’elaborazione di articolate concezioni sulle diverse fasi dell’apprendimento e hanno stimolato una sostanziale revisione dei curricula scolastici. Gli stessi Piaget e Aebli e inoltre Lev S. Vygotskij hanno concretamente contribuito a precisare le tecniche più opportune per un apprendimento soddisfacente e un’acquisizione rapida dei concetti astratti. A un lungo periodo di ricerche psicologiche nel campo dell’apprendimento e dello sviluppo cognitivo fa seguito anche la ‘rivoluzione pedagogica’ che Jerome S. Bruner si è proposto di realizzare negli Stati Uniti a partire dalla conferenza di Woods Hole nel 1959. Bruner ha elaborato una concezione pedagogica in alternativa a quella di Dewey: insiste sulla centralità dell’educazione intellettuale e ritiene che l’insegnamento e l’apprendimento debbano essere concentrati, più che sulle singole nozioni in gioco nelle varie discipline, sulle loro strutture tipiche, e che tra le varie materie siano da privilegiare quelle che, come la matematica e la logica, forniscono conoscenza astratta. All’influsso della ricerca psicologica e della psicoanalisi si deve far risalire, infine, l’insistenza della p. più recente sull’importanza di un’educazione che stimoli la creatività del discente e che metta al bando qualsiasi forma di repressione (Freud, Melanie Klein e René Spitz). Lo scambio tra p. e sociologia ha avuto come risultato un gran numero di studi sull’incidenza dei condizionamenti ambientali nel favorire o ostacolare i processi di apprendimento. I pedagogisti hanno tenuto a sottolineare con particolare insistenza che la realizzazione di mete educative ottimali non può prescindere da una programmazione che non perda di vista il momento politico e che sappia incidere sulle strutture socio-economiche. Queste ricerche, che prendono il via dalle opere del sociologo Durkheim hanno avuto esiti particolarmente fruttuosi nello studio dell’influsso del condizionamento ambientale sullo sviluppo delle capacità linguistiche (Bernstein). Un considerevole contributo alla riflessione pedagogica è venuto anche da diversi settori della tecnologia e della ricerca applicata, che hanno permesso il rapido fiorire dell’istruzione programmata e della p. cibernetica. Alla base di questo settore della p. vi è la concezione dell’educazione avanzata da Ivan P. Pavlov, ripresa dalla psicologia comportamentistica ed esposta con chiarezza da Burrhus Frederic Skinner. Una completa teoria dell’apprendimento su basi comportamentistiche ma arricchita da ulteriori riflessioni con applicazioni didattiche è quella di Robert M. Gagné. L’apprendimento è visto come una modificazione del patrimonio di conoscenze di un organismo, modificazione che si realizza attraverso un’esperienza di carattere attivo ed esplorativo, dipendente in larga misura dal sistema di rinforzi e di stimoli previsto e programmato dall’educatore al fine di formare il discente. La ricerca, conseguente a un’accettazione di questi presupposti, di un processo ottimale di apprendimento ha portato a un rapido sviluppo delle tecnologie educative, che vanno dall’uso sistematico di test di vario genere, all’istruzione programmata, all’utilizzazione di strumenti cibernetici e di vere e proprie macchine per insegnare. Lo scambio tra riflessione pedagogica e ricerca applicata ha portato, inoltre, a concepire l’educazione in termini cibernetici come un processo che si propone di fare acquisire al discente una capacità di adattarsi e di rispondere, mediante un processo di riassestamento analogo al feedback delle macchine cibernetiche, ai fattori di novità presenti nella situazione.
Rispetto alla definizione tradizionale di p., alla fine del 20° sec. è emerso con più chiarezza un settore delle scienze dell’uomo in cui il sistema pedagogico ha un suo specifico campo di intervento. Tale specificità consiste in quella vasta area di osservazioni e di ricerche che ha per oggetto l’operare e il comunicare educativi in relazione alle finalità culturali e sociali delle comunità. Poiché rilevanti sono i fattori considerati non educativi, quali le dinamiche economiche e sociali e i processi storici nei loro esiti non prevedibili, l’analisi del contesto culturale in cui l’azione educativa intende intervenire diviene più ampia e flessibile rispetto a quella tradizionale. L’allargamento dell’analisi come l’auspicato ampliamento degli interventi educativi, da una parte hanno moltiplicato i settori di osservazione e hanno maggiormente specializzato le metodologie e i linguaggi, a favore di una più duttile relazione con l’ambiente; dall’altra, hanno fatto sì che si smarrissero alcune certezze, legate alla possibile unità del sapere pedagogico e a progetti onnicomprensivi, ritenuti ormai irrealizzabili e destinati a divenire rapidamente obsoleti. In questa prospettiva, si potrebbe parlare di più p., rivolte a settori sociali e culturali specifici, piuttosto che di una p. capace di inquadrare sotto ogni prospettiva lo sviluppo individuale, le dinamiche dell’apprendimento, lo scambio simbolico e culturale. Nella ricerca pedagogica del 21° sec. permane l’importanza della psicologia dello sviluppo (developmental psychology), per la comprensione dei processi evolutivi e per apprestare interventi educativi adeguati. I grandi quadri teorici sull’evoluzione psicologica cognitiva, morale e affettiva (Piaget, Vygotskij, Bruner, Lawrence Kohlberg, Erik H. Erikson) rimangono punti di riferimento indispensabili, come del resto le grandi teorie dell’apprendimento (comportamentismo e associazionismo, cognitivismo, umanismo), con le loro possibili variabili (Gagné, Albert Bandura, Joy P. Guilford, David P. Ausubel). Le ricerche psicologiche sull’intelligenza sembrano ormai superare l’impostazione cognitivista di tipo computazionale, secondo le indicazioni che sono state fornite da uno dei suoi maggiori esponenti, Bruner, e sono approdate a modelli di intelligenza più complessi, come nella teoria di Jagannath P. Das, in quella di Robert J. Sternberg o in quella delle intelligenze multiple di Howard Gardner. Questi ultimi approcci all’intelligenza presentano in comune almeno due aspetti: riconoscono l’importanza dei processi cognitivi rispetto all’acquisizione delle nozioni; considerano la diversità di abilità e capacità che compongono l’intelligenza. Negli ultimi anni del 20° sec. grande sviluppo hanno avuto le indagini empiriche sulle differenze intellettive in base alla comunanza o alla diversità genetica e ambientale, sul multilinguismo e il multiculturalismo, sulle pari opportunità, sulla tipizzazione e gli stereotipi sessuali, sulle diverse abilità; sono state incrementate le ricerche sullo sviluppo del linguaggio, sulla memoria a breve e a lungo termine, sull’interesse e sulla metacognizione. I sociologi dal canto loro affrontano la questione dell’educazione in relazione ai processi in atto della globalizzazione e delle tecnologie comunicative. I motivi del mutamento sociale, indicati a vario titolo dalla sociologia dell’educazione, hanno indotto la p. ad ampliare il proprio campo di interesse, limitato prevalentemente al sistema scolastico. Sono emersi, per es., problemi relativi alla p. della famiglia: si è percepito che l’imprinting relazionale viene appreso in famiglia, la quale, d’altra parte, è anch’essa soggetta a mutamento riguardo al modello tradizionale di trasmissione dei valori. Ricerche psicosociali, poi, hanno mostrato che si è allungato il tempo di permanenza nell’adolescenza, e ciò ha posto la famiglia di fronte a gravi incertezze educative. La p., come settore riflessivo del sistema educativo, ha dovuto cominciare a ripensare anche il problema della formazione in relazione al mercato del lavoro. La formula del lifelong learning cerca di rispondere a una vasta richiesta di formazione, di aggiornamento e di riqualificazione che proviene dalla società civile e dal mondo della produzione. Sebbene la produttività e l’innovazione tecnologica orientino prevalentemente la necessità di prolungare la formazione oltre gli anni dell’obbligo scolastico, sostenendo sia la formazione terziaria universitaria sia l’aggiornamento e il ricollocamento della forza lavoro, notevole risalto viene dato alla possibilità da parte degli attori sociali, sia individuali sia collettivi, di informarsi e istruirsi, di ristrutturare e riorganizzare le conoscenze.