ARETUSI, Pellegrino (il Munari o Pellegrino da Modena)
La prima notizia dell'A. è di un poeta contemporaneo, G. M. Parente, che, in una laude alla sua innamorata Cassandra Calori, lo definisce "giovane, bello e degno in la pictura"
La sua formazione, secondo il Tiraboschi, sarebbe stata iniziata dal padre Giovanni, anch'egli pittore a Modena, operante dal 1487 al 1490, che avrebbe dipinto nella chiesa del Carmine una Deposizione ed una cappella a fresco. Ma poiché nulla resta delle opere di Giovanni Aretusi, possiamo riconoscere l'ascendenza artistica di Pellegrino solo da un dipinto che è ora nella Pinacoteca di Ferrara: la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Geminiano e Gerolamo, che, secondo la cronaca del Lancillotto, era stato pagato 40 ducati e collocato entro un'ancona intagliata dal Bonascia nell'ospedale di S. Maria dei Battuti a Modena il 4 agosto 1509
Il dipinto, passato nella chiesa di S. Giovanni e poi disperso, è stato ritrovato e identificato dal Venturi e l'attribuzione è ormai concorde, come è chiara, attraverso l'analisi stilistica del dipinto, la fisionomia del pittore che prende certo le mosse dal modenese F. Bianchi Ferrari, ma che soprattutto guarda i Ferraresi, nel momento di trapasso da Ercole de' Roberti al Costa, , ed il bolognese Francia. Per la chiara affinità compositiva e per le ascendenze stilistiche dal Bianchi Ferrari nelle "grottesche chimeriche", da Ercole nel modo di trattare il fondo a tesserine d'oro, e dalla pittura bolognese dei primi del Cinquecento, il Longhi pensa che l'A. possa aver completato, qualche anno prima del 1509, la pala Strozzi ora a Londra (National Gallery), iniziata dal Costa, ed in cui l'A. stesso avrebbe eseguito, tra l'altro, il Bimbo, così affine a quello della pala di Ferrara.
Forse subito dopo l'esecuzione di questa pala l'A., ancora incerto fra tante maniere e attratto dalla fama di Raffaello decise di andare a Roma, ove nel 1513 (cfr. Bertolotti) dipinse alcuni sgabelli per l'incoronazione di Leone X, insieme con altri due emiliani: Antonio Maria d'Argenta e Iacopo Ripanda bolognese, mentre nel 1515 (cfr. Corvisieri) dipingeva, per le feste di Agone indette dal papa, tre carri allegorici: quello dell'Ilarità, "el carro de' putti che portano una donna"; quello della Magnanimità, "el carro delle lettere che s'abbrusano"; e quello della Fortezza, "el carro della torcia che arde".
Se queste opere provvisorie non sono rimaste a spiegarci il carattere dell'arte dell'A. in un periodo certo di transizione tra il mondo emiliano, da cui fino alla cinquantina era stato attratto, e quello di Raffaello, questo è chiaramente espresso in un disegno scoperto dal Fiocco all'Accademia di Venezia con la Madonna col Bambino in trono fra s. Giuseppe e s. Domenico che dà la regola a s. Francesco, nel quale il raffaellismo, ma ancora in ambito emiliano - quasi un Innocenzo da Imola -, è chiaro nella Madonna col Bambino e negli angioli, mentre nei santi è ancora evidente l'ascendenza da Modena e da Ferrara.
Per fortuna, se ben poco si può dire della sua collaborazione tiella decorazione delle Logge vaticane diretta da Raffaello ed eseguita dai suoi discepoli, dove è ben difficile rintracciare la sua maniera - anche se il Vasari ci dice che non solo lavorò "in compagnia degli altri giovani", ma operò tanto bene che Raffaello si servì di lui in molte altre cose -, e se sono perduti gli affreschi, ugualmente citati dal Vasari, in S. Eustacchio e in S. Antonio dei Portoghesi, rimane, sia pure alterata da rifacimenti del primo Settecento, la decorazione della cappella di S. Giacomo Maggiore nella chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, in piazza Navona.
La data approssimativa dell'opera si può ricavare dal fatto che il committente della decorazione della cappella era il cardinale alborense Giovanni Serra morto nel 1517 e circa a quest'anno si può datare l'opera ove il committente appare nelle vesti cardinalizie. Tra i pochi affreschi ancora abbastanza visibili, notevole quello con S. Giacomo che interviene miracolosamente nella battaglia dei cristiani contro i mori per la conquista di Granata, ove l'A. rivela una immediatezza ed un impeto più ferrarese che accademizzante e romano.
Nelle altre scene ancora visibili prevale invece il ricordo di Raffaello, ma inteso con pacato equilibrio come nel pannello con l'Apostolo che libera uno schiavo.
Più nulla ci rimane poi delle ultime opere dell'A. a Roma, ove dipinse con Polidoro da Caravaggio la facciata di una casa a Montecavallo, dirimpetto a S. Silvestro, e a Modena, dove è andata perduta, l'ancona dei Ss. Cosma e Damiano per la chiesa dei Servi, ricordata ancora dal Vedriani, che recava la data del 3 aprile 1523.
Morì di morte violenta (il Vasari ce ne dà un dettagliato racconto) il 21 dic. 1523.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Camerale I, spese minute di Palazzo, Reg. 1488, anno 1513, c. 30 v; G. M. Parente, Commendatione de donzelle modenesi viventi nel 1483, Modena 1483; Tommasino de' Bianchi detto Lancillotto, Cronache modenesi, in Memorie di storia Patria delle provincie di Modena, II (1862), pp. 64, 488 s. (qui per la prima volta chiamato il Munari); G. Vasari, Le Vite..., a cura di L. Ragghianti, II, Milano-Roma 1943, pp. 156, 267272, 356, 555; IV, ibid. 1949, p. 429 (v. n. 33 in cui si dà come data di morte la notte tra il 20 e il 21 nov. 1524); F. Scannelli, Microcosmo della pittura, Cesena 1657, pp. 312-14; L.Vedriani, Vite dei pittori modenesi, Modena 1662, pp. 41-44; F. Titi, Ammaestramento... di pittura, Roma 1686, pp. 123, 125, 128, 292, 293, 343, 370, 416, 427; F. Baldinucci. Delle notizie de' professori del disegno..., Firenze 1769, IV, pp. 173 s.; G. Tiraboschi, Notizie di artisti modenesi, Modena 1786, pp. 277-281; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, IV, Firenze 1822, pp. 31 s.; G.F. Ferrari-Moreni, Intorno ad un dipinto di Pellegrino Munari.. nella R. Gall. Palatina di Modena, Modena 1867; C. Corvisieri, Antoniazzo Aquilio Romano, in Il Buonarroti, IV(1869), p. 158; J.-D. Passavant, Raffaello d'Urbino, I, Firenze 1882, p. 251; A. Bertolotti, Artisti bolognesi, ferraresi e ... del già Stato Pontificio in Roma, Bologna 1885, pp. 36, 177; A. Venturi, Beiträge zur Geschichie der ferraresischen Kunst, P. Munari in Jahrb. der Kön. Preuss. Kunstsamml., VIII (1887), pp. 82-88; W. Bode, Die Ausbeute aus den Magazinen der Kön. Gemäldegal. zu Berlin. IV. Schule von Ferrara u. Bologna, ibid., pp. 123, 130 ; A. Venturi, La Pittura modenese nel sec. XV, in Arch. stor. dell'arte, III(1890), pp. 390-392; Id., Nuovi documenti, ibid., VII(1894), p. 55; E. Jacobsen, Die Gemäldegalerie im Ateneo zu Ferrara, in Repert. für Kunstwissenschaft, XXIII (1900), pp. 362 s.; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, 3, Milano 1914, pp. 1086-1090; G.Fiocco, Pellegrino da Modena, in L'Arte, XX(1917), pp. 199-210; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 2, Milano 1926, pp. 448-452; N. Barbantini, La Pittura ferrarese del Rinascimento, in Nuova Antologia, CCCLXVII (1933), pp. 230 ss.; R. Longhi, Officina Ferrarese (1934) seguita dagli Ampliam.1940 e dai nuovi Ampliam.1940-55, Firenze 1956, pp. 56, 72 s., 117, 119, 154 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, II, p.86; Enciclopedia Italiana, XXVI, p. 626 (sub voce Pellegrino da Modena).