PRISCIANI, Pellegrino
PRISCIANI, Pellegrino. – Nacque a Ferrara, unico figlio di Prisciano e di una Caterina di casato ignoto. Antonio Rotondò (1960) lo ritiene nato prima del 1435, in base a un documento attestante l’insegnamento di «nodaria» tenuto da Prisciani allo Studio ferrarese nel 1455-56, ma, poiché il suo nome compare nei rotuli fin dal 1451-52, è opportuno anticiparne la nascita verso il 1430.
Il cronista Ugo Caleffini lo definì «zentilhomo moderno», sottolineando la fortuna recente della famiglia e indicandone l’artefice nel padre Prisciano, che «soleva esser poverissimo et era stato facto richo per el […] duca Borso», di cui fu fattore generale (1458-63); fu pure membro del Consiglio segreto (fino alla morte, nel 1473). La gratitudine ducale si manifestò nella nomina a cavaliere (1466) e nelle donazioni (del 1461, 1464 e 1472, confermate a Pellegrino da Ercole I nel 1478) di terre tra Canda e Castelguglielmo, bonificate e accorpate nella tenuta delle Prisciane (165 moggia, pari a circa 358 ettari).
Nella società ferrarese, fondata sulla centralità della corte, è naturale che Prisciani seguisse il modello paterno dedicando la vita al servizio dei duchi, a partire tuttavia da una solida formazione. Allo Studio ferrarese insegnò «nodaria» tra il 1451-52 e il 1460-61; non è certo che si laureasse. Fino alla maturità si interessò di poesia, come attestano l’epigramma Ad Peregrinum adulescentem dedicatogli da Battista Guarini e i 17 versi di un carme latino in lode di Alessandro VI, unico documento della sua produzione poetica. «In ipsis iuvenilibus annis» (Orazione per le nozze..., 2004, p. 30) si appassionò all’astronomia e all’astrologia; forse la presenza a corte di Giovanni Bianchini lo incoraggiò in tale direzione, ed è probabile che nel 1450 seguisse le lezioni ferraresi di Georg Peuerbach. Nel 1469-70 fu tra gli incaricati di sovrintendere agli affreschi di palazzo Schifanoia; secondo Abi Warburg ne ideò il progetto iconografico. Tale interesse non si legò solo al servizio di corte: nel 1474 la traduzione latina della Teogonia di Esiodo curata da Bonino Mombrizio uscì a Ferrara, «Peregrini Prisciani nobilis Ferrariensis opera».
A quella data, la sua cultura astronomica e astrologica doveva essersi ormai definita, nell’intreccio tra motivi platonici, ermetici, magici e dottrine scientifiche, l’opera di Tolomeo in specie. Nei dibattiti astrologici ferraresi di fine secolo, Prisciani si differenziò tanto dalle posizioni antiastrologiche di Battista Spagnoli e Battista Panetti, quanto da quelle più problematiche di Marsilio Ficino: per Prisciani gli astri sono ministri di Dio e «causae secundae» incaricate della mediazione tra Dio e natura, degni della venerazione degli uomini poiché la loro disposizione influisce sul corso della storia.
Questo «complesso organico di teorie e di credenze», nutrito da una «mentalità astrologizzante» (Rotondò, 1960, pp. 69, 76, 101), caratterizzò l’intera attività di Prisciani, che nel suo ruolo di cortigiano non si limitò a insegnare «le preghiere di Albumasar alle principesse innamorate» (Garin, 1956, p. 626). Servitore di tre duchi, da Borso ad Alfonso I, ricoprì incarichi di rilievo da quando venne nominato (1461) addetto alle scritture contenute nella Torre di Rigobello (archivio e biblioteca ducali). L’ufficio acquisì un profilo sempre meglio definito, fino alla nomina a «Conservator jurium ducalis Camerae et Communis Ferrariae» (1488).
Prisciani ebbe piena responsabilità sulla documentazione attestante i diritti giurisdizionali e patrimoniali di casa d’Este, in ordine non solo alla sua conservazione (riordinò e incrementò la serie fondamentale dei «Catastri delle investiture», come attesta l’inventario da lui redatto nel 1488), ma anche al suo aggiornamento, ottenendo altresì poteri di intervento nei confronti di soggetti investiti di diritti ducali (feudi, livelli, usi) inadempienti ai propri obblighi. Di qui le missioni effettuate in diverse località dello Stato estense documentate da molte sue lettere ai duchi.
Morto il padre, a questo incarico se ne aggiunsero altri, più spiccatamente politico-amministrativi: fu podestà a Massalombarda nel 1475, a Badia Polesine l’anno seguente, a Lendinara tra gennaio e luglio del 1482, a Reggio Emilia nel 1483, a Mantova nel 1487. Furono poi i contrasti tra gli Este e la Serenissima, culminati nella guerra del 1482-84, a impegnarlo in una lunga serie di ambascerie a Venezia, dove era già stato nel dicembre del 1481, per tornarvi tra il marzo del 1485 e il gennaio del 1486, poi per sette, più brevi missioni tra 1489 e il 1498. Si trattava, in primo luogo, di ottenere la restituzione di una serie di territori occupati da Venezia benché il trattato di Bagnolo li avesse assegnati al dominio estense: la questione fu affrontata con la missione del 1485-86, tesa a definire il nuovo confine tra i due Stati.
Prisciani fu scelto principalmente per le sue competenze di archivista: quelle stesse che, intrecciandosi con la minuziosa conoscenza del Ferrarese e il sapere astronomico, gli consentirono di redigere la grande carta (oggi perduta) di quel territorio, verosimilmente fondata sulle coordinate tolemaiche, che utilizzò nelle trattative.
La missione si concluse con un nulla di fatto e il danno subito dallo Stato estense si ripercosse sullo stesso Prisciani, la cui tenuta si trovava sui territori occupati da Venezia e che dovette rinunciare ai privilegi fiscali fino ad allora goduti. Tuttavia l’esperienza contribuì a far nascere il progetto delle Historiae Ferrarienses, al quale Prisciani attese almeno per tutti gli anni Novanta.
Nel proemio, l’autore ricordò la missione veneziana del 1485-86 come momento cruciale per la ricerca dei documenti usati prima in veste di ambasciatore, poi come storico; il ricorso ai documenti caratterizza del resto un’opera storica definita come «gigantesca Rechts-findung» (Fubini, 1997, p. 108) tesa a dimostrare il buon diritto del governo estense sul territorio ferrarese. La gamma delle fonti è quanto mai ampia, dalla copiosa documentazione primaria (atti notarili, privilegi, ma anche epigrafi) a testi medioevali (come la ferrarese Cronaca di Riccobaldo, Agnello Ravennate, Galvano Fiamma), dagli storici contemporanei (Biondo Flavio, spesso criticato, Bernardo Giustiniani, Marcantonio Coccio, detto il Sabellico, Annio da Viterbo) ai classici.
Nella valutazione di questi ultimi, Prisciani marca una forte originalità, dichiarando di voler perseguire «scientiae veritatem de fonte magis quam de rivulis» (Historiae, I, c. 3v) e anteponendo gli ebrei a greci e latini, a suo avviso meno affidabili. Tale impostazione si connette all’interesse per la cultura ebraica, che Prisciani accostò probabilmente grazie all’erudito Avraham Farissol, con cui fu in rapporti (Busi, 1993, p. 197). Nelle Historiae, l’umanesimo di Prisciani si esprime nella capacità di aggregare sollecitazioni e curiosità diverse (antiquaria, ebraistica, cartografia astronomica) nel tessuto della ricerca, con esiti talora geniali: è il caso del progetto storico-cartografico (non realizzato) teso a dare conto dello sviluppo idrogeografico del Ferrarese in quattro distinte carte geografiche relative a epoche diverse (vol. I); o del «vero e proprio incunabolo di storia urbana» ferrarese (Folin, 2010, p. 101), corredato di una mappa della città in proiezione ortogonale, databile al 1495 (vol. IV). Nelle Historiae – come in Ortopasca e Spectacula – si apprezza inoltre l’abilità grafica di Prisciani: il disegno, decorativo e tecnico, è in lui strumento espressivo importante.
Dell’opera, ancora inedita, sono pervenuti gli autografi di cinque volumi (I, IV, VII, VIII, IX) e copie di parti del II. La storia della sua fortuna registra una netta predilezione per il volume primo, in ragione di un impianto di spiccata originalità, dominato dall’attenzione ai processi di trasformazione del territorio. Il numero complessivo dei volumi dell’opera (nove, dieci o più) è tuttora oggetto di discussione. Certo è che Prisciani dichiarò, sia nel proemio sia nell’incipit al volume VIII, di lavorare a un progetto «octo libris concluso». L’idea di un ulteriore volume dovette perciò precisarsi tardi; dal canto suo Leandro Alberti parlò di un’opera in «nove gran volumi» (Descrittione di tutta Italia, Venezia 1568, c. 350v).
Tra il 1486 (data della rappresentazione ferrarese dei Menaechmi di Plauto) e il 1502 Prisciani compose gli Spectacula. Il trattatello ebbe tra le sue cause prossime l’impegno di Ercole I per il teatro; la riflessione che vi si svolge si allarga dalla funzione sociale delle azioni sceniche all’analisi tecnico-architettonica degli edifici che le ospitano.
L’indagine è condotta attraverso la meditazione dell’albertiana De re aedificatoria, su cui si innescano puntuali rinvii da un lato a Vitruvio, dall’altro alla Roma instaurata di Biondo Flavio e a personali esperienze di Prisciani, che approfittò di viaggi a Verona e a Luni per visitare quegli anfiteatri, e di una missione diplomatica a Roma (1501: forse per predisporre il matrimonio di Alfonso d’Este con Lucrezia, figlia di papa Borgia) per far eseguire accurate misurazioni del Colosseo (la cui planimetria è riportata nel testo). L’opera rinvia all’impostazione antiquaria di tanta parte della ricerca di Prisciani (estimatore, non a caso, di Giovanni Marcanova: Ferrari, 1990, p. 54).
Nel 1502 tenne l’orazione nuziale per le nozze tra Alfonso d’Este e Lucrezia Borgia. Fu l’ultimo importante ufficio reso a Ercole I, morto nel gennaio del 1505; nel marzo, Alfonso I rinnovò a Prisciani le esenzioni fiscali, confermandolo «conservator iurium». Fu lo stesso Prisciani, poco dopo, a dimettersi dall’incarico, succedendo nel 1508 a Luca Gaurico quale lettore di astrologia presso lo Studio ferrarese; mantenne l’incarico fino alla morte.
Nello stesso anno compose il trattato astronomico Ortopasca. Il lavoro, dedicato a Giulio II, poi a Leone X (il cui nome fu aggiunto a margine), interviene sul problema della riforma del calendario, anche ai fini di una corretta celebrazione della Pasqua, inserendosi nel clima di attese che precedette il Concilio Lateranense V. Non è chiaro, tuttavia, il contesto di composizione dell’opera, e se il suo autore intendesse «accreditare con essa i suoi calcoli alla corte pontificia» (Rotondò, 1960, p. 75) in una prospettiva di affermazione personale disgiunta dal servizio per gli Este.
Ortopasca conferma le competenze scientifiche dell’autore e informa di precedenti ricerche astronomiche condotte sull’anno tropico (nel 1483) e sulla teoria dell’equinozio di «Johannes de Saxo» (nel 1491, con il giurista Giovanni Valla); offre altresì, nell’analisi del calendario ebraico, ulteriore testimonianza della sua profonda conoscenza di quella cultura, e – fatto singolare, a quella data – di testi come il Talmud.
Fece testamento il 14 gennaio 1518, presentandosi come «eques ac comes», e disponendo che il suo corpo, un anno dopo la morte, fosse traslato in S. Domenico, nel sepolcro monumentale da lui fatto costruire per il padre. Morì pochi giorni dopo, il 19 gennaio 1518.
Si era sposato una prima volta intorno al 1459 con Maurelia di Lancillotto de’ Zaffi; rimasto vedovo, aveva contratto nuovo matrimonio, forse nel 1466, con Beatrice di Giovanni Forzaté. Ne ebbe tre maschi (Lodovico, Girolamo, Prisciano) e almeno quattro femmine (Francesca, Sigismonda, Eleonora, Berarda); la prole numerosa e il fedecommesso istituito non impedirono che i beni di famiglia finissero alla famiglia Estense-Tassoni, sicché quel che resta dell’archivio Prisciani si trova tra le carte di quella famiglia, presso l’Archivio di Stato di Ferrara.
Opere. Le opere di Prisciani sono conservate manoscritte nell’Archivio di Stato di Modena, Manoscritti, nn. 129-133: Historiae Ferrariae, voll. I, IV, VII, VIII, IX; 135-137: Collectanea; e nella Biblioteca Estense universitaria, Mss., a.X.1.6 (= Lat. 466): Ortopasca e Spectacula. L’Orazione per le nozze di Alfonso d’Este e Lucrezia Borgia è edita a cura di C. Pandolfi (Ferrara 2004).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Modena, Archivio per materie, Letterati, cass. 56; Cancelleria ducale, Ambasciatori, Italia, Roma, b. 10b; Venezia, bb. 3, f. 26; 4, f. 34, 35; 5, f. 36/I; 6, f. 42-43; G.M. Zerbinati, Croniche di Ferrara, Ferrara 1989, p. 143.
G. Secco-Suardo, Lo Studio di Ferrara a tutto il secolo XV, in Atti della Deputazione ferrarese di storia patria, VI (1894), p. 62; A. Warburg, Italienische Kunst undinternationale Astrologie in Palazzo Schifanoia zu Ferrara, in Atti del X Congresso di storia dell’arte in Roma, Roma 1922, pp. 179-193 (ora in M. Bertozzi, La tirannia degli astri, Bologna 1985, pp. 84-111); E. Garin, Motivi della cultura filosofica ferrarese nel Rinascimento italiano, in Belfagor, XI (1956), pp. 612-634; A. Rotondò, P. P. (1435 ca.-1518), in Rinascimento, XI (1960), pp. 69-110; G. Ferrari, P. P. «Antiche memorie e scena ferrarese», Roma 1990; G. Zanella, Le “Historie Ferrarienses” di P. P., in La storiografia umanistica. Atti del Convegno, I, 1, Messina 1992, pp. 253-265; G. Busi, Officina ebraica ferrarese, in Vita e cultura ebraica nello Stato estense. Atti del Convegno, a cura di E. Fregni - M. Perani, in Archivio storico nonantolano, II (1993), pp. 189-211; R. Fubini, La geografia storica dell’“Italia illustrata” di Biondo Flavio e le tradizioni dell’etnografia, in La cultura umanistica a Forlì fra Biondo e Melozzo. Atti del Convegno, a cura di L. Avellini - L. Michelacci, Bologna 1997, pp. 106-109; U. Caleffini, Croniche 1471-1494, Ferrara 2006, ad ind.; M. Donattini, Confini contesi: P. P. a Venezia, in L’Italia dell’Inquisitore. Atti del Convegno, Bologna 2007, pp. 187-217; M. Folin, La “Proportionabilis et commensurata designatio urbis Ferrariae” di P. P. (1494-1495), in Rappresentare la città, a cura di M. Folin, Reggio Emilia 2010, pp. 99-115; P. Cremonini, Il più antico, compiuto, inventario dell’Archivio segreto Estense. P. P., 4 gennaio 1488, in Quaderni Estensi, V (2013), pp. 354-387 (www.quaderniestensi.beni culturali.it).