Pene detentive e sovraffollamento carcerario
Nonostante gli interventi dell’ultimo biennio, la situazione carceraria continua ad essere insostenibile. Alla data del 31.7.2012, a fronte di una capienza regolamentare pari a 45.588 unità, i detenuti presenti negli istituti italiani erano 66.009 (23.590 stranieri), di cui 25.639 (10.476 stranieri) in stato di custodia cautelare. Il trend, insomma, continua ad essere il medesimo degli anni passati: quasi il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio, mentre il 35% della popolazione penitenziaria è costituito da stranieri. Ma anche le risposte istituzionali continuano, purtroppo, ad essere immancabilmente le stesse: nonostante le condivisibili dichiarazioni d’intenti volte a un complessivo restyling del sistema sanzionatorio e al potenziamento delle alternative alla detenzione, l’attività legislativa del 2012 è stata caratterizzata da interventi “minimi”, di trascurabile – se non, addirittura, ininfluente – impatto sul sistema-carcere. E in assenza di risposte parlamentari, l’onere di garantire la restituito in integrum demandata all’Italia da C. eur. dir. uomo, sez. II, 16.7.2009, Sulejmanovic c. Italia, ricade su una magistratura di sorveglianza dai ranghi già ridotti, la quale, con soluzioni spesso divergenti, tenta di garantire tutela ai diritti minimi della persona in vinculis.
Le linee-guida caratterizzanti i recenti interventi normativi sono state sostanzialmente riproposte nel 2012, nonostante gli interventi del 2010-20111 non avessero minimamente inciso sull’emergenza “sovraffollamento”.
I numeri, d’altronde, continuano a non mentire. L’incremento del ricorso alla detenzione, imputabile ad una politica “della sicurezza” contraddittoria e classista, ha condotto ad un tasso di prisonizzazione mai registrato nell’Italia repubblicana2. Altre sarebbero le soluzioni da percorrere, al fine di risolvere il problema: partendo dalla rivisitazione del catalogo sanzionatorio, ancora imperniato sulla dicotomia “pena detentiva-pena pecuniaria”, il legislatore dovrebbe decisamente potenziare sia le “classiche” alternative alla detenzione, sia inaugurare inedite soluzioni processuali che consentano un’uscita anticipata dal circuito penale (proscioglimento per tenuità del fatto, messa alla prova)3.
La politica dei “piccoli passi”, non disgiunta da un inveterato favor verso l’anacronistico ed antieconomico potenziamento dell’edilizia penitenziaria produce testi legislativi che, quando utili, non sono comunque risolutivi.
Nel dichiarato intento di superare il sistema delle cd. “porte girevoli”4, la l. n. 9/2012 (di conversione del d.l. 22.12.2011, n. 211) ha operato un significativo intervento verso la riaffermazione dell’extrema ratio custodiale, collocandosi nella logica di un progressivo superamento dell’ossessione “carcerocentrica” caratterizzante le scelte maggiormente significative di politica criminale, processuale e penitenziaria dell’ultimo decennio.
Operativa sia nell’ambito del procedimento di cognizione (convalida dell’arresto, riparazione per l’ingiusta detenzione5) sia in executivis (ampliamento della detenzione “domestica”, chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari), la novella può certamente contribuire, al di là degli effetti “diretti”, ad un rilancio di quella cultura penitenziaria volta a privilegiare le alternative alla detenzione al mero custodialismo.
2.1 Il procedimento di cognizione: le modificazioni alla disciplina dell’arresto
Limitate al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica6, le interpolazioni operate sul testo dell’art. 558 c.p.p. incidono sui tempi della convalida dell’arresto e sull’individuazione del locus custodiae.
Quanto ai primi, il novellato co. 4 dell’art. 558 c.p.p. interviene sulla disciplina dettata per il giudizio direttissimo, dimezzando (quarantotto invece che novantasei ore) il tempo massimo che può intercorrere tra l’arresto in flagranza e la presentazione dell’arrestato al giudizio di convalida7. Tale soluzione, indubbiamente positiva nell’ottica di un “minor” sacrificio imposto alla libertà della persona, imporrà, peraltro, efficaci misure organizzative, finalizzate a prevedere per ogni giorno della settimana – festivi inclusi – turni di magistrati e di personale in grado di garantire le udienze.
Con riferimento, invece, alle opzioni custodiali, ribaltando completamente le scelte originarie operate dal decreto legge, che aveva preferito tout court l’utilizzazione delle camere di sicurezza8 rispetto alla conduzione dell’arrestato in casa circondariale9, la l. n. 9/2012 declina differentemente i loci custodiae, palesando un sistema precautelare notevolmente diversificato ed articolato su tre livelli10.
Il primo livello postula, quale regola, quella della custodia “domestica”. Nel prescrivere che «il pubblico ministero dispone che l’arrestato sia custodito in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell’articolo 28411», l’art. 558, co. 4-bis, c.p.p. opera riferimento all’abitazione12, ad altri luoghi di privata dimora13 ovvero a luoghi pubblici di cura o di assistenza14 ovvero ancora, ove istituite, alle case-famiglia protette15. Solamente quando l’arrestato non abbia la disponibilità di un alloggio oppure quest’ultimo non risulti idoneo16, oppure il medesimo risulti ubicato fuori dal circondario in cui è stato eseguito l’arresto oppure, ancora, «in caso di pericolosità dell’arrestato», il pubblico ministero dispone che l’arrestato sia custodito «presso idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato»17.
Al di là della modificazione sintattica rispetto al provvedimento d’urgenza18, l’aspetto di maggior interesse per l’interprete si incentra sui presupposti legittimanti la scelta di non percorrere l’opzione “domestica”.
Con riferimento alle situazioni di impossibilità («mancanza, indisponibilità o inidoneità» di abitazioni et similia), deve essere immediatamente rilevato come, nell’ipotesi di persone indigenti e/o senza fissa dimora, l’inesistenza di strutture pubbliche sarà foriera di inaccettabili disparità trattamentali a seconda del luogo in cui l’arresto è stato effettuato.
Quanto al significato da attribuire ai singoli termini, se la «mancanza» postula la carenza “fisica” di un’abitazione, l’«indisponibilità» potrebbe riferirsi sia ai casi di assenza di strutture pubbliche sul territorio, sia ad altre ipotesi, quali, ad esempio, un previo allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.). L’«inidoneità», invece, parrebbe postulare una situazione di incompatibilità del locus custodiae con le esigenze di sicurezza istituzionalmente demandate all’arresto.
Con riguardo, infine, alla «pericolosità dell’arrestato», pare plausibile il rinvio all’art. 381, co. 4, c.p.p., laddove, in riferimento all’arresto facoltativo in flagranza, àncora la «pericolosità» alla «personalità» dell’arrestato e alle «circostanze del reato»19.
Il terzo ed ultimo livello “precautelare” si concretizza nella conduzione dell’arrestato nella casa circondariale del luogo ove l’arresto è stato eseguito, ovvero, «se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale vicina». La traduzione in carcere, peraltro, in tanto sarà legittima, in quanto manchino, siano indisponibili ovvero inidonee le camere di sicurezza a disposizione delle forze di polizia20, oppure se ricorrano altre specifiche ragioni di necessità o di urgenza21».
Quanto alle implicazioni procedimentali, l’opzione carceraria obbliga il pubblico ministero ad emettere un decreto motivato in ordine all’impossibilità di soluzioni diverse. In altri termini, considerato che la custodia carceraria si configura, nel novellato assetto, quale extrema ratio, l’organo inquirente sarà tenuto a fornire adeguate argomentazioni, sia in ordine alle ragioni che hanno impedito la custodia “domestica”22, sia a quelle che non hanno reso possibile l’utilizzazione delle camere di sicurezza. Analogamente, incomberà sempre sugli organi di polizia giudiziaria il dovere di indicare, all’interno del verbale di arresto, i motivi che hanno impedito il ricorso alla custodia “domestica” ovvero alle camere di sicurezza.
2.2 La correlata disciplina attuativa
La previsione della custodia “domestica”, quale antecedente “naturale” della celebrazione del giudizio direttissimo dinanzi al tribunale in composizione monocratica, ha reso necessario un intervento normativo sulla corrispondente disciplina attuativa.
Nel prevedere che l’udienza di convalida si svolge nel locus detentionis, l’art. 123 disp. att. c.p.p. prendeva a riferimento l’esclusiva realtà carceraria. La novella, pur confermando che sia la convalida, sia l’interrogatorio delle persone in vinculis debbano effettuarsi «nel luogo ove la persona è custodita», esclude dall’àmbito operativo della disposizione le ipotesi di «custodia nel … domicilio o altro luogo di privata dimora», applicandosi, pertanto, alle sole ipotesi di custodia in camera di sicurezza ovvero in casa circondariale23. A tale previsione, peraltro, può derogarsi quando il giudice ritenga di disporre la comparizione della persona detenuta, in presenza di «eccezionali» (e non più «specifici») motivi di necessità ed urgenza.
La modifica dell’aggettivo è funzionale a scongiurare l’invalsa prassi di taluni magistrati di disporre la traduzione delle persone arrestate o fermate davanti a sé. La previgente formulazione dell’art. 123 disp. att. c.p.p. consentendo la traduzione delle persone in vinculis al ricorrere di «specifici motivi di necessità o di urgenza», legittimava, infatti, il g.i.p. ad avvalersi di tale strumento in svariate ipotesi, quali la concomitanza di altre udienze, ovvero nel caso di detenzione dei soggetti interessati in luoghi diversi24.
Il passaggio dalla “specificità” all’“eccezionalità” dei motivi, oltre a restringere sensibilmente la discrezionalità del giudice, anche attraverso l’espressa previsione di un decreto motivato25, è stato accompagnato dalla previsione di un nuovo illecito disciplinare, volto a sanzionare l’inosservanza delle dinamiche sottese al novellato art. 123 disp. att. c.p.p. (art. 2, co. 1, lett. gg d.lgs. 23.2.2006, n. 109)26.
2.3 Il procedimento esecutivo
La peculiare forma di detenzione domiciliare inserita dalla l. n. 199/2010 vede sensibilmente dilatati i suoi presupposti oggettivi, attraverso l’innalzamento da dodici a diciotto mesi della soglia di pena detentiva residua per l’accesso alla detenzione presso il domicilio.
Gli scarsi risultati ottenuti, rispetto alle iniziali previsioni ottimistiche, hanno determinato l’attuale Governo ad ampliare – forse troppo timidamente – i soli ambiti oggettivi di applicabilità della disciplina, quando, più probabilmente, le cause dell’insuccesso della l. n. 199/2010 sono da ricercare nell’ostracismo operato nei confronti dei condannati per delitti di cui all’art. 4 bis ord. penit.
Le cifre, d’altronde, parlano da sole: al 30.6.2012 il 28,12% dei condannati doveva ancora scontare una pena inferiore ai 3 anni e, addirittura il 6,9% inferiore ad un anno27. Risulta per tabulas come l’applicazione del beneficio annuale ai recidivi reiterati non sia stata sufficiente: è ora che la politica rimediti seriamente l’efficacia del ricorso ad un meccanismo presuntivo i cui danni sono all’evidenza maggiori che i benefici28.
Al di là dell’ampliamento dell’ambito di operatività, le altre modifiche alla disciplina sono residuali: trattasi, da un lato, di un – inutile – invito rivolto al magistrato di sorveglianza di procedere «senza ritardo sulla richiesta se già dispone delle informazioni occorrenti». Dall’altro lato, invece, la novella impone al Ministro della giustizia, nell’ambito della relazione annuale sull’andamento della giustizia in Italia, di indicare specificamente il numero dei detenuti e la tipologia dei reati ai quali è stato applicato il beneficio in discorso29.
2.4 Le visite dei parlamentari europei
Con un duplice intervento additivo, operato in sede di conversione, la legge in commento ha inserito i parlamentari europei tra i soggetti cui è riconosciuto il diritto d’accesso (art. 67 ord. penit.) agli istituti penitenziari ed alle camere di sicurezza (nuovo art. 67 bis ord. penit.)30 senza una preventiva autorizzazione.
Sicuramente condivisibile, anche nell’ottica di una maggiore permeabilità delle istituzioni totali, è da presumere che tale interpolazione nulla aggiunga alla situazione di generalizzato e desolante disinteresse verso la situazione carceraria.
Maggiormente opportuna, piuttosto, anche alla luce dell’atavica e preoccupante scarsità di organico caratterizzante la magistratura di sorveglianza, sarebbe l’istituzione di un garante nazionale per i diritti delle persone detenute, il cui ruolo di tutela potrebbe altresì tradursi in un rilevante input verso istanze funzionali ad una sensibile deflazione carceraria.
2.5 Verso il superamento degli o.p.g.
Attraverso una disposizione inserita in corso di conversione, il Parlamento ha fissato al 1° febbraio 2013 la data entro la quale gli ospedali psichiatrici giudiziari (o.p.g.) dovranno completare il processo di superamento.
Come si ricorderà, con l’art. 5 l. 30.11.1998, n. 419, il Governo era stato delegato ad emanare uno o più decreti legislativi di riordino della medicina penitenziaria. Al termine di un intenso dibattito avente ad oggetto la specificità dei problemi concernenti la salute del detenuto, la legge delega ha disposto l’inserimento del personale e delle strutture sanitarie dell’amministrazione penitenziaria all’interno del Servizio sanitario nazionale, affidando il controllo sul funzionamento dei servizi di assistenza sanitaria sulle persone detenute o internate alle Regioni ed alle aziende sanitarie locali. Attraverso il d.lgs. 22.6.1999, n. 230, emanato in ottemperanza alla delega, è stato affermato con vigore il diritto alla salute delle persone detenute ed internate, riconoscendo ad esse, anche se straniere, ed indipendentemente dalla regolarità del permesso di soggiorno, livelli di prestazioni analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi ed assicurando nel contempo, attraverso il Servizio sanitario nazionale, gli interventi necessari a rendere effettivo tale diritto.
Le competenze sono ripartite tra l’azienda sanitaria locale e l’amministrazione penitenziaria: la prima quale ente cui sono affidati la gestione ed il controllo dei servizi sanitari negli istituti penitenziari; la seconda, invece, quale garante della sicurezza, soprattutto attraverso l’emanazione di decreti recanti la disciplina del regime autorizzatorio e delle modalità d’accesso del personale appartenente al Servizio sanitario nazionale.
Con specifico riferimento alle patologie psichiatriche, l’art. 113 del d.P.R. 30.6.2000, n. 230 aveva richiesto all’amministrazione penitenziaria, «al fine di agevolare la cura delle infermità ed il reinserimento sociale dei soggetti internati negli ospedali psichiatrici giudiziari», di organizzare le strutture di accoglienza «tenendo conto delle più avanzate acquisizioni terapeutiche anche attraverso protocolli di trattamento psichiatrico convenuti con altri servizi psichiatrici territoriali pubblici».
Attraverso l’art. 2, co. 283 e 284, l. 24.12.2007, n. 244 (l. finanziaria 2008), è stato definitivamente confermato il passaggio dalla sanità penitenziaria a quella regionale, da attuarsi mediante l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la definizione delle modalità e dei criteri per il trasferimento dal ministero della giustizia al servizio sanitario nazionale di tutte le funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali, afferenti alla sanità penitenziaria.
Successivamente all’emanazione del d.P.C.m. 1.4.2008, corredato dalle Linee di indirizzo per interventi negli ospedali psichiatrici giudiziari e nella case di cura e custodia e dalle Linee di indirizzo per gli interventi del servizio sanitario nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale, il percorso avviato è stato costantemente monitorato dal Coordinamento commissione salute della Conferenza delle regioni e province autonome (struttura associativa interregionale), un gruppo tecnico di rappresentanti delle Regioni al quale sono stati invitati a partecipare delegati del Ministero della salute e del Ministero della giustizia.
In sintesi, tutte le funzioni sanitarie in precedenza svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile sono state trasferite al Servizio sanitario nazionale, comprese quelle concernenti il rimborso alle comunità terapeutiche sia per i tossicodipendenti e per i minori affetti da disturbi psichici delle spese sostenute per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica dei detenuti di cui all’art. 96, co. 6 e 6-bis, d.P.R. 9.10.1990, n. 309, nonché per il collocamento, disposto dall’autorità giudiziaria, nelle comunità terapeutiche per minorenni e per giovani adulti di cui all’art. 24 d.lgs. 28.7.1989, n. 272.
In tale prospettiva si collocano gli accordi sanciti dalla Conferenza unificata e menzionati dall’art. 3 ter, co. 1, l. n. 9/2012, sulla base dei quali dovrà essere articolato il processo di dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari31.
A seguito della condanna pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia32, per non avere garantito al detenuto uno “spazio vitale” sufficiente33, la giurisprudenza di merito ha affrontato, con soluzioni diverse, il tema della risarcibilità del danno.
Il Magistrato di sorveglianza di Lecce, investito del reclamo presentato da un detenuto che lamentava di essere stato destinatario di un regime penitenziario irrispettoso della dignità umana34, ha condannato il Ministero della giustizia a risarcire il relativo danno35. In via pregiudiziale, il giudice salentino ha ribadito, da un lato, la competenza funzionale della giurisdizione ordinaria a conoscere delle controversie tra l’amministrazione penitenziaria ed il detenuto in materia di lesione dei diritti fondamentali di quest’ultimo. Dall’altro lato, lo stesso giudice ha ritenuto che la relativa cognizione potesse estendersi, oltre che all’accertamento della lesione dei diritti, anche al potere di liquidare il danno scaturente dalla violazione, senza la necessità di adire il giudice civile.
Quanto al merito della vicenda, invece, il Magistrato di sorveglianza, pur escludendo che il regime penitenziario cui il reclamante era stato sottoposto integri un «trattamento inumano o degradante», ha ritenuto violata la dignità del detenuto e, per l’effetto, ha condannato l’amministrazione a risarcire il danno, sub specie di danno esistenziale ex art. 2059 c.c.
Più di recente, un altro ufficio di sorveglianza ha risolto un’analoga questione in maniera diametralmente opposta36. Il caso di specie vedeva quale reclamante un detenuto che, oltre a lamentare l’esiguità dello “spazio vitale” concessogli, si doleva della lesione del diritto alla salute e del diritto allo studio.
Il Magistrato di sorveglianza di Vercelli, dopo aver rilevato come l’ordinamento penitenziario attribuisca al giudice il mero potere di dettare all’amministrazione le disposizioni necessarie a far cessare la violazione del diritto inciso (art. 69, co. 5, l. 26.7.1975, n. 354), ha escluso, invece, di poter pronunciare anche una condanna al risarcimento del danno, approdo cui non pare possa giungersi additivamente in via interpretativa, implicando una scelta della tipologia di tutela e dell’assetto della giurisdizione che deve rimanere riservata alla discrezionalità legislativa. Deve, pertanto, escludersi, la possibilità che, mediante il reclamo di cui agli artt. 14 ter, 35 e 69, co. 5, ord. penit., possa essere azionata una pretesa risarcitoria civilistica.
A più d’un decennio dalla celeberrima sentenza della Corte costituzionale, 30.1.2009, n. 2637, il tema della tutela dei diritti del detenuto38, sotto il particolare profilo della esecutività dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza, non ha ancora trovato una risposta definitiva39. È più che mai indifferibile stabilizzare un sistema carente delle garanzie minime, onde adeguare, per quanto possibile, la realtà carceraria italiana agli standard europei.
1 Il riferimento corre alla l. 26.11.2010, n. 199, ed alla l. 21.4.2011, n. 62
2 Cfr., di recente, Gargani, A., Sovraffollamento carcerario e violazione dei diritti umani: un circolo virtuoso per la legalità dell’esecuzione penale, in Cass. pen., 2011, 1259; Cascini, F., Il carcere. I numeri, i dati, le prospettive, in Questione giust., 2010, 52; Natale, A., Carceri: capienza (in)tollerabile, cultura della giurisdizione e valore della prassi, ibidem, 91.
3 V., in tale prospettiva, il d.d.l. C-5019, di iniziativa governativa, presentato alla Camera il 29.2.2012, nonché la proposta di legge C-2094, presentata in data 22.1.2009, a firma Tenaglia ed altri.
4 Stando ai dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nell’arco del 2010 ben 21.093 persone sono state trattenute, per soli tre giorni, all’interno delle case circondariali. Va altresì ricordato che il d.P.C.m. 23.12.2011 ha «prorogato, fino al 31 dicembre 2012, lo stato di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale».
5 Introdotto in sede di conversione, l’art. 3 bis della l. n. 9/2012 estende la disciplina di cui all’art. 314 c.p.p. ai procedimenti definiti anteriormente al 24 ottobre 1989, purché definiti con sentenza passata in giudicato dal 1° luglio 1988.
6 Le ordinarie coordinate temporali (novantasei ore) e custodiali (art. 386, co. 5, c.p.p.) restano, infatti, invariate sia per i casi di convalida dell’arresto e contestuale giudizio direttissimo per i reati di competenza del tribunale in composizione collegiale, sia per i casi in cui – anche dinanzi l’organo monocratico – il p.m. ritenga di procedere con la richiesta di convalida al g.i.p., ai sensi dell’art. 390 c.p.p. Sottolinea, peraltro, Amato, Gius., Pesa il “nodo” del calendario delle udienze, in Guida dir., 2012, fasc. 10, 36, come tale, ultima ipotesi debba essere considerata, alla luce della novella, «sistematicamente “residuale” ..., onde, coerentemente, dovrebbe intendersi come limitata ai casi in cui alla convalida dell’arresto non possa seguire il rito direttissimo, ostandovi l’esigenza di dover svolgere ulteriori indagini incompatibili con il rito, e ai casi in cui il giudice non tenga udienza nel periodo utile per la presentazione e la successiva convalida».
7 E ciò sia nell’ipotesi di presentazione diretta dell’arrestato da parte della polizia giudiziaria, sia in quella in cui il medesimo sia stato previamente messo a disposizione del pubblico ministero.
8 Le camere di sicurezza sono 1.057 (658 per l’Arma dei Carabinieri, 327 per la Polizia di Stato e 72 nella disponibilità della Guardia di finanza). Esse possono ospitare circa 21.000 persone (cfr. l’audizione informale del 4.1.2012 dinanzi alla Commissione giustizia del Senato del prefetto F. Cirillo, 3 s.).
9 Il combinato disposto degli artt. 558, co. 4-bis, c.p.p. e 123 bis disp. att. c.p.p., nei testi inseriti dal d.l., configurava la detenzione carceraria quale misura assolutamente residuale, operativa per i soli casi di «mancanza o indisponibilità di altri idonei luoghi di custodia nel circondario in cui è stato eseguito l’arresto, per motivi di salute della persona arrestata o per altre specifiche ragioni di necessità», ovvero «quando gli ufficiali e agenti che hanno eseguito l’arresto rappresentino la pericolosità della persona arrestata o l’incompatibilità della stessa con la permanenza nelle camere di sicurezza ovvero altre ragioni che impediscano l’utilizzo di esse».
10 Nel senso che il «cambio di rotta» relativamente all’uso delle camere di sicurezza sia conseguenza diretta delle pressioni degli organi di polizia, rappresentative delle difficoltà di dotarsi di un numero soddisfacente ed idoneo di loci detentivi, Amato, Gius., Nella convalida dell’arresto per direttissima passa a regola generale della custodia a casa, in Guida dir., 2012, fasc. 10, 28 e 30.
11 I medesimi, peraltro, indicati dall’art. 47 ter l. 26.7.1975, n. 354 per la detenzione domiciliare. Sottolinea correttamente Amato, Gius., Nella convalida dell’arresto, cit., 28, che il riferimento sistematicamente corretto era da operare all’art. 386, co. 5, c.p.p.
12 La giurisprudenza (cfr., da ultimo, Cass. pen., 25.1.2012, n. 5436, L.D.) tende ad interpretarne restrittivamente il concetto, al fine di «agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà», nonché per evitare che il soggetto venga in contatto con soggetti non autorizzati (Cass. pen., 18.12.2007, P., in Cass. pen., 2008, 3716).
13 Tra i quali sono certamente annoverabili gli enti che gestiscono strutture per la riabilitazione e il reinserimento di tossicodipendenti, iscritti in un albo regionale (art. 116, co. 2, lett. b, d.P.R. 9.10.1990, n. 309).
14 Nella locuzione «luoghi pubblici di cura o di assistenza» sono compresi, oltre agli ospedali e ai nosocomi pubblici, anche i centri privati, convenzionati o no, che abbiano dato la disponibilità ad accogliere l’imputato, fornendo l’idoneità alle cure necessarie.
15 Il riferimento alle «case famiglia protette» è stato inserito nel corpo dell’art. 284 c.p.p. dall’art. 1, co. 2, l. 21.4.2011, n. 62.
16 La norma distingue le ipotesi di «mancanza, indisponibilità o inidoneità» dei luoghi “domestici”.
17 La legge di conversione, escludendo la custodia domestica nei casi di cui all’art. 380, co. 2, lett. e-bis), ed f), c.p.p. (furto in abitazione e furto con scasso; rapina ed estorsione non aggravate), ha introdotto una presunzione assoluta di inadeguatezza delle custodia “domestica” (che trova “corrispondenza” esecutiva nell’art. 656, co. 9, lett. a, c.p.p.), la quale riduce la scelta del p.m. tra le due opzioni rappresentate dalle camere di sicurezza ovvero dalla casa circondariale. Individua, in tale previsione, i rischi di possibili vulnera all’art. 3 Cost., Pistorelli, L., Relazione n. III/04/2012 del 21 febbraio 2012. Novità legislative: l. 17 febbraio 2012, n. 9, in www.cortedicassazione.it.
18 Cade il riferimento espresso alle «camere di sicurezza», anche se risulta poco agevole individuare quali possano essere le altre strutture «idonee» menzionate dalla norma.
19 Per questa soluzione v. Amato, Gius., Nella convalida dell’arresto, cit., 30.
20 Ferma la «mancanza», da intendersi in senso fisico, è da ritenere che l’«indisponibilità» e l’«inidoneità», riferite alle camere di sicurezza, riguardino, rispettivamente, situazioni di carenza imputabili a lavori in corso ovvero gravi carenze strutturali e/o igieniche. Anche a questo proposito, così come per le situazioni impeditive della custodia “domestica”, sarà decisiva l’interpretazione giurisprudenziale.
21 L’on. Vitali, nella seduta della Commissione giustizia del 31.1.2012, evidenziava come la genericità del criterio della necessità ed urgenza sia tale da attribuire al magistrato una eccessiva discrezionalità in grado di svuotare completamente di contenuto la disposizione che prevede la possibilità di custodire l’indagato presso le camere di sicurezza.
22 Cfr. Amato, Gius., Decreto motivato per la conduzione nei penitenziari, in Guida dir., 2012, fasc. 10, 33, che ritiene opportuna la verbalizzazione della dichiarazione dell’arrestato, in ordine all’indicazione di uno dei luoghi contemplati dall’art. 284 c.p.p.
23 Per i casi di custodia “domestica”, invece, è da ritenere che il giudice possa autorizzare l’interessato a presentarsi con il mezzo proprio, ai sensi dell’art. 22 disp. att. c.p.p.; contra, Amato, Gius., Nella convalida dell’arresto, cit., 28, sull’assunto che «il soggetto [sia da] considerare in stato di custodia cautelare».
24 Cfr. Beltrani, S., Convertito il decreto legge “svuota carceri”: nuovo illecito disciplinare per i magistrato, in Guida dir., 2012, fasc. 9, 18.
25 V., specialmente, Beltrani, S., Interrogatorio con “anomalie”, è illecito disciplinare, in Guida dir., 2012, n. 10, 43. Rileva, peraltro, Pistorelli, L., Relazione n. III/04/2012, cit., come la clausola appaia eccessivamente generica «in ragione dell’estrema fragilità selettiva dei parametri adottati per definirne l’ambito di applicazione».
26 Completa la disciplina relativa all’“ascolto” delle persone detenute l’addenda all’art. 146 bis, co. 1-bis, disp. att. c.p.p., che, al fine di contenere i costi delle traduzioni, prevede, ove possibile, la partecipazione al dibattimento “a distanza” anche «quando si deve udire, in qualità di testimone, persona a qualunque titolo detenuta presso un istituto penitenziario, salvo, in quest’ultimo caso, diversa motivata disposizione del giudice».
27 Alla data del 31.7.2012, ad onta delle previsioni esageratamente ottimistiche, i detenuti dimessi dal carcere grazie alla l. n. 199/2010 erano solamente 7.267.
28 Le medesime considerazioni valgono, a maggior ragione, per la detenzione domiciliare “generica” (art. 47 ter, co. 1-bis, ord. penit.), la quale, al contrario della detenzione domiciliare di cui alla l. n. 199/2010, non può essere concessa nemmeno ai condannati recidivi reiterati.
29 Fiorentin, F., Solo i “domiciliari” per condanne fino a diciotto mesi, in Guida dir., 2012, fasc. 10, 47, rinviene la ratio di tale disposizione nella necessità parlamentare di informazioni relative all’impatto «che le nuove disposizioni avranno sulla sicurezza pubblica, in relazione alla dismissione dal carcere … di un numero prevedibilmente significativo di soggetti condannati, molti dei quali recidivi».
30 È opportuno rilevare come la norma penitenziaria individui espressamente le «camere di sicurezza» come autonomo luogo detentivo, mentre il novellato artt. 558, co. 4-bis, c.p.p. operi un più generico riferimento ad «idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria». All’interno del sistema normativo, le «camere di sicurezza» erano menzionate esclusivamente, in riferimento ai minori d’età, dall’art. 314 R.d. 6.5.1940, n. 635.
31 In ordine ai momenti nei quali tale processo dovrà concretamente essere attuato, si rinvia alle interessanti considerazioni di Fiorentin, F., Per gli Opg un futuro su base territoriale, in Guida dir., 2012, n. 10, 53 ss.
32 V. C. eur. dir. uomo., sez. II, 16.7.2009, Sulejmanovic c. Italia.
33 Nel corso della sua permanenza carceraria, il ricorrente aveva soggiornato in diverse celle, ciascuna di circa 16,20 metri quadrati, che aveva condiviso con altri detenuti. La doglianza, in particolare, concerneva il fatto che dal 30.11.2002 al 15.4.2003 egli aveva dovuto dividere la cella con altre cinque persone, ognuna delle quali poteva disporre di una superficie di circa 2,70 metri quadrati, mentre dal 15 aprile al 20 ottobre 2003 aveva condiviso la cella con altri quattro detenuti, disponendo così ciascun detenuto, in media, di una superficie di 3,40 metri quadrati. Metabolizzando i parametri elaborati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT), che indicano in sette metri quadrati la superficie minima auspicabile di cui ciascun detenuto deve poter disporre all’interno della propria cella, la Corte di Strasburgo ha giudicato la situazione di sovraffollamento talmente evidente da giustificare, da sola, la constatazione della violazione dell’art. 3 della Convenzione.
34 In particolare, il detenuto era stato ristretto per 18 ore al giorno in una cella di 11,50 mq con altri due detenuti, scarsamente illuminata e dotata di servizi privi di acqua calda.
35 Cfr. Uff. sorv. Lecce, 9.6.2011, Slimani, in Cass. pen., 2012, 249, con nota di Mari, A., La tutela dei diritti dei detenuti. A margine della decisione v. anche le osservazioni di Ingrassia, A., in www.penalecontemporaneo.it.
36 Cfr. Uff. sorv. Vercelli, 18.4.2012, X., inedita.
37 Seguita, in una logica d’insieme, dalla sentenza 23.10.2009, n. 266.
38 In prospettiva generale e di fondo v., già, Ruotolo, M., Diritti del detenuto e Costituzione, Torino, 2002; Pennisi, A., Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, Torino, 2002; nonché, volendo, Fiorio, C., Libertà personale e diritto alla salute, Padova, 2002.
39 Cfr., di recente, C. cost., ord. 7.3.2012, n. 46, con cui è stato dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (nella specie: Magistrato di sorveglianza di Roma e Ministero della giustizia). In quell’occasione il Giudice delle leggi ha icasticamente affermato che «la tutela giurisdizionale dei diritti dei reclusi, costituzionalmente necessaria, sarebbe priva di effettività, ove si riconoscesse all’Amministrazione la possibilità di decidere discrezionalmente se dare esecuzione o no ai provvedimenti del magistrato» e che «non è dubbia, in particolare, la natura giurisdizionale della funzione assolta dal magistrato di sorveglianza nell’ambito della procedura di reclamo attualmente regolata dagli artt. 69 e 14 ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), relativamente alla denunciata lesione di diritti soggettivi dei detenuti».