pegno
La parola ricorre nel Fiore, in alternanza col francesismo ‛ gaggio ' (v.). In V 10 Amore dichiara che il p. del cuore donatogli dall'amante è più sicuro di qualsiasi obbligazione scritta: Amico meo, / i' ho da te miglior pegno che carte (cfr. gaggio in III 5). Da elemento del rito feudale dell'omaggio, il p. diventerà strumento degl'inganni amorosi nel discorso della Vecchia.
Nel son. CLXXVII la donna invoca un immaginario pignoramento delle proprie vesti per estorcere doni all'amante; un irridente gioco di rime sulla parola p. e suoi derivati sottolinea la sapiente orditura della burla: E quando un altro vien, gli faccia segno / ched ella sia crudelmente crucciata, / e dica che la roba sua sia 'n pegno: / ‛ Molto mi duol ch'uom crede ch'i' si' agiata'. / E que' procaccierà danari o pegno, / sì che la roba sua fie dispegnata (CLXXVII 11 e 13): al v. 13 pegno è l'oggetto da impegnare, mentre al v. 11 sia 'n pegno vale " sia impegnata " (in antitesi a dispegnata del v. 14).
Il motivo del p. verrà ripreso nel sonetto successivo, con svolgimenti che forse saranno ricordati dal Boccaccio, in un analogo contesto di burla amorosa, per l'astuzia del prete di Varlungo nel Decameron (VIII 2).