Pedofilia
Il termine pedofilia (composto del greco παῖς, "fanciullo", e ϕιλέω, "amare") indica l'attrazione erotica verso bambini e adolescenti. Si tratta di un grave disturbo della sessualità che è stato variamente definito e affrontato a seconda degli approcci teorici, della cultura e dell'organizzazione sociale dei gruppi.
Descrivendo alcuni casi di pedofilia erotica, R. Krafft-Ebing (1886) la definì una perversione sessuale, una "psicopatia erotica su base ereditaria e costituzionale", identificandone alcuni caratteri comuni: 1) ne sono affette persone biologicamente tarate; 2) compare primariamente l'attrazione verso persone impuberi solo dell'altro sesso e le fantasie sono abnormemente e intensamente cariche di piacere; 3) gli atti criminosi consistono semplicemente in palpeggiamenti e masturbazione delle vittime, e gli individui che li praticano ne ricavano soddisfacimento, anche senza giungere all'eiaculazione; 4) i pedofili non sono attratti eroticamente dalle persone adulte, con cui si congiungono sessualmente solo in mancanza di soggetti impuberi e senza avere appagamento psichico. In ambito nosografico clinico, la pedofilia (come tutti i disturbi del comportamento sessuale) è stata inclusa tra le personalità psicopatiche e i comportamenti abnormi a matrice biologica e degenerativa e considerata via via una forma di malattia mentale, un disturbo di origine ormonale, un'anomalia istintuale, un'espressione di predisposizione o di condizione degenerativa. In quanto attrazione erotica che non si traduce necessariamente in atti sessuali è stata distinta dalla pederastia, in cui c'è rapporto con bambini o adolescenti preferibilmente dello stesso sesso (Galimberti 1994).
È classificata tra le parafilie (attaccamenti morbosi a un tipo di soddisfazione anormale dell'istinto) nel DSM-IV (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) dell'American psychiatric association (1994), o tra i disturbi della preferenza sessuale nell'ICD-10 (The ICD-10 classification of mental and behavioural disorders) della Organizzazione mondiale della sanità (World health organization 1993). Secondo gli studiosi, il comportamento del pedofilo è caratterizzato da fantasie, impulsi o azioni che comportano attività sessuali con uno o più bambini prepuberi (generalmente al di sotto dei 13 anni, maschi o femmine, o di entrambi i sessi) da parte di soggetti di età superiore ai 16 anni, aventi almeno 5 anni più delle loro vittime. Tali comportamenti devono essere persistenti e/o preminenti e devono causare disagio clinicamente significativo o compromissione di importanti aree del funzionamento come quelle sociale e lavorativa.
È chiaro che la denominazione utilizzata (allo stesso modo che per il sadismo, il masochismo, il feticismo ecc.) è una nozione flessibile e senza limiti (Howitt 1995, p. 11), in quanto individua solamente un comportamento, non già una categoria diagnostica, e nulla dice circa la psicologia o la psicopatologia che lo sottende. Le perversioni non sono classificabili né come espressione di disturbi mentali né come manifestazioni delittuose, diventano tali solo se sono omologabili a una violenza sessuale oppure se sono sintomatiche di una sindrome patologica psichica (soprattutto delle schizofrenie e della psicosi maniacodepressiva, oppure se si inseriscono in un quadro di insufficienza mentale, di deterioramento organico, di un disturbo della personalità). È necessario, inoltre, distinguere i casi in cui la parola pedofilo è usata per identificare gli aggressori sessuali contro i minorenni, da quelli in cui è utilizzata per affrontare un discorso che s'inquadri in un approccio psicodinamico o fenomenologico. Eppure in questo grande e indeterminato contenitore continuano a essere incluse varie condotte e manifestazioni: l'attrazione sublimata verso i bambini, in modo particolare da parte di educatori e insegnanti; l'attività propriamente sessuale rivolta a soggetti prepuberi (la pederastia che va dalla violenza sessuale fino all'omicidio); il semplice esibizionismo, voyeurismo, o seduzione; il sintomo di disturbi psicologici o psicopatologici variamente connotati; la manifestazione di atteggiamenti legittimati da determinati valori sottoculturali o propri di contesti socioambientali specifici (isolamento, deprivazione ambientale, condizioni di promiscuità e altro); gli aspetti di una determinata cultura in un particolare momento storico (per es. dell'antica Grecia).
Esiste poi una congerie di teorie che vedono nella pedofilia un aspetto sociale, un'espressione di apprendimento sessuale, una distorsione cognitiva, il frutto di un'anomalia biologica e così via: la confusione è talmente grande che sarebbe opportuno eliminare questo termine dal vocabolario tecnico, giuridico, sociale e culturale e parlare più semplicemente di violenza sessuale contro i minori.
Spostando il discorso dal piano della classificazione a quello della comprensione, l'interesse fondamentale dell'operatore delle scienze umane non è tanto quello di definire la pedofilia, quanto di tracciare un identikit di coloro che abusano sessualmente dei bambini. Sotto questo profilo, un mutamento radicale nel modo di affrontare il problema della psicopatologia sessuale, e quindi della pedofilia, è realizzabile ricorrendo al modello conoscitivo e interpretativo della psicologia del profondo; e il primo, grande mutamento è avvenuto con la psicoanalisi. S. Freud nella sua teoria sulla libido (Freud 1905, trad. it., p. 447) ritiene che le perversioni siano contraddistinte da una netta separazione tra l'istinto e l'oggetto, e le definisce, in contrapposizione (sia pur relativa) con le nevrosi, come realizzazioni di una pulsione parziale pregenitale; le distingue poi in rapporto alla fonte pulsionale (orale, anale, fallica), allo scopo (attivo, passivo) e all'oggetto (lo stesso sesso, un bambino, un animale ecc.).
Ciò che non esplicita chiaramente è che la maturità della persona, capace di amore oggettuale genitale, consiste nel riconoscimento dell'altro nella sua esistenza e nella sua libertà di essere; il perverso, invece, riconosce la propria libertà di essere e non quella dell'altro. In questo tipo di relazione, quindi, l'oggetto non è solo il destinatario della pulsione, ma rappresenta una limitazione al narcisismo del perverso, che cerca la sua espansione fino al trionfo onnipotente (Balier 1996, p. 68). Il fattore decisivo che impedisce il raggiungimento dell'orgasmo nel rapporto convenzionale (il primato genitale della relazione eterosessuale) sarebbe l'angoscia di castrazione. Nel pedofilo, infatti, non c'è l'affermazione del primato genitale nella relazione eterosessuale, in quanto il suo sviluppo verso la genitalità è stato bloccato (fissazione); quindi, oltre all'evidente incapacità di sostenere un rapporto amoroso adulto, esisterebbe anche una componente narcisistica che si manifesterebbe nella tendenza a cercare e a trovare nel bambino sé stesso nel periodo della propria infanzia, adottando lo stesso trattamento subito o il suo opposto. Una più adeguata spiegazione di molte fantasie e comportamenti perversi discende da una lettura che comprenda gli aspetti relazionali (la teoria delle relazioni oggettuali e la psicologia del Sé). Questi possono essere stati precocemente sperimentati come inadeguati (insufficienti risposte empatiche) o umilianti, inferiorizzanti e minacciosi per l'integrità del Sé, oppure ostacolanti il processo di separazione/individuazione. In altre parole, come per tutti i comportamenti perversi, la pedofilia appare come il risultato di una dinamica familiare che, inducendo timore, costringe il bambino che ha un desiderio intenso di immergersi nella situazione edipica (desiderio di possedere il genitore di sesso opposto e di identificarsi con il genitore dello stesso sesso) a evitarla (Stoller 1975, trad. it., p. 14), con la conseguenza che in lui sono presenti nella fantasia - in una forma manifesta oppure nascosta, ma comunque essenziale - ostilità, spirito di vendetta, desiderio di fare del male ad altri, di danneggiare, di trionfare, nonché un oggetto disumanizzato (Stoller 1975, trad. it., p. 20). Il ruolo svolto dall'aggressività e dall'ostilità nelle perversioni può essere chiamato in gioco anche nella pedofilia. Sotto questo profilo, analogamente a quanto ipotizzato per il comportamento omosessuale, la pedofilia 'benigna' rappresenterebbe una formazione reattiva contro impulsi ostili e omicidi nei confronti di bambini.
L'ostilità latente, ma presente in questa perversione (come in alcune forme di omosessualità e di stupro), può invece esprimersi in attività erotiche parziali esercitate sul bambino (pederastia) e, andando al di là di queste, finire con l'assassinio (Perversions and near-perversions in clinical practice 1991, trad. it., p. 74). La psicogenesi e la psicodinamica della pedofilia è stata dagli psicologi del Sé correlata con una madre pre-edipica troppo presente o troppo assente che in entrambi i casi viene odiata e temuta, ma che, nello stesso tempo, si ha paura di perdere. L'assenza della madre, in particolare, viene confusa con la fonte della distruttività (confusione primaria: Balier 1996, p. 76). Il tutto è stato tradotto in termini di disturbi nelle relazioni oggettuali precoci madre-figlio, con conseguenti difficoltà nell'identificazione e nella formazione di rappresentazioni del Sé (l'Io in relazione con gli oggetti interni ed esterni) oppure dell'oggetto da parte dell'Io (infrastruttura psichica della quale sono proprie funzioni cognitive, organizzative, previsionali, decisionali ed esecutive) e del Super-Io (infrastruttura psichica di cui sono proprie funzioni interdittive e censorie nei confronti dell'Io). In un numero di casi che va dal 30 all'80% il pedofilo è stato, a sua volta, oggetto di una o più aggressioni sessuali nell'infanzia o nell'adolescenza. La valutazione del significato di questo dato anamnestico è diversamente apprezzata: l'età del bambino gioca un ruolo importante, al pari della possibilità o meno di parlarne, delle modalità dell'aggressione, del fatto che il violentatore sia una persona che appartiene alla famiglia (il più delle volte) o sia a essa estranea, della reazione che accompagna e segue gli episodi, e di altro.
La violenza subita nell'infanzia impedisce alla vittima l'accesso alla sua sessualità infantile, che appare svuotata di contenuti affettivi. L'effetto traumatico deriva dalla partecipazione diretta del bambino alla sessualità dei genitori (o degli adulti); il bambino violentato dal padre non può identificarsi con lui, interiorizzarlo e costruire quell'oggetto interno che gli permette di sentirsi a sua volta maschio, uomo e padre (la fissazione omosessuale o pedofilica). La situazione è aggravata dalla cecità, dall'indifferenza oppure dalla complicità passiva della madre, la cui assenza viene dal bambino-vittima identificata con la fonte della distruttività (confusione primaria a tre: Balier 1996, p. 76). La stessa dinamica sottende il processo della situazione incestuosa, in cui la figlia violentata non può appoggiarsi su un'immagine identificatoria che le consenta di costruirsi l'oggetto interno femminile. Non esiste tuttavia un rapporto diretto tra gravità del trauma sessuale e gravità della perversione. In ogni caso, l'attività fantasmatica, che presiede allo sviluppo della sessualità infantile, viene distrutta. In alcune ricerche, rare peraltro, sono state sottolineate l'immaturità e la bisessualità che caratterizzerebbero i pedofili: tratti, questi, che non sono però significativi, sia perché non tutti i pedofili li presentano, sia perché essi possono manifestarsi anche in soggetti che non hanno mai praticato la pedofilia. Inoltre molti pedofili hanno una loro sessualità adulta eterosessuale che maschera la loro perversione, per cui è come se viaggiassero su due binari distinti e paralleli. Senza avere la presunzione di esaurire l'elenco dei percorsi psicodinamici che il pedofilo può seguire nella messa in atto della sua perversione, se ne possono tracciare alcuni.
Se alle radici della pedofilia prevale la presenza invasiva e pervasiva di una madre pre-edipica o l'assenza di una madre edipica, ne consegue, sia nel maschio sia nella femmina, uno sviluppo di parti femminili pre-edipiche che ostacolano il processo di separazione e di identificazione in un ruolo adulto, genitale, libero e creativo; il pedofilo, allora (Balier 1996, p. 68), fissato a una fase pregenitale, può aggredire il bambino per sperimentare attraverso di lui una sensorialità di base, un autoerotismo primario (il toccare e il toccarsi) il cui accesso gli è stato impedito dalla madre pre-edipica. Egli può imporre le sue attenzioni al bambino-feticcio, occupandosene come avrebbe desiderato che la mamma si occupasse di lui, oppure potrebbe voler riprovare, attraverso gli atti compiuti sulla vittima, il piacere provato attraverso un rapporto perverso con una madre pedofila (un'alta percentuale di queste madri è stata, a sua volta, vittima di abuso sessuale e scarica sul bambino il proprio odio contro i molestatori). La pedofilia occupa un suo posto tra le perversioni femminili: essa può manifestarsi mediante comportamenti più intrusivi quali fare il bagno a un bambino quando ha un'età che gli consente di farlo già da solo, o indugiare sulla sua igiene intima o commentare il suo iniziale sviluppo e compiacersi di questo attraverso parole e gesti carichi di sensualità, o sviluppare atteggiamenti seduttivi verso il figlio con il quale si sostituisce il partner perduto, assente o divenuto indifferente se non ostile; manifestazioni di pedofilia possono essere riconosciute, inoltre, in certe 'attenzioni' proprie delle baby-sitter, quali carezze e stimolazioni manuali dei genitali, atti di sesso orale, penetrazioni o indugi più o meno compiaciuti e prolungati intorno e negli orifizi vaginali e/o anali ecc. Non è da escludere nemmeno l'ipotesi secondo la quale il pedofilo (maschio o femmina che sia), interessandosi del bambino, rifiuta di perdere caratteristiche pre-edipiche femminili e sessuali alle quali è fissato e in cui trova una sua 'unitarietà'. Se ha subito abusi dal padre, può cercare una riedizione sulla piccola vittima della violenza subita; quest'ultima è trattata come un feticcio (manipolabile, disponibile, dal valore simbolico, sovrainvestito, portatore dell'indistruttibilità del soggetto, e sostituto dell'assenza della madre).
L'identificazione con il padre o con il seduttore (la cosiddetta identificazione con l'aggressore) riveste il medesimo significato: quello di controllare la paura attraverso il feticcio, disinvestito di affetto e non interiorizzato, ma idealizzato e potente. In questo modo, il pedofilo non è più un oggetto-cosa, ma colui che è in possesso del potere di ricostruire una riedizione della situazione incestuosa in cui egli, il violentatore, è allo stesso tempo il violentatore-feticcio e il bambino suo doppio. Qualunque sia l'ipotesi interpretativa, il pedofilo cerca di sfuggire, per mezzo dei suoi atti, sia alla depressione narcisistica sia all'esperienza del vuoto, nutrendosi di bambini-feticci che sono essenziali per la sua sopravvivenza. Nel passaggio all'atto, egli cerca la rassicurazione di essere forte, potente, di esistere. Che si tratti di pedofili 'dolci' oppure 'violenti', come si è già detto, sono entrambi terribilmente distruttivi e la loro pulsione distruttiva è contemporaneamente indirizzata contro il bambino, contro sé stessi, contro il padre e contro la madre.
Se a un approccio psicodinamico se ne affianca uno di tipo fenomenologico, il discorso interpretativo non cambia nella sostanza. Nella perversione "si assiste ad una radicale oggettivazione del partner e la sessualità diviene irrimediabile e irriducibile dualità e scissione del sesso dalla componente affettiva della tenerezza [...] è forse per la perdita della tenerezza che la spinta libidica trapassa facilmente da un'impudicizia scontata a un'oscenità gratuita, e parlo qui di aggressività perversa e criminale, intrudendo nell'altrui presenza senza un briciolo di donazione di sé ma solo con egocentrismo e spietato egoismo, tanto da provocare spesso ripulsa o commiserazione o anche, purtroppo, riso e orrore" (Callieri 1991, p. 8). Nel puro erotismo non c'è dunque incontro; esso si nutre di stereotipie comportamentali, di crescenti valenze aggressive non certo armoniche, di compulsioni sempre più impersonali e sempre meno dialogiche, espressione parafilica di un incontro vanificato. Parafrasando Callieri, si potrebbe dire che la 'cosa erotica' perde in essere e il violentatore, sottraendo alla persona il suo momento fondante, cioè l'oblatività e la coesistenza, impedisce, interrompe, distrugge, la realizzazione di una copresenza sessuale che implica partecipazione e appartenenza.
Nell'incontro sessuale, in tal modo, il corpo non si rivela più né come fonte di godimento (ma soltanto di perverso soddisfacimento), né come mezzo di dialogo (ma, al contrario, di violenta prevaricazione). Secondo Plutarco, nel legame con i ragazzi manca quell'armoniosa mescolanza di Eros e di Afrodite grazie alla quale il legame spirituale è associato al piacere fisico; l'amore per i ragazzi è ἀχάριστος, privo cioè di quel consenso, di quella dolcezza, di quella reciprocità che escludono la violenza, l'inganno o la turpe condiscendenza. Mutatis mutandis, l'osservazione dello scrittore greco è ancora oggi valida. L'abbiamo infatti ritrovata sia in una lettura che si avvale delle chiavi interpretative proprie della psicologia del profondo, sia in una descrizione fenomenologica che vede nella sessualità una forma di incontro quanto mai denso di significati e di implicazioni emotive dell'essere insieme con l'altro.
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