AGLI, Pellegrino (Peregrinus de Aleis, Peregrinus Allius)
(Peregrinus de Aleis, Peregrinus Allius). Figlio di Iacopo di Barnaba e di Margherita de' Medici (figliola di Bernardo di Alamanno), nacque a Firenze nel 1440. Si dedicò, giovanissimo, allo studio dell'eloquenza e della filosofia, aiutato in questo anche da una tradizione culturale viva nella sua cerchia familiare: il nonno materno Bernardo era poeta volgare egli stesso e mecenate di poeti, e Antonio di Bellincione, suo congiunto, era dottissimo, secondo Vespasiano da Bisticci, di greco e di latino. Strinse fin da questo tempo amichevoli relazioni con Marsilio Ficino (che in una sua lettera del 1492 a Martino Uranio lo ricorderà tra i "familiares et confabulatores... in adolescentia nostra": cfr. in Marsilius Ficinus, Opera, I, Basileae 1561, p. 936), con Gentile Becchi, vescovo di Arezzo e maestro di Lorenzo e Giuliano de' Medici, e con lo stesso Lorenzo, precoce fanciullo anche egli (per le sue relazioni giovanili con Lorenzo, cfr. Arch. Mediceo avanti il Principato, f. XX, n. 319, cit. in F. Flamini, P. A., p.13). Ma probabilmente dissesti finanziari del padre lo costrinsero, intorno al 1457, a lasciare la città per esercitare la mercatura presso qualche banco a Ferrara, dove si trattenne, salvo un breve soggiorno a Bologna, fino al 1463. Negli ultimi mesi di quell'anno ritornò infatti a Firenze e vi rimase almeno fino al 4 nov. 1464 (lettera a Lorenzo de' Medici, da Firenze, in Arch. di Stato di Firenze, Carte strozziane, f. CXXXVII, n. 235); ma ebbe più volte a lamentarsi delle malelingue che lo mettevano in cattiva luce presso i Medici; e forse anche per questa ragione, e per non aver trovato la sistemazione che sperava, si recò a Roma, dove lo ritroviamo nell'aprile 1465 ancora povero e "senza aviamento", coadiuvatore della cancelleria di Paolo II (Arch. Mediceo avanti il Principato, f. XVI, n. 177, lettera del 20 apr. 1465 a Piero di Cosimo; cfr. Inventario, citato oltre, p. 278). Non riuscendo ad ottenere qualche più lucroso ufficio in patria o a Milano, nonostante le sue insistenti richieste a Lorenzo e a Nicodemo Tranchedino, ministro degli Sforza, si risolvette a vestire l'abito ecclesiastico. L'ultima lettera che di lui conosciamo è del 21 apr. 1467, in cui si rallegra con Lorenzo per aver trionfato delle cospirazioni interne che dovevano sfociare nella guerra mossagli dal Colleoni (Arch. Mediceo avanti il Principato, f. XX, n. 307; cfr. Inventario, p. 349). Dotto di latino e di greco - e della sua conoscenza di quest'ultimo è preziosa testimonianza la sua traduzione latina della Vita Homeri dello pseudo-Erodoto - possedette anche una buona biblioteca (certo un Lucrezio di cui ci parlano due sue lettere al Tranchedino, pubblicate dal Flamini, P. A., pp. 38 e 41, e altri codici sì da poter "facile aliquem reddere literatissimum": e accenni alla sua attività di trascrittore si trovano nelle sue lettere a Lorenzo), e cruccio grande gli fu la sua povertà per non poter ulteriormente arricchirla; fu elegante ed accurato versificatore e come tale soprattutto apprezzato dai suoi contemporanei.
Morì, probabilmente a Roma, prima del 1469 (anno in cui non è più registrato dal padre nel catasto: cfr. F. Flamini, P. A., p. 32 n. 18).
I suoi componimenti risultano sparsi qua e là in repertori settecenteschi o sono in parte ancora inediti. Un carme in esametri, preceduto da un'epistola dedicatoria a Cristoforo Landino, in A. M. Bandini, Specimen literaturae florentinae saeculi XV, I, Florentiae 1748, pp. 204-207; undici poesie latine sono pubblicate nei Carmina illustrium: poetarum italorum, I, Florentiae 1719, p. 119-128; un carme di carattere autobiografico in distici elegiaci accompagnato da un'epistola dedicatoria a Marsilio Ficino è stato edito da O. Kristeller, Supplementum ficinianum..., II, Florentiae 1937, pp. 85ss. (il Flamini, P.A., pp. 14 s., lo dava come scritto probabilmente tra il 1461 e il 1463, ma una lettera del Ficino del dic. 1457, che ringrazia l'A. di un'epistola e di un carme recentemente ricevuti, è da intendersi come probabile allusione allo stesso componimento, che sarebbe perciò stato scritto nei primi tempi del soggiorno ferrarese dell'A.: cfr. Marsilius Ficinus, Opera, I, Basileae 1561,p. 612). Due carmi inediti, uno indirizzato a Tito Strozzi, l'altro a glorificazione di Margherita d'Anjou, regina d'Inghilterra, sono conservati nel codice Magliabechiano VII, 1025 (cfr. F. Flamini, P. A., pp. 28 ss., che ne ha pubblicato qualche verso). Un componimento di compianto per la morte di Giovanni de' Medici, figlio di Cosimo, in Archivio Mediceo avanti il Principato, f. XXI, n. 6, citato in F. Flamini, P.A., p. 24. La sua traduzione latina della Vita Homeri, dello pseudo-Erodoto, è conservata, insieme con le poesie pubblicate nei Carmina illustrium poetarum italorum, nel cod. Laurenziano, LXV, 52 (cfr. A. M. Bandini, Catalogus codicorum latinorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, II, Fiorentiae, 1775, p. 774). Tradusse anche in volgare nel novembre 1465,su invito di Giovanni di Icopo de' Pigli, l'orazione che Enea Piccolomini, allora vescovo di Siena, tenne a Norimberga, come ambasciatore dell'imperatore Federico III, ad una dieta di signori, per esortarli alla crociata; si trova manoscritta nel cod. Magliabechiano II, IV, 158, ff. 58r.ss. Numerose le sue lettere ai Medici, per lo più in elaboratissimo latino (Arch. di Stato di Firenze, Arch. Mediceo avanti il Principato, Inventario, a cura del ministero dell'Interno, Roma 1951, passim), e a Nicodemo Tranchedino (cod. Riccardiano 834, passim), alcune delle quali sono state pubblicate dal Flamini, P.A., pp. 35 ss.
Bibl.: G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini. Ferrara 1722, pp. 450 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, p. 187; F. Flamini, P. A., umanista poeta e confilosofo del Ficino, Pisa 1893.