PELLEGRINAGGIO
La pratica devozionale del p., consistente nel recarsi, da soli o in gruppo, in un luogo sacro, prevalentemente a scopo votivo o penitenziale, è tipica del cristianesimo occidentale; si tratta anche di un orientamento dello spirito religioso comune a una maggioranza di culture, sia per quel che concerne le sue motivazioni sia per quanto attiene alle sue manifestazioni. Le destinazioni finali di questi viaggi religiosi si ricollegavano a tre tipologie principali: luoghi segnati da una presenza sovrannaturale, luoghi storici di carattere sacro e, infine, luoghi consacrati al culto dei corpi santi, che racchiudevano particole di eternità, e dove si operavano miracoli.I grandi p. dell'Occidente medievale si ricollegano a queste tre categorie. La storia ha consacrato i luoghi ove si è svolta la vicenda terrena di Gesù Cristo, e il p. in Terra Santa, in particolare a Gerusalemme, cominciò a costituire un fenomeno organizzato già ai tempi del trionfo del cristianesimo nell'Impero romano. I p. al monte Gargano (v. Monte Sant'Angelo) e al Mont-Saint-Michel (v.) erano in relazione con apparizioni dell'arcangelo. Tuttavia, la maggior parte dei p. era legata a tombe di santi, alla presenza di reliquie e ai miracoli che da esse ci si attendeva: a Gerusalemme si venerava la tomba di Cristo, a Roma quelle degli apostoli Pietro e Paolo; la scoperta del corpo dell'apostolo Giacomo attrasse verso la Galizia folle immense.Fenomeno religioso nella sua essenza, e come tale riconosciuto, il p. ebbe anche implicazioni economiche, politiche e sociali, ma anche artistiche, in particolare allorché esso divenne un fenomeno di massa.La comparsa dei p. di massa nell'Europa occidentale dei secc. 11° e 12° trae origine dall'estrema mobilità che caratterizzò in quest'epoca la società nel suo insieme. L'espansione demografica comportò un movimento di colonizzazione verso l'interno e un processo di espansione verso l'esterno, di cui le crociate furono solo uno degli aspetti più spettacolari. Con la rinascita del commercio fece la sua comparsa un nuovo tipo di città fondata sull'attività economica. Il potere civile e le istituzioni religiose congiunsero i propri sforzi per facilitare le comunicazioni attraverso la manutenzione delle strade e lo sviluppo di un sistema di punti di sosta. Ancora più importante, per i viaggiatori in generale e per i pellegrini in particolare, si rivelò l'adozione in loro favore di specifiche misure di protezione, di carattere giuridico e di portata internazionale.Sotto l'aspetto artistico, il p. è stato indagato secondo la prospettiva delle 'vie di p.', nozione che si è sviluppata a partire dall'identificazione delle 'strade di Santiago de Compostela', avvenuta con la pubblicazione (1882) del libro V del Codex Calixtinus o Liber sancti Iacobi. Quest'opera divenne celebre allorché Bédier (1908-1913) ne integrò il contenuto indagando i temi letterari sviluppati lungo le strade segnate nell'itinerario; in particolare, egli rivelò come essi mirassero in realtà a legare alla fortuna del santuario galiziano un certo numero di grandi edifici francesi. L'esplorazione artistica delle 'vie di p.' fu intrapresa da Mâle (1922), il primo a segnalare l'esistenza, lungo le vie che conducevano i pellegrini a Santiago de Compostela, di un certo numero di grandi chiese dei secc. 11° e 12° strettamente apparentate tra loro per pianta, alzato e caratteri costruttivi: abside circondata da un deambulatorio a cappelle radiali; coro prolungato da due navate laterali che incorniciavano un vasto transetto ed erano a loro volta in comunicazione con le navatelle di un corpo longitudinale assai sviluppato; alta navata centrale voltata a botte e contraffortata da tribune che ne assicuravano anche un'illuminazione indiretta. La cattedrale di Santiago de Compostela appartiene a questa famiglia architettonica, ma non detiene il merito di aver creato tale tipologia; il modello sarebbe stato fornito dalla collegiata di Saint-Martin di Tours, che Mâle individuò come la più antica e la più bella di tutte le chiese di p. di Francia.La pubblicazione dell'opera di Porter (1923), che si presenta come un'applicazione al campo della scultura della tesi sulle 'vie di p.', ha proposto di fatto una cronologia rivoluzionaria dell'insieme della scultura romanica, privilegiando sistematicamente alcuni ambiti geografici rispetto ad altri e in particolare la Spagna rispetto alla Francia e, all'interno della stessa Francia, la Borgogna rispetto a Tolosa. In questo senso l'autore si è posto in netta contrapposizione rispetto alle tesi dell'archeologia francese contemporanea.Successivamente, Lambert (1956) e Hubert (1959) contribuirono a demolire la nozione di 'vie di p.'. Il primo faceva osservare che, allo stesso modo in cui tutte le strade portano a Roma, tutte quelle della Francia sudoccidentale potevano condurre a Santiago de Compostela, indicando il gruppo di architetture di questa 'via di p.' come l'ultima incarnazione di un metodo di interpretazione dell'arte romanica che si era sviluppato in Francia nel sec. 19° e agli inizi del 20°, quello delle 'scuole romaniche di architettura'. Hubert si spinse ancora più oltre nella critica del concetto: secondo lo studioso, l'idea stessa di 'vie di p.' appartiene al mito romantico delle origini popolari dell'arte, in cui si attribuiva alla folla oscura dei pellegrini il misterioso propagarsi delle idee e delle forme artistiche.Se si procede a un'analisi obiettiva, ci si rende conto che non esistettero mai in Francia strade o percorsi preparati per il solo uso da parte dei pellegrini, ma solo itinerari o semplici enumerazioni di punti di sosta che erano indicati ai viaggiatori per mezzo di testi scritti o attraverso la pubblica notorietà. D'altro canto, se l'orientamento generale degli itinerari del p. a Santiago de Compostela indicati nel sec. 12° dall'autore del libro V del Liber sancti Iacobi è vicino a quello della scultura romanica, non sussistono coincidenze geografiche assolute tra l'attività degli scultori e il percorso dei pellegrini.È dunque ormai assodato che le grandi chiese romaniche del tipo di quella di Santiago de Compostela - Sainte-Foy di Conques, Saint-Martin di Tours, Saint-Martial di Limoges e Saint-Sernin di Tolosa - non debbono essere studiate dal punto di vista delle 'vie del p.' a Santiago de Compostela, ma ricollocate nel quadro dell'architettura romanica dell'11° secolo. È inoltre opportuno ricordare che la cronologia dei diversi edifici non è ancora pienamente accertata, in particolare per quel che riguarda Saint-Martin di Tours e Saint-Martial di Limoges.Ciò nonostante sembra che il concetto di 'vie di p.' non debba essere totalmente abbandonato; conserva infatti un certo valore per la scultura che si sviluppò alla fine del sec. 11° e agli inizi del 12° lungo la sezione spagnola della via di Santiago: nella cattedrale di Jaca, nella cappella castrale di Loarre, nell'abbaziale di Frómista, a San Isidro di León e nella cattedrale di Santiago de Compostela. Essa presenta ovunque un certo numero di caratteri comuni che si ritrovano anche in molte delle grandi chiese della Francia sudoccidentale in relazione con il p.: Sainte-Foy di Conques, Saint-Sernin di Tolosa, Saint-Gaudens, Saint-Sever. Gaillard (1938) spiegò questo fenomeno con lo spostamento di grandi botteghe itineranti di scultori, che sarebbero passati da un edificio all'altro portando con sé le proprie tecniche e i propri modelli. È verosimile che le cose fossero più complesse e che, accanto allo spostamento di artisti che viaggiavano da soli o in gruppi, sia opportuno pensare alla comparsa di veri e propri centri artistici, dotati di reale originalità, di una sorta di genio del luogo, ma comunque in grado di instaurare tra loro legami più o meno stretti.Furono i p. a Gerusalemme che esercitarono l'influenza più profonda e duratura sullo sviluppo architettonico dell'Occidente, attraverso numerose imitazioni del Santo Sepolcro.Gli altri p. dell'Europa medievale contribuirono nella stessa maniera all'arricchimento dell'iconografia con la creazione o la diffusione di temi iconografici originali. Fu infatti grazie ai p. che l'Occidente conobbe il Volto Santo di Lucca. Questa città occupava una posizione importantissima lungo la via Francigena, la via di comunicazione italiana definitasi nel corso dell'Alto Medioevo dopo l'abbandono delle grandi strade romane - in particolare la via Aurelia - che correvano lungo la costa tirrenica, ma che, a causa dello spopolamento e dell'insicurezza, erano andate spostandosi verso l'interno. La via Francigena era divenuta la principale strada di p. a Roma e a Santiago de Compostela. In corrispondenza di un passaggio particolarmente difficile, un gruppo di nobili di Lucca fondò intorno al 1060 un ospedale sia per i numerosi pellegrini che si dirigevano direttamente a Roma o verso i punti della Puglia da dove si imbarcavano per la Terra Santa sia per quelli che andavano invece verso la Francia e verso Santiago de Compostela. Si tratta del celebre ospedale di Altopascio, che era posto sotto la protezione di s. Cristoforo e di s. Giacomo e fu all'origine dell'Ordine degli Ospedalieri di s. Giacomo di Altopascio, che estese la sua presenza lungo i principali percorsi di pellegrinaggio.Il Volto Santo di Lucca, attualmente nel duomo, aveva una sua leggenda: sarebbe giunto nel porto di Luni su di una nave senza timoniere e sarebbe stato in seguito trasportato a Lucca. Si diceva che fosse stato scolpito da Nicodemo. Nel sec. 11°, Guglielmo II il Rosso, duca di Normandia e re d'Inghilterra, giurava sul volt de Lucha. Secondo un episodio del poema epico Chevalerie Ogier (fine sec. 12°- inizi 13°), Carlo Magno, passando per Lucca, dove l'aveva condotto l'inseguimento di Uggeri il Danese, compì le sue devozioni dinanzi al santo Vou nella chiesa di S. Martino. Il Cristo di Lucca venne riprodotto in Francia, in Germania e in Inghilterra. Le sue immagini, come tali identificate, sono numerose in Catalogna, ove l'Ordine di s. Giacomo di Altopascio possedeva un ospedale a Perelló, sulla strada costiera che collegava Barcellona a Tarragona, almeno dal 14° secolo.Mâle (1922) mise in relazione con il p. a Roma uno dei motivi più enigmatici della scultura romanica, quello del cavaliere vittorioso. Dinanzi al palazzo Lateranense, la residenza papale, si innalzava la statua di Marco Aurelio poi trasferita sul Campidoglio nel 1538. L'imperatore stende la sua mano destra in avanti con gesto imperioso e il suo cavallo, secondo le fonti, schiacciava con gli zoccoli un piccolo personaggio rovesciato. Questa immagine, tipica dell'arte imperiale romana, divenne per i pellegrini del Medioevo una raffigurazione di Costantino, il primo imperatore cristiano; essi vi vedevano infatti il simbolo della Chiesa trionfante sull'idolatria. Mâle fece di quest'immagine il prototipo delle rappresentazioni romaniche del cavaliere che si trovano nella Francia occidentale e in Spagna. La tesi dello studioso non venne accolta da unanime consenso; venne confutata da Porter (1923) e dagli storici dell'arte spagnola, che identificavano i cavalieri romanici della penisola - in tutto una dozzina di esemplari - con s. Giacomo Maggiore. Secondo la leggenda, il santo sarebbe apparso alle armate cristiane nella battaglia di Clavijo dell'844 e avrebbe assicurato loro la vittoria sui Mori. Questo tema è trattato segnatamente sul timpano del portale d'ingresso del chiostro romanico della cattedrale di Santiago de Compostela. Secondo de Apraiz (1941), se si riportano su di una carta le ubicazioni dei cavalieri vittoriosi di Francia e di Spagna, si può osservare che in genere essi sono situati in prossimità delle vie verso Santiago de Compostela; si tratta dunque della prova del fatto che il cavaliere romanico rappresenta s. Giacomo vincitore dei musulmani e non Costantino.Seidel (1981) rifiuta di porre il cavaliere vittorioso romanico in relazione con un personaggio preciso; lo inserisce invece nell'ambito delle facciate istoriate di Aquitania, che interpreta in maniera globale come un tema trionfale ispirato all'Antichità, ma trattato in una prospettiva cristiana, secondo la visuale dell'epoca. I celebri cavalieri rappresenterebbero dunque, più che Costantino, il cavaliere cristiano in generale, che si pone al servizio della Chiesa e che riceve la sua ricompensa celeste dopo la morte. In altri termini, si avrebbe a che fare con un trionfo militare realizzato nel contesto delle crociate e legato a trionfi religiosi e morali. In ogni caso va però rilevato che il tema del cavaliere non sopravvisse all'arte romanica.Così come poneva a Roma il prototipo del cavaliere vittorioso romanico, allo stesso modo Mâle (1922) immaginò che fosse stata creata al monte Gargano, nel santuario di S. Michele Arcangelo, la celebre immagine dell'arcangelo in posizione stante nell'atto di colpire con la sua lancia la gola del drago posto sotto di lui. Si è potuto in seguito appurare che la storia del motivo fu assai più complessa e le ricerche attuali si orientano soprattutto sul versante delle relazioni privilegiate tra gli imperatori e gli arcangeli.Altrettanto semplificatoria appare un'altra ipotesi di Mâle, secondo la quale i siti d'altura in cui si venerava s. Michele - Mont-Saint-Michel, Sagra di San Michele in Piemonte, il monte Tancia in Sabina, Le Puy - sarebbero stati scelti in riferimento al monte Gargano. Un abbozzo di prova esiste solo per Mont-Saint-Michel, l'antico Tombe, in Normandia. In questo sito già cristianizzato, intorno all'epoca del regno di Childeberto III (695-711), il vescovo Auberto di Avranches, in seguito a un sogno suscitato da s. Michele, dedicò a quest'ultimo una cappella, dopo aver fatto ricercare sul monte Gargano, con funzione di reliquie, un frammento della roccia e un frammento del pallio dell'arcangelo. Negli altri casi la filiazione diretta con il monte Gargano non è stabilita e la scelta per il culto di s. Michele di luoghi inespugnabili può ricollegarsi a ragioni diverse, alcune delle quali possono connettersi alla scelta dello stesso monte Gargano.Le vie di p. erano luogo di prodigi, giacché questi ultimi costituivano la prova della santità. Uno dei miracoli di s. Michele ebbe una portata eccezionale che gli valse una larghissima diffusione per tutto il Medioevo e anche oltre. Si tratta della leggenda del ricco di Siponto, proprietario di un toro che aveva tentato di uccidere con una freccia avvelenata, che però si era rivolta verso di lui. La narrazione del prodigio e dei fatti che a esso seguirono non ha solo un aspetto puramente leggendario: essa chiarisce alcuni insoliti aspetti della consacrazione di un luogo a un santo di cui non si possedevano reliquie. Non meno eccezionale, sia pure per altre ragioni, è il miracolo più popolare avvenuto lungo la via di Santiago de Compostela, quello dell'impiccato, che figura nel Liber sancti Iacobi. Uno sfortunato pellegrino, crudelmente tratto in inganno, viene ingiustamente condannato all'impiccagione mentre suo padre continua da solo il suo p. a Santiago de Compostela. È solamente al ritorno di quest'ultimo che s. Giacomo decide di far trionfare la verità. La commemorazione del prodigio beneficiava di una straordinaria messinscena a Santo Domingo de la Calzada, dove ogni pellegrino poteva rivivere l'azione e misurare l'autenticità della tradizione. Nutrito di peripezie diverse e arricchito di elementi meravigliosi, questo episodio conobbe uno straordinario prestigio in tutta Europa e fu oggetto di trasposizioni sceniche e di rappresentazioni artistiche.
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Il p. è un segno per tutta la tradizione medievale e per comprenderlo non serve qui iniziare l'analisi dai testi più antichi, come la Peregrinatio Aetheriae del 400 ca., ma è opportuno concentrarsi sulle tipologie delle fonti e sul periodo fra 9° e 11° secolo. Se si riflette sulle mete del p. ci si rende conto che esso stesso è un fatto storico; per questo l'articolazione dei percorsi del p. in Occidente e in Oriente appare diversa, e da studiare diversamente, nei primi secoli dell'era cristiana, in quelli del dominio islamico dei mari dal sec. 8° in poi, in età carolingia, nei secc. 11° e 12°, o nel 13°, dunque al tempo delle crociate, e infine ancora dopo. Si dovrebbe anche aprire un capitolo diverso per i p. articolati in relazione alle differenti credenze religiose, con una geografia distinta per quelli cristiani, ovviamente, per quelli dell'Islam, per quelli ebraici. Comunque, il moderno dibattito critico sul p. distingue il periodo della crisi dell'Impero romano e i primi tempi del cristianesimo e il periodo che va grosso modo dall'età carolingia al tempo romanico, e in genere delle crociate, su cui conviene concentrare la ricerca tenendo particolarmente conto dell'area di riferimento cristiana e dei suoi modelli.In questa prospettiva, tra le fonti per lo studioso del p. oggi, prima di tutto bisogna considerare le vite dei santi, che sono spesso costruite secondo il modello del viaggio, del p., della ricerca del divino che si ritrova attraverso un percorso, una strada, una via che è anche individuazione di un luogo particolare, di un luogo eletto, o che viene eletto. Nella narrazione dei luoghi consacrati al culto, nella venerazione delle spoglie, delle reliquie dei santi in Occidente o in Oriente, la conservazione della memoria è affidata a vite che, in genere, sono state scritte o riscritte in fasi diverse; dopo l'età paleocristiana e il tempo carolingio, le nuove stesure si situano fra i secc. 11° e 12°, quando le vite diventano fonti per il racconto sulle strade dei pellegrinaggi.Ma queste strade hanno esse stesse delle fonti proprie, che sono in genere note come itinerari, e che non vogliono essere necessariamente dei modelli per altri viaggi, ma semplicemente il rendiconto di percorsi sacrali, di tappe e di correlate meditazioni condotte sulle sepolture dei martiri e dei santi. Questi itinerari non possono naturalmente essere posti sul medesimo piano, ma devono essere storicamente indagati e analiticamente discussi nelle differenti motivazioni: per es. l'itinerario di Sigerico arcivescovo di Canterbury, che data al 990 ca., punta su una serie di tappe che sono santuari e dunque luoghi di religiosa meditazione su una via che va da Calais al San Bernardo, ad Aosta, a monte Bardone, a Lucca, a Roma; al-Idrīsī, geografo arabo, nel 1154 propone un viaggio da Narbona a Roma, per tappe lungo la costa dove si cerca di scoprire le strutture economiche del potere delle città, come accade per Pisa e Genova; Filippo II Augusto re di Francia torna nel 1191 dalla terza crociata e il resoconto del suo viaggio, da Corfù a Otranto e da lì attraverso l'Italia, sembra puntare su una serie di santuari fino al momento dell'incontro con il pontefice a Roma per ottenere da questi la possibilità di espropriare delle terre Riccardo Cuor di Leone, ma, una volta fallito il tentativo, il resoconto della religiosità del sovrano nel rendiconto si attenua e il viaggio prosegue rapido verso il Moncenisio e la Francia, passando per Lucca e monte Bardone (Stopani, 1986; 1991; 1992).Non va considerato fra gli itinerari un altro genere di fonti, quello che la più recente storiografia ha chiamato guide e che vede pochi testi sopravvivere alla generale distruzione dell'età moderna. Il testo più noto è il libro V del Codex Calixtinus o Liber sancti Iacobi, il codice (Santiago de Compostela, Arch. de la Catedral y Bibl., C) che illustra le quattro vie, i quattro percorsi che portano dalla Francia fino a Santiago (Diaz y Diaz, 1988). Il Liber è importante perché, come è stato riconosciuto, collega insieme antiche vite di santi integrate nel testo, come quella di s. Egidio, notizie sui luoghi e sulle popolazioni, sui cibi e sui pericoli del percorso, come nel caso dell'incontro con baschi e navarresi, con descrizioni delle chiese e delle venerate sepolture, come accade nel caso di Saint-Gilles-du-Gard oppure in quello di Santiago de Compostela. Un simmetrico racconto volto all'altra meta del p., Roma, si ritrova nei Mirabilia urbis Romae, che attestano, come del resto la guida compostelana, un'analoga integrazione fra luoghi di venerazione cristiana e antichi monumenti dell'età romana.Le fonti per lo studio delle vie del p. non sono solo le guide e gli itinerari, ma anche altre e soprattutto la chanson de geste, che la recente ricerca ha messo al centro del dibattito. Già Bédier (1908-1913) ha collegato efficacemente al p. il racconto della chanson de geste, a cominciare dalla Chanson de Roland della fine del sec. 11°, fino a tutte le altre da Ami et Amile alla Chevalerie Ogier, che riguarda proprio il viaggio in Italia.Contestando le tesi neoromantiche della continuità delle chansons de geste dall'età arturiana o carolingia a quella romanica, lo studioso ha riconosciuto che questi racconti nascono da una precisa programmazione dei luoghi di culto e delle loro reliquie e che dunque muovono da ambienti religiosi o a questi collegati; del resto è inserita proprio nel Codex Calixtinus di Santiago de Compostela una chanson de geste scritta in latino, l'Historia Karoli Magni et Rotholandi dello pseudo-Turpino. Lo stesso codice, che nei suoi cinque libri unisce vite del santo, inni, miracoli, la canzone e appunto la guida, appare come il modello del sistema dei testi scritti che i viaggiatori nel sec. 11° dovevano ritrovare nei singoli luoghi del pellegrinaggio.Le fonti del viaggio, del p., non sono però soltanto letterarie, sono anche immagini e su questo punto il dibattito critico, quantomeno fuori dei confini italiani, è stato assai ricco agli inizi del secolo, per poi bloccarsi a lungo e riprendere solo di recente. Dunque, appunto agli inizi del secolo, dopo le ricerche di Bédier, nell'ambito della storia dell'arte si devono segnalare due opere: il volume di Mâle (1922), che punta sul rapporto fra diffusione dell'iconografia religiosa nei timpani, nei capitelli, in genere nella scultura ma non solo in questa, e teatro, cioè la messa in scena dei 'misteri'; l'opera di Porter (1923), che si avvia per una strada diversa analizzando il tramitare di modelli e di officine di artisti dal Saint-Sernin a Tolosa a Santiago de Compostela, dalla Francia alla Spagna, ma anche dalla Francia all'Italia, fino a Roma e, in Puglia, a Bari. Dopo queste due grandi imprese, che suggeriscono anche un taglio storico diverso rispetto a quello tradizionale delle scuole 'regionali' - che in Francia domina la scena da Lasteyrie (1912) ad Aubert (1947) - la ricerca sulle strade appare meno seguita rispetto ad altre vie di analisi della cultura medievale. Il dibattito sulle strade appare di fatto contestare i modelli antichi della storiografia, quando Conant (1926; 1968), mettendo a confronto le planimetrie del distrutto Saint-Martin di Tours con Conques, Saint-Sernin di Tolosa, Cluny e Santiago de Compostela, pone un problema analogo a quello che si era posto Porter: se cioè esista o meno un'arte delle 'vie di pellegrinaggio'.In epoche più prossime il dibattito sull'arte in Terra Santa, variamente collegato all'architettura e scultura in Francia nella seconda metà del sec. 12° e agli inizi del 13°, ha posto egualmente un problema di tramitazioni e rapporti. Per quello che concerne l'analisi critica dei testi, si pubblicano edizioni commentate del libro V del Codex Calixtinus, a cominciare da quella curata da Vieillard (Le guide du pèlerin de Saint-Jacques de Compostelle, 1938), e si pubblicano i monumenti sulle vie, ma quasi mai ricerche globali. La situazione viene mutando negli anni Settanta con i due volumi di Quintavalle (1975; 1977), l'uno sul tema della via Romea in generale e sul monte Bardone, l'altro su alcuni dei passi di attraversamento appenninico, dove si pongono diversi problemi: quello del rapporto fra strade romane e strade medievali, quello della struttura a reticolo della viabilità medievale, quello del collegamento fra reliquie dei santi da una parte e corpi dei cavalieri come l'Orlando e l'Oliviero scolpiti nel portale maggiore del duomo di Verona dall'altra. L'indagine ulteriore vede la ripubblicazione dei testi degli itinerari (Stopani, 1986; 1991; 1992) e una serie di opere divulgative sui percorsi, cui si aggiungono molte interessanti ricerche, per es. sulle strade fra la Valle di Susa e la Valle d'Aosta, dovute agli storici. In Francia le indagini sui monumenti delle quattro vie fino a Santiago de Compostela (Oursel, 1982-1986) e un saggio sul pellegrino e la sua iconografia (Oursel, 1963) sono fra i più interessanti contributi al dibattito.La discussione fra gli storici dell'arte ha preso in genere in considerazione le architetture e le sculture, ma, adesso che le ricerche iconografiche appaiono più avvertite, risultano più chiare le ragioni della presenza e della ripetizione delle immagini dei pellegrini. Perduti ormai quasi sempre le pitture e i mosaici delle chiese del sec. 12°, la figura del pellegrino appare dunque come ritornante nelle sculture: si vedono pellegrini nell'architrave del timpano del portale della SainteMadeleine a Vézelay (e si tratta di pellegrini che vengono da ogni luogo del mondo); si vedono pellegrini a Conques nella lunetta di facciata della chiesa di Sainte-Foy, non a caso accostati a Carlo Magno, che la chanson de geste racconta pellegrino in Terra Santa oltreché alla guida della crociata contro gli infedeli di Spagna, secondo quanto narra la Chanson de Roland; si hanno inoltre immagini di pellegrini a piedi rappresentate nei luoghi più frequentati del pellegrinaggio. Intorno alla fine del sec. 12° e agli inizi del 13° si assiste alla diffusione di un secondo sistema di immagini di pellegrini: nel duomo di Borgo San Donnino (od. Fidenza), i pellegrini sono distinti in poveri e ricchi, e nelle parrocchiali di Fornovo di Taro (prov. Parma) e di Vigoleno (prov. Piacenza) si vedono pellegrini isolati, sculture a tutto tondo che agli inizi del sec. 13° appaiono come immagini simboliche, probabilmente poste sulla facciata delle chiese, di un viaggio attraverso il monte, inteso come luogo di espiazione (Le Goff, 1981).Esiste ancora un'iconografia nascosta del pellegrino, che non è semplicemente quella del viaggiatore a piedi, che va comunque restituita ed è sottesa al discorso sulle fonti delle strade del viaggio e del p., entro cui va compresa anche la chanson de geste. Alla fine del sec. 11° o agli inizi del seguente si osserva la rapida diffusione un poco ovunque in Occidente di immagini di cavalieri, dalla Porte des Comtes nel transetto meridionale del Saint-Sernin a Tolosa (1097) alla porta dei Leoni lungo il fianco settentrionale del S. Nicola a Bari, cavalieri che appaiono naturalmente anche nei mosaici e nelle pitture a fresco e che in genere non hanno una precisa spiegazione all'interno del racconto, come nel caso dei cavalieri con scudo allungato e scudo tondo che si confrontano in un capitello (inizi del sec. 12°) della cattedrale di Parma. La chiave per capire queste immagini di cavalieri è quella del viaggio e della crociata, quella crociata che viene predicata in Borgogna, a Clermont-Ferrand, da papa Urbano II nel 1095 e che Cluny avrebbe proposto come modello di lotta sia in Occidente, in Spagna, sia in Oriente. Un'ulteriore indicazione del mantenersi di questa iconografia si ha nelle rappresentazioni del ciclo dei Mesi, per es. nel Maggio del duomo di Ferrara (Mus. del Duomo), verso il 1230, che mostra appunto il cavaliere con un lungo scudo, forse un tempo dipinto con la croce del combattente per il Santo Sepolcro.Il tema del p. e del viaggio va integrato con la diffusione di alcuni modelli architettonici direttamente ripresi, sul filo della imitatio, dal Santo Sepolcro, modelli che si diffondono in Occidente ben prima del tempo delle crociate.Importante appare a questo punto cercare di stabilire meglio la geografia del p., del viaggio. Il viaggio a Roma, prima ancora che il viaggio a Santiago de Compostela, che inizia a partire dal sec. 9°, è il p. più importante della cristianità medievale dopo quello a Gerusalemme. Con la chiusura dei passaggi nel Mediterraneo, o quantomeno di agevoli transiti via mare verso l'Oriente, il viaggio per la Terra Santa appare sempre più difficoltoso e così la geografia dei p. si riorganizza.La crisi della viabilità romana intanto è giunta al suo acme e la dissoluzione del sistema delle comunicazioni trasforma l'Occidente, facendo cadere in disuso le strade principali, i grandi percorsi di comunicazione. Così le vie periferiche, lungo le coste del Mediterraneo, in Provenza come in Liguria, la Maritima dei Bizantini, devono essere abbandonate; le strade della Spagna meridionale sono ormai dominio dell'Islam; i regni cristiani sono attestati in parte nell'area pirenaica e nel Nord della Spagna e, naturalmente, in Francia e Germania, mentre in Italia l'Islam domina la Sicilia e fa incursioni nel Sud anche al tempo dei Normanni, rendendo insicura la viabilità periferica. La strada dei passi alpini da N a S, la strada che dalla valle del Reno traversa la Reichenau e passa dal lago di Costanza e le vie del Moncenisio e del San Bernardo sono strade frequentate dal p. medievale, che sceglie poi, per giungere a Roma, prevalentemente un itinerario interno all'area appenninica, quello che passa dal mons Langobardorum, il passo di monte Bardone (Monbardon per la chanson de geste), che è noto a tutto l'Occidente. Verso Santiago de Compostela alla fine del sec. 11° e agli inizi del 12° viene attrezzata la grande via del p. all'enorme basilica costruita sulla ritrovata sepoltura dell'apostolo Giacomo. Le strade dei p. costruiscono dunque una loro geografia storica in Occidente già nel sec. 9° e la integrano, specie fra il sec. 11° e il 12°, con un sistema di costruzioni e di attrezzature, stazioni per il cambio delle cavalcature o degli animali da traino, ostelli, ponti di pietra, ma anche fortificazioni di abitati e castelli. Dunque una notevole trasformazione di modelli architettonici avviene agli inizi del 12° secolo. Ma sono da ricordare qui soprattutto le grandi trasformazioni dei modelli di racconto scolpito - e dipinto - sulle vie del p., che permettono di distinguere due fasi diverse delle immagini e della loro funzione; alla fine del sec. 11° e nel 12° le immagini negli edifici religiosi sulle vie del p. in Occidente puntano a costruire il consenso per la riforma della Chiesa; un secolo dopo, a fine 12° o agli inizi del 13° e ancora in seguito, la lotta contro le eresie catare determina l'invenzione di cicli scolpiti, complessi plastici, legati a questi modelli.Ma nella geografia del p. nei secc. 11° e 12° vi sono numerose sottili, importanti sovrapposizioni che delineano nuove vie, oppure precise, importanti deviazioni dagli assi principali; per es. quelle che si correlano al culto di figure specifiche, come s. Michele Arcangelo, che si venera nel profondo di una grotta ma anche e insieme al culmine di un monte, come a Mont-Saint-Michel in Normandia e a Monte Sant'Angelo in Puglia o nella chiesa di Saint-Michel-d'Aiguilhe a LePuy-en-Velay.Le strade non sono però soltanto strade di terra che conducono a mete e luoghi di terraferma, conducono anche a luoghi da cui ci si imbarca per l'Oriente. Ed ecco dunque le vie del p. ai bordi dell'Appennino e in parte lungo la costa adriatica, che vanno dal S. Ciriaco ad Ancona all'Abruzzo, giungono al Gargano e quindi proseguono fino a Bari, Brindisi, Otranto, grandi porti di imbarco per l'Oriente dove ancora adesso si ritrovano tracce rilevanti di ostelli, fortificazioni, attrezzature portuali cui altre corrispondono in Terra Santa.Se si vuole poi completare la geografia dei p. europei fra i secc. 9° e 12° si deve dire che uno dei grandi assi della comunicazione N-S resta la valle del Reno, cui si collegano quelle dell'Elba e del Danubio, quest'ultimo usato soprattutto nel corso del sec. 12° e nel seguente. A Oriente, la conversione degli Ungari al cattolicesimo al tempo del principe Geza (972-997) apre le strade al p. di terra verso Gerusalemme, anche se la strada del mare, grazie alle repubbliche di Genova e di Venezia, sarebbe stata quella più seguita, salvo che dalla prima crociata.I due grandi assi del viaggio, le due grandi mete del p. in Europa restano quindi Santiago de Compostela e Roma: Santiago de Compostela perché è simbolo della lotta contro l'Islam prima e durante le stesse crociate, Roma perché l'importanza del p. verso Gerusalemme non sminuisce quella del viaggio alle reliquie dei ss. Pietro e Paolo, specie in tempi di crescente dissidio con la Chiesa d'Oriente.Delle geografie del viaggio delle altre religioni è sufficiente ricordare che su Gerusalemme si concentra la venerazione degli ebrei e che il mondo dell'Islam considera Gerusalemme, nel Medioevo, con la moschea al-Aqṣā, un luogo irrinunciabile di culto, anche se la Mecca resta il punto focale della venerazione dei fedeli. Quanto a Bisanzio, la venerazione per i luoghi della predicazione di Paolo di Tarso e la memoria delle antiche sedi metropolite, come per es. Alessandria d'Egitto, ormai dominate dall'Islam, non fanno perdere di vista l'importanza del viaggio a Gerusalemme, a Nazareth e a Betlemme.Questa geografia storica del p., di cui oggi ancora si vede il peso nell'intrecciarsi dei culti e, purtroppo, dei conflitti, appare determinante per offrire indicazioni alla ricerca dello storico dell'arte. Studiare il viaggio e i suoi percorsi propone infatti un modello di indagine diverso, di taglio antropologico, comunque sincronico, rispetto ai modelli evolutivi, oppure a quelli formalisti delle 'scuole' che gli storici dell'arte di solito tendono a utilizzare. Il diffondersi dunque delle indagini che tengono conto di questa differente strategia narrativa (Quintavalle, 1975) pone il problema della concreta rappresentazione del territorio delle diverse culture e pone anche il problema del senso del p. nella religione cristiana. Pellegrino, viator, viaggiatore, viandante, sono i nomi del cristiano nella vita terrena e questa convinzione, del percorso in terra come passaggio temporaneo, impronta tutti i testi sul viaggio fino almeno al 12° secolo. Dunque il modello del viaggio è un modello interpretativo coerente con la consapevolezza che la civiltà medievale ha del proprio territorio culturale. Fare storia, nel Medioevo, da Beda il Venerabile a Rabano Mauro, da Onorio Augustodunense a Bernardo di Chiaravalle a Ugo di San Vittore, è infatti raccontare un viaggio, i suoi pericoli, le sue scoperte, le sue prove, prove che avviano, nell'imitazione del Cristo, alla finale salvazione. Successivamente, nel tardo sec. 12° e nel 13°, il viaggio avrebbe sempre più acquistato valore diverso e sarebbe diventato, come suggerisce Le Goff (1977), il viaggio del mercante.
Bibl.:
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