PALAGI, Pelagio
PALAGI, Pelagio. – Figlio di Baldassarre Michele Francesco e di Giuliana Raffanini (Collina - Poppi, 1996, p. 259) nacque a Bologna il 25 maggio 1775 (per motivi ignoti, nell’autobiografia si dichiara nato nel 1777: P. P. artista e collezionista, 1976, p. 25).
Fu artista prolifico e poliedrico: pittore, frescante, architetto, progettista di arredi, ma anche collezionista antiquario e bibliofilo. Ebbe come precettore il conte Carlo Filippo Aldrovandi, collezionista ed erudito, che lo introdusse allo studio dell’architettura, della prospettiva, della scultura e del disegno di figura, divenendo suo mecenate (Collina - Poppi, 1996, p. 259).
Circa al 1790 viene datata una tempera su tela, Scena. Un arco a caduta d’acqua (Bologna, Collezioni comunali d’arte; come tutte le altre opere citate, ove non diversamente indicato), che testimonia l’abilità precocemente raggiunta nell’utilizzo della prospettiva, oltre allo studio delle incisioni di Giovanni Battista Piranesi (ibid., p. 122; Matteucci, 2007), in particolare delle Carceri. Piranesi fu un riferimento frequente nell’attività di progettista d’arredi di Palagi che possedeva tutte le raccolte delle sue incisioni pubblicate in volume (Roncuzzi Roversi Monaco, 1989, p. 209). Fra il 1790 e il 1800 realizzò l’olio su tela Scena egizia, uno studio in cui si mescolano elementi dell’architettura romana, greca ed egizia, influenzato oltre che dall’incisore veneto anche dall’opera di Mauro Tesi e Felice Giani (Collina - Poppi, 1996, pp. 124 s).
Fra il 1798 e il 1799 frequentò la scuola del nudo dell’Accademia di belle arti di Bologna, vincendo due volte il premio Fiori, con due sanguigne raffiguranti Eracle a riposo e Apollo, conservate ancora in loco (Cova, 2007, p. 56). Al 1800 circa si fa risalire l’olio Mezza figura virile con spada in mano (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio), in cui utilizzò come modello l’amico Giuseppe Guizzardi, ritratto con notevole capacità di introspezione psicologica, in atteggiamento malinconico.
La lettura di questo studio non finito di un giovane artista, assai poco accurato nella rappresentazione di alcuni elementi anatomici e del panneggio, è stata pregiudicata dal restauro integrativo (Collina - Poppi, 1996, pp. 128 s.), subito da molte opere di Palagi negli anni Settanta del Novecento, mediante puliture che ne hanno spesso cancellato le velature ad acquerello (Poppi, 1996, pp. 15 s.; Id., 2004, p. 18).
Nel 1802 frequentava le riunioni dell’Accademia detta ‘della pace’, fondata da Giani intorno al 1789 e concepita non come una scuola, ma come un cenacolo di artisti (Poppi, 1989, pp. 15 s.; Matteucci, 2002, pp. 51 s.). Nel 1803 venne eletto nella Commissione di consulenza per il rinnovamento degli stabilimenti di Pubblica Istruzione, insieme ad altri artisti bolognesi quali Francesco Rosaspina, Giacomo Rossi, Giacomo De Maria e Giovan Battista Martinetti; nello stesso anno fu nominato accademico della rifondata Accademia nazionale di belle arti di Bologna (con sede nell’ex chiesa di S. Ignazio), subentrata alla Accademia Clementina che era stata soppressa con l’occupazione napoleonica.
In questi anni dipinse su muro alcuni monumenti funebri per il cimitero della Certosa, fra i quali il Monumento di Luigi Sampieri e Maria Vincenza De Gregorio (1804; VII arco del III chiostro; Mampieri, 2007), del quale si conserva un accurato disegno preparatorio (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio). Entro il 1805, prima di stabilirsi a Roma, decorò vari palazzi nobiliari di Bologna con tele e pitture murali, fra le quali il tondo, a tempera su muro, raffigurante Aurora e i dodici segni zodiacali realizzato per la volta della sala dell’Archeologia in palazzo Aldini (ora palazzo Sanguinetti; Collina - Poppi, 1996, p. 260). Fra il 1805 e il 1810, con buona probabilità, sono databili due studi a olio di Testa di lupo di notevole qualità soprattutto per l’accurata resa dei dettagli (ibid., pp. 129 s.), quali la cromia cangiante del pelo e la trasparenza delle iridi.
Nel 1806 stabilì la sua residenza a Roma, dove in quegli anni erano presenti personalità della statura di Canova e Ingres, che certamente, insieme a Tommaso Minardi, protagonista del futuro movimento purista, influenzarono la pittura dell’artista bolognese negli anni successivi. A Roma iniziò a frequentare vari artisti fra i quali, in particolare, l’amico Guizzardi e Luigi Ricciardelli (Regesto biografico, 1989, p. 47); con questi, sul finire del 1806, si recò a Grottaferrata per studiare il ciclo di affreschi di Domenichino dipinto sulle pareti della cappella Farnese nell’abbazia greca di S. Nilo. Sempre nello stesso anno ricevette da Aldrovandi la commissione per dipingere il grande olio su tela Il matrimonio di Amore e Psiche (Detroit, Institute of art), presentato all’Esposizione annuale dell’Accademia di belle arti di Bologna del 1808. Nel 1806 circa eseguì anche il dipinto a olio Virgilio legge l’Eneide a Ottavia e Augusto (Bologna, Casa Saraceni, Collezioni d’arte e di storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna; della medesima collezione fanno parte altri 5 oli e un disegno a gesso). Nel 1807 dipinse un olio raffigurante la Sacra Famiglia e, con buona probabilità, anche il Ritratto di giovane donna, non finito nello sfondo (entrambi a Bologna in collezione privata; ripr. in P. P. artista e collezionista, 1996, p. 260).
Prova della maturità raggiunta da Palagi in questi anni è il dipinto Leonida in partenza per le Termopili (1806-07), nel quale oltre alla capacità d’esecuzione delle anatomie, dei panneggi, del chiaro-scuro, notevole appare la resa degli stati d’animo dei personaggi (alcuni non privi di enfatica espressività). In un periodo di tempo immediatamente successivo (1807-1810) realizzò anche il dipinto Leonida II condanna Cleombroto.
Nell’opera si coglie la vicinanza con il linguaggio di Vincenzo Camuccini (al quale talvolta vengono attribuiti lavori di Palagi) e soprattutto, come ha ben individuato la critica (Collina - Poppi, 1996, pp. 132-135), con i quadri di soggetto storico di David cui l’artista sembra guardare per la composizione architettonica, la gestualità dei personaggi, il preziosismo cromatico e la luce teatrale che invade la scena.
Fra il 1808 e il 1809 dipinse l’olio Saffo e Rodope abbracciate, opera che rivela come le influenze della pittura romana su Palagi si palesino anche in un manierismo di derivazione michelangiolesca, evidente nelle anatomie e nelle posture delle figure; a ciò va aggiunto quel gusto ingresiano che si andava diffondendo a Roma dopo l’arrivo nel 1806 del pittore francese (Collina - Poppi, 1996, pp. 142-144). In questi anni Palagi si dedicò anche alla realizzazione di vedute fantastiche di Roma e della sua campagna, che incontravano il favore della committenza, nelle quali la natura è protagonista in armonia con l’architettura classica, e le figure umane, quando presenti, sono del tutto marginali; si veda, in particolare, Chiostro di belle colline, lago e tempietto greco (1807-10 ca.).
Nel 1810 eseguì il Ritratto di Gaetano Cattaneo (Milano, proprietà della Pinacoteca di Brera, in deposito alla Galleria d’arte moderna), amico dell’artista, che nel 1808 era stato nominato conservatore del Reale Gabinetto di medaglie e monete di Milano. In questo stesso anno vinse una medaglia d’oro al Salon di Parigi del 1810 per il quadro Mario a Minturno (Rizzoli, 1976, p. 19). Nel 1812, in previsione del soggiorno (mai avvenuto) a Roma di Napoleone con la consorte e il figlio, partecipò, insieme ad altri artisti, fra i quali Camuccini, Giani e lo stesso Ingres, alla decorazione di una serie di ambienti del palazzo del Quirinale, destinati a ospitare la famiglia imperiale; in particolare, Palagi eseguì per il gabinetto di lavoro di Napoleone la tela con Cesare che detta ai segretari (ora collocata nella volta della attuale sala della Musica).
Nel 1813 venne nominato membro dell’Accademia di S. Luca e ispettore dell’Accademia italiana di palazzo Venezia, dove ebbe l’opportunità di frequentare Canova e l’amico comune Giuseppe Tambroni (Bersani, 1989, pp. 180 s.). Nello stesso anno gli vennero commissionati gli affreschi raffiguranti Storie di Teseo e Allegorie (dispersi), per la volta a botte della galleria del palazzo di Giovanni Torlonia in piazza Venezia (distrutto ai primi del Novecento).
Il ciclo fu terminato l’anno seguente grazie all’aiuto di vari pittori, fra i quali spicca il nome di Francesco Hayez, che ricordò più tardi di aver appreso proprio da Palagi l’utilizzo della prospettiva, materia nella quale a suo giudizio egli eccelleva, mostrando invece meno abilità nell’uso del colore (Mazzocca, 1989, p. 31). Della decorazione restano alcuni modelli su carta o su tela. La scarsità del tempo a disposizione spinse Palagi a fare largo uso di aiutanti per i cartoni preparatori (Collina - Poppi, 1996, pp. 151 s.), come si può notare in alcune figure secondarie che mostrano volti dalle espressioni convenzionali, non all’altezza delle sue notevoli capacità ritrattistiche: si veda, per esempio, La verità che scaccia la Frode e fa smascherare da un genio la Calunnia (esposto alla mostra annuale dell’Accademia di Bologna nel 1817; ibid., pp. 156 s.).
Nel 1815 lasciò Roma e tornò nella natia Bologna, per stabilirsi subito dopo a Milano. Nello stesso anno entrò a far parte dell’Accademia etrusca di Cortona. Nel 1819 venne nominato membro dell’ Accademia di belle arti di Milano, nota come Accademia di Brera (dove espose con cadenza quasi annuale dal 1820 al 1831, nel 1834 e nel 1840). Nel 1821 fu nominato socio dell’Accademia delle belle arti di Carrara. Nel 1823 terminò, insieme a Hayez, gli affreschi, rimasti incompiuti a causa della morte di Andrea Appiani, della sala della Lanterna nel palazzo reale di Milano, con episodi tratti dalla storia romana (distrutti durante il bombardamento anglo-americano del 1943; ripr. in P. P. artista e collezionista, 1996, p. 264). Nella stessa città, in questi anni, Palagi aveva fondato un’accademia privata, con molti allievi, che tenne aperta fino al 1834, con sede nella chiesa sconsacrata di S. Vincenzino in via Camperio (Mazzocca, 1989). Nel 1824 il conte Paolo Tosio, letterato e mecenate, gli commissionò l’olio Newton che osserva la rifrazione della luce nei corpi sferici delle bolle di sapone (Brescia, Musei civici d’arte e storia), presentato alla mostra di Brera del 1827. Nel 1828 divenne ‘socio d’onore’ dell’Ateneo di Brescia e ‘accademico professore’ dell’ Accademia di belle arti di Firenze. Nel 1830 gli venne ordinata una tela di grande formato raffigurante S. Adalgiso dona ai canonici della basilica di S. Gaudenzio i beni di Cesto, per la basilica di S. Gaudenzio di Novara, completata nel 1833 e ancora in loco (transetto sinistro, altare di S. Adalgisio; Borlandelli 2011); l’opera è stata oggetto di un radicale restauro nel 2013 (‹http://www. kiwanis.it/engine/art.php?ID=521›). Nel 1831 venne eletto ‘socio corrispondente nella classe di disegno’ dell’ Accademia di belle arti di Milano.
Alla fine del 1832 si trasferì a Torino, incaricato dal re Carlo Alberto di Savoia di sovrintendere alla decorazione del castello di Racconigi, ruolo che lo spinse a rallentare molto la sua attività pittorica. Nel 1834 il sovrano lo nominò cavaliere dell’Ordine militare dei Ss. Maurizio e Lazzaro, «pittore preposto alla decorazione de’ Reali palazzi» e direttore della scuola di ornato dell’ Accademia Albertina di belle arti di Torino. Dal 1835 iniziò a dirigere i lavori di risistemazione del palazzo reale e del castello di Pollenzo (durati fino alla metà degli anni Quaranta).
Nel palazzo reale, Palagi si occupò del rimodernamento e del riarredo di alcuni ambienti: dall’architettura, alla pittura, alla decorazione, coordinando decine di pittori, come Francesco Gonin, Pietro Ayres (Dalmasso, 1976, p. 204) e vari maestri e artigiani fra i quali l’ebanista Gabriele Capello detto il Moncalvo (Bandera Gregori, 1976, p. 185).
In alcuni arredi Palagi sembra rievocare gli eccessi ornamentali tipici dei mobili da parata del periodo barocco (ibid.), mentre in altri emergono stili quali il neoclassico, il pompeiano, il cosiddetto primo impero o il ‘Carlo X’. Nei mobili destinati agli ambienti privati la decorazione sembra farsi invece più discreta e privilegiare l’intarsio all’intaglio ad alto rilievo, ottenendo un’elegante funzionalità d’uso in sintonia con il gusto borghese dell’epoca. Progettò anche arredi di gusto neogotico, un linguaggio diffusosi soprattutto grazie alle pubblicazioni di August Welby Northmore Pugin, che Palagi possedeva (Bersani, 1989, pp. 185 s.), e sostenuto dal sovrano sabaudo. Al gothic revival è improntato anche il complesso delle Margherie, edificato in questi anni su progetto di Palagi nel parco del castello di Racconigi.
Nel 1837 ideò il disegno del pavimento per la basilica di S. Gaudenzio a Novara (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Gabinetto disegni e stampe, dove sono conservati altri arredi realizzati dai suoi disegni; Borlandelli, 2011, pp. 69-72).
Nel 1839 terminò il disegno preparatorio (coll. priv.; ripr. in Dalmasso, 1976, p. 206) per la grande tela a olio destinata al soffitto del salone da ballo del palazzo reale; realizzato nel 1858 e restaurato in anni recenti (2003) il dipinto è contraddistinto da un lungo titolo di carattere didascalico: Coll’assistenza degli dei usando dei piaceri onesti abbelliti dagli insegnamenti delle muse liete scorrono le ore a misura del moto armonico del tempo (ibid., pp. 205-208; Calzona, 2004). Nel 1841 terminò i disegni preparatori per gli affreschi raffiguranti le Allegorie delle lettere, delle scienze e delle arti, per la volta della biblioteca di Palazzo Reale, realizzati poi da Angelo Moja e Marco Antonio Trefogli.
Nel 1845 divenne ‘socio d’arte’ dell’ Accademia di belle arti di Venezia. Nello stesso anno portò a termine l’olio Sacra famiglia con s. Giovannino per l’altare della cappella privata detta ‘Pregadio’, annessa alla sala delle udienze del Palazzo Reale di Torino.
Nel 1853 venne inaugurato il Monumento ad Amedeo VI di Savoia, o Monumento al conte verde (Torino, piazza del Palazzo di città), realizzato in bronzo a distanza di oltre dieci anni dal progetto ideato da Palagi. Allo stato attuale degli studi questa sembra essere l’unica scultura a sé stante realizzata dall’artista, avulsa dai complessi decorativi sui quali generalmente operava come mero ideatore di forme, non occupandosi della prassi esecutiva (Pescarmona, 1976, pp. 217 s.; Bersani, 1989, pp. 180-186). Nel 1856 per decreto del re Vittorio Emanuele II venne dispensato da tutti gli incarichi, gli venne conferita una pensione e la facoltà di fregiarsi del titolo di ‘Regio pittore’.
Morì a Torino il 6 marzo 1860.
La sua vastissima collezione di oggetti d’arte, reperti archeologici, libri, monete e documenti venne donata al Comune di Bologna, che indennizzò i nipoti secondo il volere dell’artista.
Fonti e Bibl.: P. Palagi, Autobiografia (1850 circa), in P. P. artista e collezionista (catal.), a cura di R. Grandi, Bologna 1976, pp. 25-29; E. Rizzoli, ibid., pp. 19-24; R. Grandi, ibid., pp. 31-56; A.M. Matteucci, ibid., pp. 105-126; L. Bandera Gregori, ibid., pp. 177-187; F. Dalmasso, ibid., pp. 203-213; D. Pescarmona, ibid., pp. 215-218; G. Gualandi, ibid., pp. 221-232; L’ ombra di Core. Disegni dal Fondo Palagi della Biblioteca dell’Archiginnasio (catal., Bologna), a cura di C. Poppi, Casalecchio di Reno 1989; C. Poppi, ibid., pp. 9-26; F. Mazzocca, ibid., pp. 27-45; C. Bersani, ibid., pp. 175-203; V. Roncuzzi Roversi Monaco, ibid., pp. 205-225; L. Vincenzo, Vasi. Idee da P. P., Trento 1996; P. P. pittore. Dipinti dalle raccolte del Comune di Bologna (catal., Bologna), a cura di C. Poppi, Milano 1996; C. Poppi, ibid., pp. 15-60; C. Collina - C. Poppi, ibid., pp. 121-189, 241-267; Il romanticismo storico: Francesco Hayez e P. P. (catal.), a cura di I. Marelli, Milano 2001; I. Marelli, ibid., pp. 11-29; I decoratori di formazione bolognese tra Settecento e Ottocento, a cura di A.M. Matteucci, Milano 2002; A.M. Matteucci, ibid., pp. 20-24, 51-101 e ad. ind.; E. Colle, ibid., pp. 144-149; P. P. alle Collezioni comunali d’arte (catal., Bologna), a cura di C. Bernardini, Ferrara 2004; C. Poppi, ibid., pp. 10-18; L. Calzona, ibid., pp. 32-34; E. Landi, P. e Basoli a palazzo Gozzadini. Nuovi documenti e integrazioni d’archivio, in Il carrobbio, XXXI (2005), pp. 219 - 234; Magnifiche prospettive. P. e il sogno dell’antico, a cura di C. Bernardini - A.M. Matteucci - A. Mampieri (catal., Bologna), Ferrara, 2007; P. Cova, ibid., pp. 56 s.; A.M. Matteucci, ibid., pp. 9-40; A. Mampieri ibid., pp. 41-47; L. Tosi, Su alcuni marmi della collezione Traversi di Desio, in Prospettiva, 2010, n. 138, pp. 68-76; B. de Royere, P. P. et l’aménagement des résidences du roi Charles-Albert en Piémont, tesi, rel. O. Bonfait, Aix-Marseille Université - Université de Provence 2010; S. Borlandelli, Bianchini, P. e il dibattito sulla pittura di storia a Novara…, in Novarien, XLIV (2011), 40, pp. 69-94; S. Capocasa, Gli “Aegyptiaca” della collezione P., in Horti Hesperidum, 2012, n. 1, pp. 175-191 (http://www.horti-hesperidum.com/showrivista. php?item=124); Il complesso di villa Cusani Antona Tittoni a Desio. Arte e storia, a cura di M. Brioschi - P. Conte - L. Tosi, in corso di stampa.