PEIRE Cardenal
Trovatore provenzale, che poetò dal 1216 al 1271. Secondo il suo biografo, Miquel de la Tor, P. C. sarebbe nato al Puy, di famiglia nobile; avviato al sacerdozio e agli studî, avrebbe preferito la vita nomade e libera del poeta, ch'egli del resto intese come alta missione etica e sociale e in cui portò effettivamente i segni d'una sua cultura viva e meditata. Le allusioni delle sue poesie si collegano tutte alle regioni del Velay, del Vivarais e dell'Alvernia, e parecchie canzoni sono dedicate al conte di Tolosa, probabilmente Raimondo VII.
Di P. C. ci sono pervenute 70 poesie, più una ventina di dubbia attribuzione; il suo canzoniere è perciò fra i più ricchi della tradizione occitanica ed è sufficiente per ricostruire il temperamento aspro e pessimista di questo singolare poeta. Per un verso la sua maniera si può ricollegare a quella dell'antico Marcabruno (v.), che nella lirica provenzale aveva inaugurato il genere moralistico con atteggiamenti satirici antisentimentali e soprattutto misogini; ma P. C. porta una diversa esperienza, di contenuto più largamente umano e più attento alla realtà sociale. Vissuto nel clima spirituale creatosi con la vicenda albigese, egli ne avverte la profonda crisi, cogliendone gli aspetti soprattutto etici: la poesia e il costume trovatorici, l'ambiente aristocratico, la classe ecclesiastica, gli ordini religiosi - e specialmente il domenicano - i rapporti familiari e affettivi sono tutti livellati su uno stesso piano e giudicati nelle loro più stridenti antinomie; cosicché il suo poetare investe le più profonde esigenze dell'umanità. Ma la forma stilistica con cui P. C. traduce questi suoi ideali di giustizia, di umiltà e di schiettezza, è di stampo satirico-oratorio e si risolve in una continua, serrata e fremente requisitoria contro l'intera società contemporanea, in cui si sente desolatamente straniero e incompreso (questa condizione egli ha tradotto con arguzia nella nota favola: Una ciutat fo, no sai quals). I riferimenti individuali e le confessioni personali non trovano posto in questa lirica amara e virulenta, che non ha rispetti per nessuna classe e svela crudamente le ombre della condotta umana, contro cui riafferma con una vigoria nuova e robusta i principî originarî della morale evangelica. Egli, che detestava il saio dei predicatori, ebbe però il temperamento intransigente del domenicano; ma nella sua concezione liberale e quasi intuitiva della vita cristiana disdegnava quell'interesse mondano e politico, che invece stava a base della repressione albigese: in questo senso, infatti, si possono riconoscere in P. C. un'intima corrispondenza col moto ereticale e una dolorosa coscienza dell'inesorabile tramonto a cui si avviava la civiltà provenzale. E poiché l'espressione più tipica e più íedele di essa era costituita dalla poesia amorosa e cortese, P. C. non esitava a discuterne con atteggiamento completamente negativo l'intero contenuto sentimentale e artistico, ormai stilizzatosi al di fuori di ogni ideale etico: soprattutto in due canzoni egli affermava con piena consapevolezza critica il suo temperamento di "antitrovatore" (Ar mi puois ieu lauzar d'amor e Ben tenh per folh). Fra tutti i poeti provenzali, P. C. ebbe il merito di allargare - eredità che purtroppo non ebbe seguaci - i limiti angusti entro cui si andava inaridendo la lirica trovatorica.
Ediz.: Manca un'edizione delle sue poesie. Se ne veda la lista con i riferimenti bibliografici in A. Pillet, Bibliogr. der Troubadours, Halle 1933.
Bibl.: F. W. Maus, P. C.s Strophenbau ecc., Marburgo 1884; K. Vossler, P. C., ein Satiriker aus dem Zeitalter der Albigenserkriege, nei Sitzungsberichte dell'Accademia di Monaco, 1916; A. Jeanroy, La poésie lyrique des troubadours, Parigi 1933, pp. 187-193.