ALCALA, Pedro Afan De Ribera duca di (donde "don Perafan" non "don Parafans", come scrivono erroneamente gli storici napoletani)
Secondo marchese di Tarifa, sesto conte di Los Molares e primo duca d'Alcalá, nacque intorno al 1508 a Siviglia da don Fernando e donna Ines de Portocarrero. Non ebbe figli dalla moglie donna Leonora Ponce de León. Ne procreò bensì due naturali: don Juan, vescovo di Badajoz, poi arcivescovo di Valencia e patriarca di Antiochia, e donna Catalina, maritata con don Pedro de Ribera marchese di Barroso. Stato già in patria viceré di Catalogna, ricoprì la medesima carica in Napoli dal 12 giugno 1559 alla morte. E, certamente, lo si potrebbe annoverare tra i più benemeriti viceré di Napoli, se in lui, a somiglianza del suo modello Filippo Il, non fossero coesistiti, da un lato, grande amore per la giustizia, rettitudine e capacità amministrativa, odio all'infingardaggine, energia quanto mai combattiva nel difendere le regalie contro le inframmettenze ecclesiastiche, ma, d'altro canto, anche un fanatismo religioso così intollerante da far di lui il più accanito persecutore di eretici che ai fosse veduto mai in Napoli. Da ciò il suo ritentare invano, dopo don Pedro de Toledo, d'introdurre nel Regno l'Inquisizione a modo di Spagna, la concessione di poteri sempre più ampi alla delegazione napoletana della Congregazione cardinalizia romana del Sant'Offizio, lo aver fatto decapitare e poi bruciare in piazza del Mercato (4 marzo 1564) Gianfrancesco Alois e Gian Bernardino Gargano e - quod peius - l'aver consentito lo spaventoso eccidio di alcune migliaia cli pacifici valdesi dimoranti da due secoli nelle terricciuole calabresi di San Sisto e di Guardia ultramontana.
Tra l'altro - scrive raccapricciato un contemporaneo - ortantotto di essi furono, nel giugno 1561, "serrati in una casa, e veniva il boia, e li pigliava a uno a uno, e gli legava una benda avanti agli occhi, e poi lo menava in un luogo spazioso poco discosto, e lo faceva inginocchiare, e con un coltello gli tagliava la gola, e lo lasciava così: dipoi pigliava quella benda, così insanguinata, e col coltello sanguinato ritornava a pigliar l'altro e faceva il simile".
Ma si deve riconoscere che pochi viceré mostrarono eguale capacità nell'affrontare e talora superare le continue e gravi difficoltà che nel suo lungo governo gli si pararono innanzi.
Prima di tutto, tre carestie (1559-60, 1565 e 1570), in occasione delle quali apri in Napoli l'ospizio di S. Gennaro extra moenia, ove trovarono cibo e alloggio un migliaio di mendichi. In secondo luogo, quattro terremoti: il primo (11 maggio 1560) in Puglia, il secondo (31 luglio 1561) a Napoli e, generalmente, in tutto il Regno, il terzo (19 agosto del medesimo anno) a Diano, il quarto (17 giugno 1570) a Pozzuoli. In terzo luogo, una mortale epidemia di "grippe" o, come si diceva allora, "catarro" (novembre 1562-gennaio 1563).In quarto, l'acuirsi dell'attività dei banditi, segnatamente calabresi, da che trovarono un capo nel famigerato "re Marcone ", al secolo Marco Berardi. Gran da fare dettero in quegli anni Barbareschi e Turchi: al qual riguardo giova ricordare l'invio di galee napoletane all'impresa di Tripoli (1559); il contributo parimente napoletano alla liberazione di Orano, assediata da Dragut rais; la comparsa di quest'ultimo nelle acque di Capri; lo sbarco di Uccia li nella spiaggia napoletana di Chiaia (25 maggio 1563); la conseguente costruzione d'una muraglia che dalla chiesa di S. Lucia a Mare giungeva al monastero di S. Maria a Cappella; l'altro contributo napoletano all'impresa della fortezza del Pignone (1564); il sacco dato dai Turchi, salpati da Costantinopoli, alle terre abruzzesi di San Vito, Vasto, Ortona, Serracapriola, Coglionisi e Termoli (1566); i soccorsi inviati a Cipro (1570); le navi, gli uomini e i viveri forniti all'impresa di Lepanto (1571), per la quale luogo di raduno delle forze alleate fu precisamente Napoli.
Oggetti, infine, della lotta contro Roma, non senza che da questa si minacciasse la scomunica a lui e l'interdetto contro tutto il Regno, furono l'accettazione dei dettami del concilio di Trento, concessa a parole, ma, giusta istruzioni segrete madrilene (27 luglio 1564), negata nel fatto per quanto concerneva il giuspatronato regio, il regio exequatur e altre regalie; il rifiuto di esecutoriare la bolla In coena Domini; la repressione della smodata autorità arrogatasi nel Regno dai cosiddetti "visitatori apostolici"; il divieto ai laici regnicoli citati dalla corte di Roma di presentarsi a questa; i cosiddetti "casi misti" (contese giudiziarie di competenza tanto dei tribunali laici quanto di quelli ecclesiastici); la porzione spettante al re sulle decime imposte dal papa agli ecclesiastici regnicoli; i contrasti con i cavalieri di S. Lazzaro (fusisi poi con quelli di S. Maurizio e sottoposti al gran magistero dei duchi di Savoia), i quali, sebbene laici e sovente animogliati, pretendevano nel Regno le medesime franchigie degli ecclesiastici. Si debbono inoltre all'A., il quale seppe anche riscuotere dal Regno ben quattro dei cosiddetti "donativi" per un ammontare complessivo di 4.400.000 ducati - la fondazione in Napoli della chiesa e del conservatorio dello Spirito Santo (1564),la bellissima fontana dei "Quattro del Molo" (esulata poi in Spagna), lo stradone che da Porta Capuana conduce a Poggio Reale, le strade che congiungono la medesima Porta Capuana con Capua e il Ponte della Maddalena con Salerno.
Già nel marzo 1571 ammalato gravemente di gotta, morì il successivo 2 aprile. La sua salma, sepolta provvisoriamente nella chiesa napoletana di S. Anna di Palazzo, fu trasferita poi nel mausoleo sivigliano degli Afan de Ribera.
Fonti e Bibl.: Arch. dei marchesi Afan de Rivera Costaguti, Roma; F. Palermo, Narrazioni e documenti sulla storia del Regno di Napoli dall'anno 1522 al 1667, in Arch. stor. ital.,IX (1846), pp. 193-197, 204 s., 289, 293-307; J. Raneo, Libro donde se trata de los vireys Lugartenientes del Remo de Nápoles..., in Colección de documentos inéditos para la historia de España, XXIII, Madrid 1853, pp. 164-227 (ivi son riferiti sull'argomento lunghi brani del raro volume di O. Suarez de Figueroa, Pausilipo: ratos de conversación en los que dura ci paseo, Napoli 1629); D. A. Parrino, Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli..., I, Napoli 1692, pp. 249-278; J. F. E. de Rivarola y Pineda, Monarquía Española, blascón de su nobleza, Madrid 1736, p. 156; P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, VI, Napoli 1865, pp. 49-162; L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892, I, pp. 234, 240, 251 s.; II, pp. 82-92; V. Mauro, Il vicereame di Napoli al tempo del duca d'A.(1559-71), Pesaro 1914; N. Nicolini, La città di Napoli nell'anno della battaglia di Lepanto, Napoli 1929, pp. 7-9.