ROSSI, Pellegrino Luigi Edoardo
ROSSI, Pellegrino Luigi Edoardo. – Nacque il 3 luglio 1787 a Carrara (allora nel Ducato di Modena e Reggio, retto dalla dinastia estense) da Domenico Maria, possidente, e da Maria Domenica Bernacca.
Fu convittore del Collegio civico ducale di Correggio, dove ebbe compagno Giovanni Mastai Ferretti, futuro papa Pio IX. Iniziò a Pisa nel 1803 gli studi di diritto, per passare l’anno successivo a Bologna, dove si laureò anzitempo, il 14 giugno 1806, con lode e suscitando l’ammirazione del corpo docente.
Sostenuto dal maestro Giuseppe Gambari, criminalista, intraprese, con ottimi risultati, la carriera di avvocato, dando vita nel novembre del 1808 – con gli amici Arduino Suzzi, Domenico Casoni e Filippo Leone Ercolani – a una società per l’esercizio della professione legale (si veda il fondo Pellegrino Rossi presso la Biblioteca comunale di Imola). Segretario della Procura generale (e quindi dello stesso Gambari, allora magistrato), nel 1811 si iscrisse all’elenco degli avvocati della Corte d’appello di Bologna. Nello stesso anno Vincenzo Monti (di cui Rossi difendeva, in un processo politico, un nipote) raccomandò per un incarico nel liceo S. Lucia di Bologna «questo incomparabile giovine, che, absit verbo invidia, è di presente il miglior ornamento della bolognese giurisprudenza» (lettera a Luigi Rossi – datata 3 ottobre 1811 e scritta da Fusignano presso Ravenna – pubblicata per la prima volta in V. Monti, Opere, VI, Epistolario..., Milano 1842, p. 115); nel gennaio del 1813 Rossi venne effettivamente nominato professore di istituzioni civili in quel liceo.
In settembre viaggiò in varie località della Svizzera mentre era ospite a Genthod, vicino Ginevra, del barone Elie-Victor-Benjamin Crud, che aveva dei possedimenti a Massa Lombarda, presso Ravenna. Pare che Rossi, suo consulente legale in varie controversie, si fosse fidanzato tra il 1813 e il 1814 con la figlia, Fanny. Nella primavera del 1814 iniziò a collaborare con l’allora re di Napoli Gioacchino Murat, il cui esercito in quel periodo aveva occupato la Toscana e i territori dello Stato pontificio; il 28 aprile questi lo nominò professore di procedura civile nell’Ateneo bolognese. Nel novembre del 1814 passò alla cattedra di diritto e procedura penale, tenuta per undici anni da Gambari. Di questa prima attività come ‘penalista’ abbiamo una traccia nelle Tavole della scienza criminale fatica di un licenziato in legge nell’Università di Bologna (1816).
Il 3 aprile 1815 fu nominato da Murat commissario generale civile per il dipartimento del Reno, Rubicone, Basso Po e Pineta, e già il giorno seguente pubblicò il primo dei suoi celebri proclami (tutti senza titolo) in cui esortava a sostenere l’impresa di «Gioacchino l’Italico» a favore dell’«indipendenza italiana». Ma rivestì la sua carica per soli tredici giorni; l’esito infausto della campagna militare di Murat lo costrinse infatti all’esilio e lo portò, sotto falso nome, prima a Napoli, poi a Marsiglia e infine a Ginevra. All’età di ventotto anni giungeva nella città di Giovanni Calvino come «blessé politique» (l’espressione è attribuita a Madame de Stäel, Anne-Louise-Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein ed è citata da F.-A. Mignet, Note historique sur la vie et les travaux de M. Rossi, in Journal des économistes, XXV, 15 janvier 1850, p. 162).
All’inizio fu ospitato a Genthod dal barone Crud (di cui seguiva ancora gli affari in Italia) e da persone già conosciute durante il suo primo soggiorno. Per smentire le voci che circolavano sul suo conto pubblicò subito, nel luglio del 1815, un’Autodifesa, tesa a ricostruire le fasi del suo coinvolgimento nell’impresa di Murat e a dimostrare la sua buona fede e il carattere moderato delle sue idee politiche (Ginevra, Bibliothèque publique et universitaire, Gh 977 Réserve: Autodifesa. Risposta alle imputazioni diffuse contro di lui dopo la fuga da Bologna, scritta a Genthod in data del 14 luglio 1815, s.l. s.d.).
Essendo ricercato in Italia, decise di stabilirsi definitivamente in Svizzera. Sfumato il possibile matrimonio con Fanny Crud, andò ad abitare in un modesto alloggio nella cittadina di Plainplais, allora un sobborgo (e oggi un quartiere) di Ginevra.
Attraverso la famiglia Calandrini, di origine italiana – per motivi religiosi, da Lucca si era rifugiata a Ginevra nel Cinquecento – e qualche altro conoscente, fu introdotto nell’alta società ginevrina, composta da famiglie patrizie di antica discendenza, da una borghesia colta e attiva, da un numero impressionante di viaggiatori e di ospiti prestigiosi che sceglievano le rive del lago Lemano per respirare al tempo stesso l’aria di una libera repubblica e di un vivace cosmopolitismo culturale. «Jeune et inconnu» (Souvenirs – 1785-1870 – du feu duc de Broglie, I, 1886, p. 360), non tardò a farsi apprezzare per il suo talento, suscitando l’attenzione e la curiosità dei fondatori della rivista Bibliothèque britannique, i fratelli Marc-Auguste Pictet e Charles Pictet de Rochemont, oltre che di Pierre-Étienne-Louis Dumont (traduttore e divulgatore di Jeremy Bentham), di Charles Victor de Bonstetten, Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi, Pierre Prévost, Jean-Jacques Rigaud, Charles-Gaspard de la Rive e suo figlio Auguste-Arthur.
Il ‘primo’ Rossi ginevrino è forse anche quello che meno ci si aspetta. Parliamo infatti del letterato che pubblicò nel 1818 la prima traduzione in versi italiani del ‘poema narrativo’ The giaour (1813) di lord Byron (George Gordon Noel), di cui pare aver tradotto anche The corsair (1814) e alcuni canti della Parisina (1816). Dall’iniziale ‘classicismo’ bolognese, sul modello di Monti, Rossi si avvicinò al movimento romantico frequentando Byron presso vari salotti – tra cui quello di Madame de Stäel –; questi era allora ospite, con il suo vivace entourage, a Cologny presso Ginevra, nella villa Diodati. La vocazione letteraria di Rossi non durò molto, ma le traduzioni di Byron e altri scritti di quegli anni ebbero un ruolo di ‘mediazione’ nell’infuocata querelle tra puristi e romantici.
Emerge anche un altro tratto destinato a riproporsi più volte nella sua vita, quello di pubblicista e di promotore culturale. Nel 1818 tentò – con Ludovico di Breme (Ludovico Arborio Gattinara) – di lanciare Il messaggero delle Alpi, un giornale letterario mensile da pubblicare a Ginevra e a Milano; un progetto in cui coinvolse Monti, Carlo Botta, Angelo Mai, Amedeo Peyron, Silvio Pellico, Pietro Borsieri, Sismondi, Bonstetten, Dumont, Eusèbe Baconnière de Salverte.
Dopo un breve fidanzamento, sposò nel maggio del 1820 la diciannnovenne Jeanne-Charlotte Melly. La coppia andò a vivere nella città vecchia, in rue de Derrière-les-Granges. Nel 1821 nacque Henri-André-Alderano e nel 1826 Édouard-François-Oscar. Ben integrato nella città, l’11 aprile 1820 ottenne la cittadinanza e in dicembre fu eletto nel Consiglio rappresentativo. Nel 1825, grazie alla dote della moglie, acquistò una grande casa padronale a Genolier, una cittadina non lontana da Ginevra.
Nel 1819 aveva iniziato il suo primo corso di storia della giurisprudenza romana nel più importante istituto di istruzione superiore di Ginevra, l’Académie (dal 1873 Università). In quegli anni si guadagnò una duplice fama. Anzitutto come professore brillante, lucido, dai vastissimi orizzonti scientifici e culturali: dal 1819 al 1832 tenne corsi di diritto romano, teoria del diritto, diritto penale, procedura criminale, diritto pubblico, ma anche storia romana (repubblicana), dei Paesi Bassi, della Svizzera. Nel Consiglio rappresentativo dimostrò invece doti di oratore e di politico accorto e di idee liberali. «Non appena domandava la parola, tutti si facevano attenti, le conversazioni cessavano» (A.E. Cherbuliez, Pellegrino Rossi, in Bibliothèque universelle de Genève, X (1849), p. 143).
Nel 1820 diede vita a una nuova, importante, impresa editoriale: la rivista Annales de législation et de jurisprudence, stampata presso l’editore Manger & Cherbuliez. Gino Capponi, Federico Confalonieri, Sismondi la fecero conoscere in Italia. Giovan Pietro Vieusseux e Rossi pensarono di poter dare vita a una sorta di joint venture tra le due nuove riviste, l’Antologia e le Annales. Il progetto non si realizzò, e la rivista ginevrina andò avanti con fatica sino al 1823. Lo stesso Sismondi che, con Dumont, si era lasciato coinvolgere nella seconda serie (dal titolo Annales de législation et d’économie politique), non nascose il suo disappunto per la gestione rossiana. In una lettera inviata l’11 gennaio 1824 alla sorella Serina da Ginevra, Sismondi, pur ricordando il raro talento di Rossi, ne sottolineava il carattere contraddittorio: «le mélange de paresse et d’activité dans cet homme est inconcevable» (Pescia, Biblioteca comunale, Archivio Sismondi, B.36.74, c. 1v.).
Eppure i soli tre volumi delle Annales, pubblicati tra il 1820 e il 1823, lasciarono il segno. Del resto, la rivista possedeva tutti gli elementi per suscitare interesse e diventare un forum internazionale. Inaugurava una riflessione di ordine metodologico destinata anzitutto ai giuristi ma apertissima ai cultori delle scienze morali. Rossi si trovava – per utilizzare un’espressione a lui cara – nel ‘punto d’intersezione’ – in chiave squisitamente ‘eclettica’ – tra novità scientifiche e differenti ambiti disciplinari, alla ricerca di una difficile ‘conciliazione’ tra lo storicismo romantico di Friedrich Karl von Savigny, la scuola filosofica o analitica ispirata a Bentham e il pensiero liberalmoderato.
I primi anni Venti consegnano già, per intero, il Rossi giurista e intellettuale liberale autenticamente europeo. Almeno tre aspetti devono essere evidenziati. Il primo è che il giurista ebbe sempre come naturale terreno di elezione la frontiera tra diritto e politica, il punto di contatto tra il giureconsulto sagace e innovatore e il savant de la politique posto di fronte alle sfide del governo della società. Il secondo fu la costante fedeltà – al di là di cesure e di apparenti metamorfosi – alla dottrina del liberalismo moderato e realista. Il terzo è che quasi tutte le sue opere principali sono nate dall’insegnamento: i saggi metodologici dei primi anni Venti, il trattato di diritto penale, i futuri corsi di economia politica e di diritto costituzionale.
A Ginevra divenne amico del genero di Madame de Stäel, Victor de Broglie, duca e pari di Francia. Con lui fece diversi viaggi in Svizzera e a Parigi (1826). E per suo tramite conobbe i ‘dottrinari’ François Guizot e Victor Cousin. Con de Broglie maturò l’idea di pubblicare nel 1829 a Parigi il Traité de droit pénal, che gli diede fama europea. Dedicato, non a caso, a de Broglie, il trattato nasceva dai corsi ginevrini (gli appunti raccolti dai suoi allievi sono conservati presso la Bibliothèque publique et universitaire di Ginevra). Rossi fu, a ben vedere, il penalista di una sola opera, ma tra le più lette e meditate del XIX secolo.
Nel 1829 il suo nome venne associato a un nuovo progetto editoriale, che non vide mai la luce, la Rivista italiana, progettata da alcuni esuli. Sul finire degli anni Venti il legame di Rossi con Guizot e de Broglie si rafforzò ulteriormente. Collaborò infatti alla Revue française di Guizot con vari saggi e recensioni, reclutando colleghi e amici ginevrini e seguendone la diffusione a Ginevra. La politica francese lo attraeva. Nel marzo del 1829 collaborò con de Broglie, a Parigi, alla stesura di un progetto di legge sulla contrainte par corps (l’imprigionamento per debiti fino alla restituzione delle somme dovute). Lo troviamo di nuovo nella capitale francese nell’agosto del 1830, subito dopo la Rivoluzione di luglio, testimone diretto dei primissimi passi del nuovo regime orleanista e dell’ascesa politica dei ‘dottrinari’.
Dal 1825 – da quando il syndic Jean-Jacques Rigaud aveva inaugurato a Ginevra l’era della politica liberale di progresso moderato – Rossi aveva accentuato la sua attività nel Consiglio rappresentativo. In quegli anni seguì da vicino anche l’evoluzione della politica svizzera e della sua forma confederale. Nel marzo del 1832 apparve a Ginevra un nuovo foglio, Le fédéral. Journal genevois, politique, littéraire et industriel. Sostenuto da duecento azionisti, Le fédéral, giornale del liberalismo moderato, occupò uno spazio politico importante. Il titolo era un programma, completato dal motto Un pour tous, tous pour un. Rossi ne fu per un anno il direttore nonché l’ispiratore della linea politica, con una visione ‘europea’ degli accadimenti svizzeri. Gli avversari radicali accusarono il giornale di Rossi di essere il portavoce del juste-milieu ginevrino e svizzero.
Stimato dalla classe dirigente al potere a Ginevra e impegnato nel rafforzamento del vincolo ‘federale’, nel 1832 Rossi venne inviato, quale deputato cantonale, alla Dieta federale (la riunione periodica dei delegati dei cantoni), ospitata in quel momento a Lucerna. Storico della Svizzera e direttore del Fédéral, si trovò ad affrontare il grave problema della revisione del patto federale del 1815; un problema inestricabilmente intrecciato con le divisioni e i conflitti cantonali e con i nuovi scenari dopo la ‘rigenerazione elvetica’ (come sarebbe stato chiamato in seguito il periodo 1830-48) e le diverse rivoluzioni europee del 1830-31. Il suo ruolo in seno alla Dieta fu di grande rilievo. Rigaud gli cedeva spesso la poltrona quando si affrontavano le più delicate questioni federali. Non sorprende quindi di vederlo eletto, il 17 luglio 1832, tra i quindici membri della Commissione chiamata a redigere il progetto di revisione del patto. Esperto di materie federali, giurista senza rivali, moderato, brillante oratore, germanofono, era l’uomo giusto al posto giusto. Il 15 dicembre fu approvato il progetto della nuova Costituzione elvetica. Fu tra i principali estensori del testo e ne scrisse il rapport. Il documento fu chiamato da taluni, non senza malizia, Patto Rossi. La Dieta straordinaria di Zurigo, nel marzo del 1833, modificò in profondità il testo. Nello stesso anno il cantone di Zurigo, in quanto ‘direttore’ (come veniva chiamato il cantone che a turno ospitava la Dieta), inviò Rossi a Parigi per negoziare il ritorno in Francia (piuttosto improbabile) di alcune centinaia di esuli polacchi che avevano ‘invaso’ il cantone di Berna. La scelta non cadeva per caso su di lui. Abile diplomatico, ma anche amico personale di de Broglie, allora ministro degli Esteri francese, scrisse anche un interessante Memorandum sur les affaires de la Suisse, per illustrare ai governi degli altri Paesi le ragioni della revisione del patto del 1815 e per sostenerne la causa. Ma la sua esperienza elvetica stava per concludersi.
Negli ultimi anni aveva avuto qualche problema economico. Nel 1832 aveva tentato, senza successo, di far nascere a Ginevra un Istituto per l’insegnamento delle scienze morali e politiche (Bibliothèque publique et universitaire, Fonds manuscrits). Il fallimento del tentativo di revisione del patto federale e le critiche ricevute dagli avversari lo avevano molto amareggiato. D’altra parte, v’è da dire che gli amici ‘dottrinari’, ormai al potere in Francia, gli avevano offerto, sin dal 1832, dapprima una cattedra universitaria e poi di succedere a Jean-Baptiste Say su quella di economia politica al Collège de France. Personaggio complesso, Rossi si sentiva destinato, come scriveva il 20 settembre 1833 a David Munier, «à n’être jamais qu’un oiseau sur la branche [...] à 27 [ans] j’ai quitté l’Italie, aujourd’hui je m’éloigne de la patrie de mes enfants» (Bibliothèque publique et universitaire, ms. 3213, Papiers Munier, cc. 137-138). Diede le dimissioni dall’Académie e dal Consiglio rappresentativo, vendette l’amata villa di campagna e si trasferì a Parigi, ‘capitale d’Europa’ che offriva orizzonti ben più larghi.
Rossi lasciò Ginevra e la Svizzera inseguito da illazioni e critiche, e il suo arrivo in Francia, come in un gioco di specchi, non fu da meno. La sua candidatura al Collège de France divenne anche un fatto politico e suscitò gli attacchi dei giornali che sostenevano il candidato ‘domestico’, Charles Comte, segretario dell’Académie des sciences morales et politiques e, per di più, genero di Say. La netta vittoria di Rossi nell’elezione al Collège non dissipò i dubbi sul suo arrivo a Parigi sotto l’egida dei dottrinari. Per Guizot invece, come scrisse nelle sue memorie, «la Suisse ne s’était pas trompé en adoptant M. Rossi. Je ne me trompais pas quand je pris à coeur de faire de lui un Français» (Mémoires pour servir à l’histoire de mon temps, III, Paris 1860, p. 121).
Per vivere, però, aveva bisogno di un impiego retribuito, e dunque di una cattedra universitaria. Restava per questo un ostacolo da superare: non era francese. Ma lo divenne prestissimo (13 agosto 1834), con un’apposita ordinanza di naturalizzazione. Guizot, allora ministro dell’Istruzione pubblica, fece istituire per la prima volta una cattedra di diritto costituzionale alla Sorbona. E fu affidata il 23 agosto 1834 alle cure di Rossi. Il 25 agosto la facoltà di diritto fu chiamata polemicamente a discutere sulla nomina governativa. Nonostante l’indubbia correttezza formale, alcuni colleghi non esitarono a presentare dei ricorsi, poi respinti, al Conseil de l’instruction publique e al Conseil d’État. I professori contrari alla nomina avevano espresso in un ricorso al re Luigi Filippo d’Orléans (Au roi en son conseil d’État. Mémoire pour MM. Bugnet, Demante, De Portets, Du Caurroy et Duranton, professeurs de la faculté de droit de Paris) il timore per l’ingresso nella facoltà di «tutte le agitazioni della politica, agitazioni inseparabili oggi da ogni discussione, e di conseguenza da ogni insegnamento sul diritto costituzionale». L’istituzione della cattedra fu denunciata dalla stampa di opposizione come una manovra del governo per indottrinare i giovani. La mattina del 29 novembre 1834 Rossi iniziò il corso ma fu accolto da fischi, da grida xenofobe e dal lancio di oggetti. Il movente politico dei disordini è evidente. Vi presero parte studenti di varie facoltà e di simpatie repubblicane. La polizia suggerì anche una possibile ‘ispirazione’ accademica. Il 3 e il 4 dicembre Rossi provò di nuovo a iniziare il corso, ricevendo più o meno lo stesso trattamento. Il 5 dicembre il Conseil de l’instruction publique aprì un’inchiesta e Guizot sospese il corso, che potè essere ripreso solo l’anno successivo, trasformato in un insegnamento per ottenere il dottorato.
Se la candidatura al Collège era stata l’occasione per far giungere Rossi a Parigi, la creazione, nel 1834 da parte di Guizot, della cattedra di diritto costituzionale rappresentò la più significativa occasione per sviluppare, in chiave giuridico-istituzionale, la politica del diritto costituzionale della nuova monarchia orleanista. Rossi si trovò non soltanto a essere il primo a insegnare nella capitale francese il diritto costituzionale, ma fu tra coloro che ebbero la capacità – come del resto Guizot aveva suggerito – di ricomporre quel vasto insieme di dottrine, di prassi e di tradizioni costituzionali che in Francia potevano riconoscersi nella Costituzione del 1814 (la Charte) e nelle sue istituzioni politiche di ispirazione liberale.
Nonostante le contestazioni, l’ascesa francese di Rossi fu inarrestabile. Allo stesso tempo si consolidò definitivamente l’immagine – per opera soprattutto degli esuli italiani – del grande ingegno che, per cinico opportunismo e ambizione personale, aveva ‘rinnegato’ la patria. All’insegnamento affiancò, soprattutto nel corso degli anni Trenta, l’attività di saggista. Nel 1836 fu eletto all’Institut de France (succedendo a un grande ‘sopravvissuto’, Emmanuel-Joseph Sieyès) quale membro dell’Académie des sciences morales et politiques. La sua memoria di ‘presentazione’ (Observations sur le droit civil français considéré dans ses rapports avec l’état économique de la société) ebbe notevole eco, rivelando la sua innata capacità di leggere lo ‘spirito dei tempi’, in questo caso il problema dell’invecchiamento progressivo del code civil napoleonico di fronte a un ‘diritto dell’economia’ che si era sviluppato al di fuori del diritto civile codificato. Dal 1836 partecipò al Comité du contentieux des affaires étrangères e dal 1838 alla Commission des hautes études de droit.
Dopo la nomina a pari di Francia (1839), la sua carriera politica fece un salto di qualità. Oratore tra i più apprezzati ed efficaci della Camera alta, fu più volte relatore di importanti progetti di legge. Negli stessi anni, tra l’ottobre 1839 e il gennaio 1844, contribuì (dietro la firma del segretario di redazione, Victor de Mars) all’importante Chronique de la quinzaine, rassegna politico-diplomatica pubblicata dalla Revue des deux-mondes. Nel 1840 venne nominato, su proposta del ministro dell’Istruzione pubblica Cousin, membro del Conseil de l’instruction publique. Divenne anche preside di quella facoltà di diritto che l’aveva accolto con manifesta ostilità.
Del posto che ormai occupava in Francia fu testimone d’eccezione, nel 1838, il giovane Camillo Benso conte di Cavour che, da una parte, lo considerava «l’homme le plus spirituel de l’Italie, le génie le plus flexible de l’époque, l’esprit le plus pratique de l’univers, peut-être», e, dall’altra, il personaggio che, se non avesse privilegiato le proprie ambizioni, avrebbe potuto giocare un ruolo fondamentale nei destini del suo Paese di origine (Lettere edite e inedite di Camillo Cavour, a cura di L. Chiala, I, Torino 1883, p. 14).
Le capacità politiche e diplomatiche, insieme alla consolidata amicizia con Guizot, dal 1840 al 1848 ministro degli Esteri, segnarono l’ultima fase della sua vita francese. Non stupisce quindi che, nella primavera del 1845, Guizot lo inviasse a Roma presso la S. Sede con una difficile missione: ottenere da papa Gregorio XVI l’avallo al sostanziale scioglimento motu proprio dei conventi e dei luoghi di riunione dei gesuiti. La scelta di un uomo sposato con una calvinista e già esule ‘politico’ a seguito della restaurazione pontificia del 1815 non era priva di rischi. Il risultato ottenuto fu in realtà più che altro di facciata, ma l’esito fu presentato dal governo francese come un grande successo, ottenuto proprio grazie ai buoni uffici di Rossi. Inviato straordinario e ministro plenipotenziario nel 1845, Rossi assunse la carica di ambasciatore presso la S. Sede nel 1846, ritrovando come nuovo papa Pio IX, ovvero il suo antico compagno di collegio Giovanni Mastai Ferretti.
La corrispondenza con Guizot, sia diplomatica sia privata, offre uno straordinario spaccato della politica europea e una fonte di grande rilievo per comprendere la storia romana e italiana nel contesto risorgimentale. La rivoluzione del febbraio 1848 e la caduta della ‘monarchia di luglio’ lo colsero quindi a Roma. Di fronte al crollo della monarchia i suoi primi sentimenti furono di stupore e di incredulità. Revocategli tanto la missione diplomatica che la cattedra di diritto costituzionale, decise di rimanere in Italia, a Roma, dividendosi tra la nuova abitazione di via Borgognona e la villa di Frascati affittata per l’estate.
Furono mesi, quelli tra la primavera e l’autunno, di drammatica intensità. Da un lato le rivoluzioni e i nuovi statuti costituzionali, dall’altro l’esplodere della ‘questione nazionale’. I carraresi lo elessero, su suggerimento di Vincenzo Gioberti, alla nuova Camera toscana; i bolognesi lo vollero alla Camera romana. Tutto congiurava per un suo ritorno sulla scena italiana. Nella quiete di Frascati scrisse le Lettere di un dilettante di politica sulla Germania, la Francia e l’Italia che, per volere dello stesso autore, rimasero a lungo inedite e che avrebbero rivelato la sua passione per l’Italia solo nel 1937, quando furono pubblicate (in C.A. Biggini, Il pensiero politico di Pellegrino Rossi di fronte ai problemi del Risorgimento italiano, Roma 1937, pp. 131-190). Il figlio minore, Odoardo (Édouard), partì volontario per la campagna contro gli austriaci. Il papa pensò a Rossi per sostituire Terenzio Mamiani della Rovere come ministro degli Interni, in una situazione sempre più difficile per lo Stato pontificio. Non potendo contare su amici come Giuseppe Pasolini e Marco Minghetti, Rossi rifiutò. Ma solo per poco. Le dimissioni definitive di Mamiani all’inizio dell’agosto 1848 lo convinsero infine ad accettare. Il 16 settembre vide la luce il governo guidato dal cardinale Giovanni Soglia Ceroni, ma a tutti fu chiaro che la sola personalità di spicco era proprio quella di Rossi, che ricopriva ad interim due ministeri cruciali, gli Interni e le Finanze. Questa ‘sovraesposizione’ non gli giovò. Le prime riforme modernizzatrici intraprese nello Stato gli alienarono gli ambienti più conservatori. L’idea di una Lega italiana presieduta dal pontefice – che però rifiutava categoricamente il sostegno alla guerra contro l’Austria (e di fatto minava il progetto di indipendenza nazionale) – gli alienò l’opinione pubblica, specie quella più radicale. Troppo moderato per essere popolare in tempi di così grande agitazione politica, il 15 novembre 1848 volle partecipare (malgrado gli avvertimenti) alla riapertura della Camera romana. Ad attenderlo sulle scale della Cancelleria una folla minacciosa, formata anche da reduci della ‘Legione dei volontari pontifici’ (che nei mesi precedenti aveva combattutto in Veneto contro gli austriaci). Fece appena in tempo a salire i primi scalini che venne colpito da un fendente alla carotide; morì poco dopo.
Opere principali. L’étude du droit dans ses rapports avec la civilisation et l’état actuel de cette science, in Annales de législation et de jurisprudence, 1820, vol. 1, pp. 1-69, 357-428; Sur les principes dirigeants, ibid., 1821, vol. 2, pp. 170-193; Traité de droit penal, Paris-Genève 1829; Cours d’economie politique, I-II, Paris 1840-1841, III-IV, Paris 1851-1854; Mélanges d’économie politique, de politique, d’histoire et de philosophie, I-II, Paris 1857; Cours de droit constitutionnel professé à la Faculté de droit de Paris, a cura di M.A. Porée, introduzione di M.C. Boncompagni, I-IV, Paris 1866-1867 (una selezione del corso, tradotta in italiano, è in P. Rossi, Lezioni di diritto costituzionale alla Sorbona, a cura di G.F. Ciaurro - A. Leoncini Bartoli - G. Negri, Roma 1992; in francese a cura e con una introduzione di J. Boudon, Paris 2012); Per la Patria comune. Rapporto della Commissione della Dieta ai ventidue Cantoni sul progetto d’Atto federale da essa deliberato a Lucerna il 15 dicembre 1832, a cura e con introduzione di L. Lacchè, Manduria-Bari 1997; Cours d’histoire suisse (1831-1832), a cura di A. Dufour, Bâle-Genève-Munich 2000.
Fonti e Bibl.: Il carteggio è vasto e disperso. László Ledermann pubblicò a Parigi nel 1929 una selezione importante di fonti e lettere inedite: P. R. L’homme et l’économiste, 1787-1848. Une grande carrière internationale au XIXe siècle avec de nombreux documents inédits. Tra i fondi più significativi: per il periodo italiano, presso la Biblioteca dell’Archiginnasio e il Museo civico del Risorgimento di Bologna, la Biblioteca comunale di Imola, la Biblioteca comunale Aurelio Saffi di Forlì, la Biblioteca nazionale centrale di Firenze; per il periodo svizzero e francese, i carteggi (con Dumont, Pierre François Bellot, Guizot, Cousin e altri) raccolti presso la Bibliothèque publique et universitaire di Ginevra; la Biblioteca palatina di Parma; l’Archivio del Risorgimento di Milano (lettere pubblicate in L. Sala-Quaranta, “Rivista italiana”. Storia di una rivista risorgimentale mai pubblicata (con scritti inediti di P. Rossi - G. Scalvini - G. Pecchio, G. Ciani e G. Ruggia), in Bollettino storico della Svizzera italiana, LXXIII (1961), 4, pp. 147-178, in partic. 158-78); la corrispondenza con Confalonieri (in Carteggio del conte F. Confalonieri, a cura di G. Gallavresi, Milano 1911, parte II, passim); con Rigaud (Lettres politiques de P. R. au syndic Jean-Jacques Rigaud, 1832-1841, Genève 1932); con Savigny (Marburg, Universitätsbibliothek, Nachlaß Savigny; v. O. Motte, Lettres inédites des juristes français du XIX siècle conservées dans les archives et bibliothèques allemandes, II, Bonn 1990, pp. 1540-1551); con Sismondi (Biblioteca comunale di Pescia, Archivio Sismondi); con Guizot (Parigi, Archives nationales, Papiers Guizot, 42 AP 198). La gran parte dei manoscritti dei corsi universitari (appunti presi da studenti) è conservata presso la Bibliothèque publique et universitaire di Ginevra, la Biblioteca apostolica Vaticana (Fondo Patetta), la Bibliothèque de l’Institut de France a Parigi.
La bibliografia è vastissima. Qui segnaliamo solo alcuni dei lavori più recenti: Des libertés et des peines, Actes du Colloque Pellegrino Rossi, Université de Genève, Département d’histoire du droit et des doctrines juridiques et politiques, Genève 1980; A. Dufour, Histoire et Constitution. P. R. et Alexis de Tocqueville face aux institutions politiques de la Suisse, in Présence et actualité de la constitution dans l’ordre juridique, Bâle-Francfort-sur-le-Main 1991, pp. 431-475; A. Dufour, Un “Mémoire inofficiel” peu connu de P. R. sur la situation politique intérieure de la Suisse au début de la Régénération, in Festschrift für Claudio Soliva zum 65. Geburstag, a cura di C.Schott - E. Petrig Schuler, Zürich 1994, pp. 81-107; A. Dufour, Hommage à P. R. (1787-1848). Genevois et Suisse à vocation européenne, Bâle 1998; A. Dufour, Droits de l’homme, droit naturel et droit public dans la pensée de P. R., in Aux confins du droit. Essais en l’honneur du Professeur Charles-Albert Morand, a cura di A. Auer et al., Bâle-Genève-Munich 2001, pp. 193-206; A. Dufour, Genève et la science juridique européenne du début du XIXème siècle: la fonction mediatrice des Annales de Législation (1820-1823), in Influences et réceptions mutuelles du droit et de la philosophie en France et en Allemagne, a cura di J.F. Kervégan - H. Mohnhaupt, Frankfurt am Main 2001; L. Lacchè, “All’antica sua patria”. P. R. e Simonde de Sismondi: relazioni intellettuali fra Ginevra e la Toscana, in Sismondi e la civiltà toscana, a cura di F. Sofia, Firenze 2001, pp. 51-91; Un liberale europeo: P. R. (1787-1848), a cura di L. Lacchè, Milano 2001; L. Lacchè, La Libertà che guida il Popolo. Le Tre Gloriose Giornate del luglio 1830 e le “Chartes” nel costituzionalismo francese, Bologna 2002; E. Gilardeau, Une affiliation européenne à l’Ecole doctrinaire: Le Svod et les Annales genevoises, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XXXII (2003), pp. 291-351; P. R. Giurista, economista e uomo politico (1787-1848), a cura di M. Finelli, Soveria Mannelli 2011; L. Lacchè, P. R., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto, Roma 2012, pp. 302-306; L. Perri, P. R., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Economia, Roma 2012, pp. 407-411; L. Lacchè, P. R., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1741-1744; N. Contigiani, Per terminare una “missione impossibile”. Il processo per l’assassinio di Pellegrino Rossi, in Giustizia penale e politica in Italia tra Otto e Novecento. Modelli ed esperienze tra integrazione e conflitto, a cura di F. Colao - L. Lacchè - C. Storti, Milano 2015, pp. 323-349.