PELIA (Πελίας)
Mitico re di Iolkos, figlio dell'eroina Tyrò e di Posidone o, secondo altre fonti, di una ipostasi del dio, il fiume Enipeo. P. è noto per esser padre di Alcesti e zio di Giasone: in un secondo tempo anzi assume il carattere di infido persecutore dell'eroe.
La tradizione figurata che è possibile ricollegare a questo personaggio è delle più ineguali e frammentarie che sia dato di incontrare. Evidentemente fonti poetiche in cui il re P. doveva comparire piuttosto di scorcio che come protagonista hanno contribuito a tramandarne la figura con aspetti distorti e contraddittori. A dare un'idea di questa singolare discontinuità basterà ricordare come le più antiche figurazioni che vanno allineate sotto il suo nome non si riferiscono che ad un P. postumo: si tratta infatti dei celebrati giochi funebri indetti dal figlio Akastos in suo onore e a cui parteciparono tutti più grandi eroi ellenici di quella generazione. Dalla narrazione di Pausania è da dedurre che tali figurazioni dovevano svilupparsi con notevole ampiezza persino nella concentrata economia narrativa dell'Arca di Kypselos. Sono ricordati infatti i giudici e i contendenti nelle varie gare tra cui non manca neppure Giasone. Questo fatto unito alla presenza delle Peliadi tra gli spettatori sta a indicare una tradizione in cui è ancora ignorata l'inimicizia tra Giasone e il re, e in cui la morte di quest'ultimo non è dovuta all'inganno di Medea e alla sciagurata credulità delle figlie.
È indubbio in ogni caso che l'imponenza di queste celebrazioni così per la partecipazione di tanti eroi, come per l'eco che ne è sopravvissuta nei monumenti fornisce un dato prezioso per la fama e grandezza dell'antico re di Iolkos. Per quanto riguarda la tradizione figurata infatti né i giochi funebri di Patroclo e neppure quelli di Enomao, di Archemoros e di Palaimon che dettero origine ai giochi panellenici, sono lontanamente comparabili con quelli di Pelia. Oltre che sull'Arca di Kypselos gli athla figuravano sul Trono di Amicle: mentre monumenti peloponnesiaci degli inizî del VI sec. a. C. come le lamine bronzee di Olimpia (E. Kunze), o il cratere corinzio di Anfiarao a Berlino, ne riportano scene isolate, riconoscibili per l'esatta corrispondenza dei nomi degli eroi impegnati nelle gare. Tali figurazioni s'incontrano in aspetti sostanzialmente invariati in monumenti attici contemporanei, quali i dèinoi dell'Acropoli nn. 590, 2209 e i frammenti dell'Agorà AP 334 e in eco più distante l'hydrìa calcidese di Monaco (F.R. tav. 31).
Il motivo peraltro di un P. subdolo e crudele verso Giasone e in seguito punito con l'atroce morte nel lebete magico in un vano tentativo di ringiovanimento proposto per vendetta da Medea, dovette svilupparsi assai presto nel VI sec. a. C., forse per effetto di un poema di Stesicoro. Così tra le figurazioni sorprendentemente eclettiche del Thesauròs del Sele, ancora nel secondo venticinquennio del VI sec. a. C., s'incontra una singolarissima figura impostata in piena frontalità entro il lebete magico, P. o secondo altri Kokalos, che alza le braccia in un gesto di turbamento e di disperazione.
Peraltro il nucleo più sostanzioso delle figurazioni relative al caldaio magico con gli incanti di Medea e le Peliadi resta conchiuso tra l'estremo VI sec. a. C. e gran parte del V sec. a. C. In queste figurazioni del resto, accanto al lebete e alle donne appare alle volte l'ariete o addirittura un ragazzo emerge dal bacino, mentre il re P. è quasi sempre omesso. Persino nella raffinata hydrìa Londra E 163 del Pittore di Copenaghen, J. D. Beazley propone di riconoscere non già P., ma Giasone pronto al ringiovanimento nel personaggio canuto e incurvato che fa fronte a Medea presso il lebete. In un simile atteggiamento, il passo incerto e ancora più scoperti segni di decadenza fisica nel capo calvo e il collo ispessito appare P. nel cratere a calice di Tarquinia assegnato al Pittore di Pistoxenos, affrontato a una giovane donna dalla spada brandita indicata dalla iscrizione come Alkandra (per Alcesti?). Un P. sempre più fragile e curvo, appoggiato al bastone e affettuosamente guidato e persuaso dalle figlie compare nella pyxis (CA 636) del Louvre e nella ben nota coppa del Vaticano. Mentre della estrema popolarità del soggetto e della sua chiara derivazione teatrale fa fede la trasposizione in chiave di dramma satiresco attestata da un cratere a campana di Ancona in cui un vecchio satiro curvo e fragile viene condotto verso il grande lebete da un altro satiro.
Una isolata raffigurazione di P. e le figlie presso il lebete s'incontra su uno dei lati minori di un raffinato sarcofago con storie degli Argonauti nel Cimitero di Pretestato. La schematica povertà dell'immagine peraltro fa giudicare improbabile o almeno ingiustificata la discendenza da un grande originale del V sec. dell'ordine dei tragici "rilievi a tre figure" postulata per questa figurazione.
Nella Nèkyia di Polignoto a Delfi P. appariva canuto e assiso in trono accanto o almeno non lontano da Orfeo. In un simile aspetto di maestà convenzionale è figurato in una tarda rappresentazione del carro di Admeto a cui sono aggiogati leoni e cinghiali in uno degli stucchi della Tomba degli Anicii sulla Via Latina (v. admeto).
Una serie di dipinti pompeiani, di cui il più raffinato, seppure mutilo, può dirsi quello della Casa degli Amorini dorati (L. Curtius, Die Wandmalerei Pompejis, Lipsia 1929, p. 243, fig. 141) figurano per comune consenso l'arrivo di Giasone a Iolkos durante un solenne sacrificio in onore di Posidone. E in questi dipinti, con chiara opposizione alla figura isolata in primo piano del misterioso eroe viandante, compare il re P. maestoso e un poco teatrale a sommo di una scalinata e attorniato dalle figlie.
Di tutt'altra intonazione sono le figurazioni di P. giovinetto in connessione con la drammatica storia della madre Tyrò che ebbe pure notevole divulgazione per effetto di una tragedia di Sofocle. In questo contesto P. è anzitutto il gemello indistinguibile del fratello Neleo: e con quest'ultimo appare neonato abbandonato sulla riva del fiume dalla madre dolente in un piccolo gruppo fittile di Atene. Mentre come giovani eroi vittoriosi ritornano per vendicare le umiliazioni della madre in una serie di vasi italioti e specchi etruschi tra cui per fortuna con i nomi iscritti quello di Napoli. L'ultimo atto del dramma con Tyrò e i figli supplici presso l'altare e il corpo abbandonato della matrigna uccisa Siderò appare in un noto altare fittile di Medma al museo di Reggio. Naturalmente in tutte queste scene l'indubbia protagonista è la figura patetica della madre avvilita mentre gli eroi in armi si presentano con caratteri estremamente generici e incolori.
In mezzo a tarde e confuse discendenze da schemi illustrativi di testi tragici, una grande coppa d'argento dalla Battriana nel museo di Washington riporta anche una figurazione del vecchio P. curvo e stanco condotto per mano da una delle figlie.
Bibl.: Weizsäcker, in Roscher, III, 1897-902, c. 1848 ss., s. v., n. i; K. Scherling, in Pauly-Wissowa, XIX, 1937, c. 317-326, s. v., n. 2; G. E. Rizzo, in Mem. Acc. Napoletana, 1917, p. i ss.; J. D. Beazley, in Amer. Journ. Arch., LIV, 1950, p. 310, n. 3; E. Kunze, Archaische Schildbänder, Berlino 1950, p. 139, 180; K. Weitzmann, Ancient Book Illumination, Princeton 1957, p. 78; Fr. Brommer, Vasenlisten, 2a ed., 1960, p. 183 ss.; M. Gutschow, in Röm. Mitt., XLIX, 1934, p. 295; P. Zancani Montuoro, L'Heraion del Sele, Roma 1954, II, p. 350 ss.; Fr. Brommer, Satyrspiele, 2a ed., Berlino 1959, p. 79.