peggiorativo
I peggiorativi sono un tipo di alterati (➔ alterazione) ottenuti per ➔ derivazione, il cui significato implica una valutazione negativa da parte del parlante, che in questo modo prende le distanze rispetto a ciò di cui parla (➔ modalità): si veda libraccio rispetto a libro, avvocaticchio rispetto ad avvocato, ragazzaccio rispetto a ragazzo o poetastro rispetto a poeta.
La valutazione negativa ha effetti diversi a seconda della base di derivazione. La gamma dei significati dei peggiorativi si può misurare attraverso varie scale o domini concettuali, secondo il principio per il quale si cerca la più plausibile scala qualitativa rispetto alla base X e si assegna al peggiorativo di X un valore negativo su questa scala. Così, un libraccio può essere valutato negativamente per il suo contenuto (ieri ho finito un libraccio, letto con fatica: esempio tratto da Internet), per la sua forma (un giorno mi toccò un libraccio con gli angoli arricciati e le pagine stampate a caratteri minuscoli: da Internet) o anche la sua mole (ho ancora 360 pagine di libraccio da studiare e nn so come fare ... avendo l’esame: da Internet); una scarpaccia è tale perché sporca o logora, un vecchiaccio lo è per il carattere o l’aspetto fisico, un momentaccio per gli eventi con esso connessi, una vociaccia per il suo effetto acustico, un avvocataccio per la sua scarsa qualità professionale (date le possibilità economiche, mi difenderò da solo: al massimo un avvocataccio alcolizzato e di quint’ordine d’ufficio: da Internet), ecc. Come si vede, le scale qualitative tengono conto sia della dimensione fisica concreta (vociaccia, scarpaccia) che di possibili aspetti più astratti (carattere, valore professionale, ecc.). A seconda della distanza che il parlante intende prendere dal denotato dell’alterato (o dall’atto linguistico nel quale esso è coinvolto), il valore peggiorativo sfocia in quello dispregiativo.
Tra le varie tecniche morfologiche (➔ morfologia) impiegate per realizzare peggiorativi vi sono la prefissazione (➔ prefissi), la suffissazione (➔ suffissi) e alcuni casi di composizione neoclassica (➔ elementi formativi). La suffissazione è di gran lunga la preferita in italiano.
Tra i suffissi che veicolano effetti peggiorativi troviamo primariamente -accio, -astro e -ucolo. Tra questi, il più produttivo è -accio, che si combina principalmente con nomi (donnaccia, figuraccia, stradaccia, tempaccio, vitaccia: per la questione del genere dei nomi, ➔ alterazione), ma anche con aggettivi (a parte quelli sostantivati come avaraccio, riccaccio, in Internet troviamo esempi come mi ha detto che il tempo è bruttaccio), avverbi (malaccio, tipica designazione eufemistica del cancro), indefiniti (qualcosaccia; da Internet: un callo con una ferita da riccio di mare o qualcosaccia del genere), esclamazioni (porcaccia miseriaccia!), numerali (miliardaccio; da Internet: mi sa che si vanno a godere qualche miliardaccio in euro in qualche isola del pacifico). Si noti in quest’ultimo esempio che l’alterato ottiene un effetto pragmatico, dato che permette al parlante di esprimere la sua presa di distanza rispetto alla supposizione formulata.
L’alta produttività del suffisso è dimostrata anche dal fatto che non «soggiace a particolari restrizioni fonologiche»: ammette infatti anche sequenze X-cci-accio, X-zz-accio (salsicciaccia, puzzaccia, palazzaccio, pasticciaccio, vociaccia, facciaccia); inoltre, si «cumula facilmente con altri suffissi, sia diminutivi (che lo attenuano), sia accrescitivi (che intensificano l’effetto)» (Merlini Barbaresi 2004: 287), come nel termine marinaresco coltell-acc-ino («tipo di vela trapezoidale simile al coltellaccio»), nel toscanismo cov-acci-olo («luogo in cui dormono e riposano uccelli e altri piccoli animali selvatici»); e dall’altro più di frequente con accrescitivi come birb-acci-one, sporc-acci-one, ecc. Talvolta il significato oscilla verso l’accrescitivo, come in zampaccia, colpaccio, o verso il vezzeggiativo, come in romanaccio. La contiguità semantica del suffisso peggiorativo e di quello accrescitivo si rivela anche «nella consuetudine dei due suffissi a collocarsi nel medesimo contesto, come in un riccone, sigaro e cilindro o la damazza ingioiellata e antipatica («L’Espresso» marzo 2000)» (Merlini Barbaresi 2004: 290). Infine, bisogna osservare che la variante più produttiva (-accio) è più propriamente toscana e romana, mentre la variante meno produttiva (-azzo: codazzo, damazza) è settentrionale e meridionale (nel sud, anche -acchio: culacchio, capacchione).
Meno produttivo, ma pur sempre largamente disponibile, è il suffisso -astro, che ricorre soprattutto con alcuni nomi (giovinastro, filosofastro) e con aggettivi, soprattutto di colore (biancastro, giallastro, nerastro, verdastro, ecc.; ➔ colore, termini di). Sulla base dell’etimo latino -aster, che denotava somiglianza, si spiegano derivati lessicalizzati come figliastro, fratellastro, oltre che il valore degli alterati da aggettivi di colore, «tutti caratterizzati da qualità simili a quelle delle rispettive basi, ma meno precise, meno perfette, da cui il senso peggiorativo» (Merlini Barbaresi 2004: 292).
Di produttività ridotta sono suffissi come:
(a) -ucolo, presente in alterati come gentucola, paesucolo, dottorucolo, scrittorucolo, che risale etimologicamente a un significato diminutivo, da cui per piccolezza e scarsa importanza si approda al valore peggiorativo (ma valore diminutivo si ritrova in alterati come piacerucolo, straducola, ecc.);
(b) -ardo, che, «disconoscendo il significato positivo della fonte germanica -ard dei nomi propri, quali Riccardo, Boiardo (e anche dell’agg. gagliardo), può assumere significato peggiorativo come formativo di aggettivi, di base nominale, come dinamitardo, beffardo, testardo, aggettivale, come vecchiardo, verbale, come infingardo (< infingere) e il recente sessantottardo» (Merlini Barbaresi 2004: 292);
(c) -uncolo (ladruncolo, omuncolo) e -ercolo (libercolo, tubercolo), quest’ultimo di origine tardo-latina, che mantengono il senso diminutivo di origine aggiungendolo al significato peggiorativo ora prevalente.
Significati peggiorativi sono rintracciabili anche in alterati formati con suffissi tipicamente diminutivi (➔ diminutivo) e accrescitivi (➔ accrescitivo). Infatti, come s’è visto, sia l’attenuazione che l’esagerazione possono essere reinterpretate come svalutazioni delle proprietà dell’alterato. Pertanto, suffissi tipicamente diminutivi come -etto o -ino si prestano a usi peggiorativi come in avvocaticchio, operetta, ninfetta e rispettivamente donnina, partitino, dottorino, governicchio, e un suffisso accrescitivo come -one ha valore peggiorativo in praticone, pastone, arruffone, argentone, pasticcione. D’altro canto, un suffisso peggiorativo come -accio dà luogo ad alterati con valore vezzeggiativo come geniaccio, ingegnaccio, talentaccio, o Wojtilaccio (famosa battuta dell’attore comico Roberto Benigni all’indirizzo di papa Giovanni Paolo II).
Possono assumere valore peggiorativo anche prefissi accrescitivi o diminutivi come iper-, che «indica quantità superiore al normale» e «può talvolta esprimere eccesso, e di conseguenza assumere una connotazione negativa» (Iacobini 2004: 150: ipernutrizione, iperprotezione, ipertensione, ipervalutazione), o sotto-, che «può assumere anche connotazioni svalutative» (Iacobini 2004: 153) in parole come sottogoverno, sottosviluppato. Infine, si ritrova un valore peggiorativo in qualche composto con elementi neoclassici come pseudo- (pseudointellettuale, pseudoscientifico) o vetero- (da Internet: un esempio negativo di vetero-sindacal-comunismo, una fiera delle “mostruosità” rimaste del veterostatalismo assistenziale italiano).
Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.
Iacobini, Claudio (2004), Prefissazione, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 97-163.
Merlini Barbaresi, Lavinia (2004), Alterazione, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 264-292.