pensiero (pensero)
La rilevante diffusione di questo vocabolo nel lessico dantesco, oltre che dall'ampiezza del suo campo semantico, pari per latitudine di accezioni a quella attestata nell'italiano moderno, deriva anche dal peso che, nell'ambito della poetica o della problematica dantesche, hanno alcuni temi collegati con le attività intellettive e affettive dell'uomo.
D. riconosce nel p. una funzione dell'intelletto (Cv II VII 4 lo pensiero è propio atto de la ragione, perché le bestie non pensano, che non l'hanno) e fa risalire al p. la facoltà di rielaborare in senso critico i dati offerti dall'esperienza distinguendo il vero dal falso (IV I 8 entrai a riguardare col pensiero lo difetto umano intorno al detto errore); l'identifica anzi come uno degli attributi essenziali di Dio (III XV 15 è a dire che nel divino pensiero, ch'è esso intelletto, essa [la Sapienza] era quando lo mondo fece).
A seconda del contesto in cui è inserito, il vocabolo può accompagnarsi alla designazione di altre forme di attività psichica, o da solo designare altra facoltà oppure, e meglio, l'animo o la ‛ mente ' (v.) nel suo complesso. Così in Vn XXXI 13 44 Dannomi angoscia li sospiri forte, / quando 'l pensero ne la mente grave / mi reca quella che m'ha 'l cor diviso, quando il p. doloroso mi riporta alla memoria la già avvenuta morte di Beatrice; If I 6 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura / esta selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!, che rinnova la paura a pensarla, cioè solo a pensarvi; XVI 122 [Virgilio] disse a me: " Tosto verrà di sovra / ciò ch'io attendo [Gerione] e che il tuo pensier sogna... ", " che la tua mente immagina confusamente " (Sapegno), e quindi in certo senso prevede; Rime dubbie XXIX 6 fu alcun che disse ch'[Amore] era ardore / di mente imaginato per pensiero, definizione questa che " fa di amore un fatto immaginativo (pensiero vale ‛ fantasia ', persino di sogno...) ", Contini; Cv III VI 7 nulla dilettazione è sì grande in questa vita che a l'anima nostra possa torre la sete, che sempre lo desiderio che detto è non rimagna nel pensiero, non resti, o non risorga, nel profondo dell'animo; If XXIII 5 Vòlt'era in su la favola d'Isopo / lo mio pensier per la presente rissa, / dov'el parlò de la rana e del topo, " la mia mente... era stata richiamata al ricordo della favola d'Esopo " (Sapegno). In Vn XLI p. designa l'animo innamorato che, mosso dal desiderio, s'innalza fino alla contemplazione della sua donna, ormai in cielo; l'intelletto ne è ‛ soverchiato ', come occhio indebolito che non può fissare la luce del sole (D. a questo proposito rinvia ad Arist. Metaph. II [1, 993b 9-11]): § 3 dico ove va lo mio pensero, nominandolo per lo nome d'alcuno suo effetto (nel v. 2 del sonetto Oltre la spera occorre il termine sospiro, che è effetto del p.); § 6 lo mio pensero sale ne la qualitade di costei in grado che lo mio intelletto non lo puote comprendere, e § 7 avvegna che io non possa intendere là ove lo pensero mi trae.
Piuttosto frequente è l'uso del sintagma ‛ nel p. ' (o del gerundio ‛ pensando ': v. PENSARE) retto da un verbo di percezione come ‛ vedere ' o ‛ sentire ' (ma anche da ‛ dire ' o ‛ avere '): Vv XXVII 1 veggendo nel mio pensero che io non avea detto di quello che al presente tempo adoperava in me, pareami defettivamente avere parlato (cfr. XXXI 12 41); Pd XXXI 106 Qual è colui che... / viene a veder la Veronica nostra, / che... / dice nel pensier, fin che si mostra... E così Vn XXIII 21 33, XXXVII 2, Pg XXIX 21 nel mio pensier dicea (nel mio pensar nella '21; v. Petrocchi, Introduzione 216 e 382). In modo analogo: ‛ sentire nel p. ' (Vn XLI 7, seconda occorrenza; Cv III XIII 3); ‛ avere in p. ' (Pd XXVIII 6).
Per chiarire la metafora dei due versi precedenti (la morte... ogni senso / co' li denti d'Amor già mi manduca), in Rime CIII 33 D. aggiunge: ciò è che 'l pensier bruca / la lor vertù sì che n'allenta l'opra. Il passo è discusso, sia per il valore da attribuire a pensier, sia per ciò che concerne la sua funzione sintattica, ritenendolo alcuni soggetto e altri oggetto di bruca. Le varie interpretazioni proposte sono riconducibili a due: " voglio dire che il pensiero amoroso corrode (bruca) in ciascun senso la sua specifica facoltà (vertù) in modo che la loro (dei sensi) operazione ne risulti menomata " (Barbi-Pernicone); " poiché, in altre parole, la potenza dei denti di Amore logora pian piano l'intelletto (pensier è quasi equivoco rispetto a penser del v. 30, la ‛ dolorosa idea fissa ' [v. oltre]), sì da invalidarne l'operazione " (Contini).
In un secondo e più numeroso gruppo di esempi p., invece che alla facoltà del pensare, si riferisce ai concreti contenuti della coscienza mediante i quali l'uomo acquista la consapevolezza di ciò che avviene fuori di lui o dei moti del suo animo e della sua volontà: Vn XL 2 li loro [dei pellegrini] penseri sono d'altre cose che di queste qui, ché forse pensano de li loro amici lontani (si noti la figura etimologica); If I 57 qual è quei che volontieri acquista, / che giugne 'l tempo che perder lo face, / che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista; II 38 qual è quei che disvuol ciò che volle / e per novi pensier cangia proposta; VII 52 Vano pensiero aduni: / la sconoscente vita che i fé sozzi, / ad ogne conoscenza or li fa bruni. Altri esempi: Cv IV XXIX 6, If XVI 120, Pg IX 17, Pd IX 137.
I contenuti della coscienza, in quanto episodi della vita interiore dell'individuo, sono riconducibili all'idea di " proposito ": Vn XXXIV 3 faccendo ciò, mi venne uno pensero di dire parole... e dissi allora questo sonetto. O a quella di " preoccupazione ", nell'ammonimento di Beatrice agli uomini: Pd XXIX 87 Voi non andate giù per un sentiero / filosofando: tanto vi trasporta / l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero!: nelle vostre ricerche filosofiche seguite vie diverse, tanto siete spinti dal desiderio (l'amor) e la preoccupazione (il pensiero) di apparire, di far bella figura (de l'apparenza).
Analogamente al provenzale pensamen e all'uso del vocabolo presso i Siciliani (per es. Iacopo da Lentini Dal core mi vene 50; Maestro Torrigiano Merzè, per Deo 11), in Chiaro Davanzati (Gravosa dimoranza 13, Amore, io non mi doglio 24) e in altri, vale " angoscia ", " dolore ", in Rime LXXII 13 Ed el [Amore] rispose: " Eo ho guai e pensero, / ché nostra donna mor, dolce fratello ".
Sia l'una che l'altra delle ultime due accezioni ora ricordate danno un senso soddisfacente in Rime XCIII 4 rispondo brieve con poco pensare / ... tanto m'ha 'l tuo pensier forte affannato, interpretabile sia come " la preoccupazione che io ho per te " sia come " la tua angoscia e tribolazione ".
Il termine acquista valori particolari quando entra a far parte di sintagmi costituiti anche da verbi: ‛ mettere in p. ' può valere " rendere perplessi " (Pd VII 21) o " suscitare un motivo di timore " (Fiore VII 9); ‛ mutar p. ' (Pd XVIII 5) vale invece " rivolgere la propria attenzione verso altro oggetto ".
Determinare quale, fra le sfumature semantiche finora illustrate, colga con maggior precisione il senso della parola nei contesti in cui è inserita, non è sempre agevole. Piuttosto, per una meno inadeguata valutazione della ricchezza espressiva del lessico dantesco, risulta utile delineare alcuni moduli stilistici ai quali, in rapporto al vocabolo, D. ricorre con maggior frequenza.
Acutamente colto è il rapido affiorare di un p. dopo l'altro alla coscienza, o anche il determinarsi di propositi successivi e contraddittori: If XXIII 10 come l'un pensier de l'altro scoppia, / così nacque di quello un altro poi; Pg V 16-17 l'omo in cui pensier rampolla / sovra pensier, da sé dilunga il segno. E così XVIII 141, Pd VII 53 (due volte), X 36.
Altre volte il contesto insiste sull'inadeguatezza della parola a rendere compiutamente il complesso delle rappresentazioni che costituiscono il p.: Cv III IV 12 se 'l pensiero nostro, non solamente quella che a perfetto intelletto non viene ma eziandio quello che a perfetto intelletto si termina, è vincente del parlare, non semo noi da biasimare; cfr. anche i §§ 3 e 4 (due volte), e VIII 2.
È delineato l'atteggiamento esteriore del volto o del corpo, in quanto rivelatori di uno stato d'animo grave e pensieroso: Pg XIX 41 portava la mia fronte / come colui che l'ha di pensier carca. Vada qui anche XII 8 dritto... rife'mi / con la persona, avvegna che i pensieri / mi rimanessero e chinati e scemi, continuassero ad essere disposti all'umiltà e privi della baldanza ordinaria.
Un simile gusto per le metafore plastiche e vigorose ispira molti altri esempi: Cv I II 5 l'uomo... ne la camera de' suoi pensieri [cioè nel segreto del suo animo] se medesimo riprender dee; If XIII 30 li pensier c'hai si faran tutti monchi, si riveleranno falsi; XXIII 28 Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei, / con simile atto e con simile faccia; XXIX 23 Non si franga / lo tuo pensier... sovr'ello, non preoccuparti più di lui; Pd XXXII 51 io discioglierò 'l forte legame / in che ti stringon li pensier sottili, il dubbio in cui ti avvolgi sottilmente ragionando.
In qualche caso p. è determinato da un aggettivo qualificativo e suggerisce l'idea che ai moti dell'animo segua un comportamento con essi coerente: quinci si lievi ogni vizioso pensiero, Vn XIX 20; Ugolino fu messo a morte per l'effetto de'... mai pensieri dell'arcivescovo Ruggieri (If XXXIII 16); pensier vani, cioè le cure mondane, hanno ottenebrato la mente di D. (Pg XXXIII 68); a Sigieri 'n pensieri / gravi a morir... parve venir tardo (Pd X 134); le nozze di Francesco e Povertà facieno esser cagion di pensier santi (XI 78); gli spiriti giusti hanno spirto sol di pensier santi, " sono mossi dall'ardore della carità divina (XX 15); s. Pier Damiano viveva contento ne' pensier contemplativi (XXI 117).
Ancor più proficuo è osservare come l'uso di p., collegato com'è ad alcuni temi peculiari della poetica e della problematicha dantesche, consenta di determinare in che modo D. sia venuto approfondendo la propria meditazione sui valori intellettivi, affettivi e sentimentali che il vocabolo esprime. A tal fine, oltre a un'analisi delle accezioni prevalenti in ciascuna opera, o in parti di esse, risulta utile un'indagine condotta sui diversi indici di frequenza con i quali p. ricorre.
Le occorrenze delle opere poetiche sono relativamente poco numerose: 15 nelle Rime, 40 nella Commedia, 6 nel Fiore, 1 nel Detto. Gli esempi del Convivio sono invece 62, e di questi ben 31 e 21 appartengono rispettivamente alla prosa del II e del III trattato, in evidente connessione con il commento alle canzoni Voi che 'ntendendo (dove p. compare tre volte) e Amor che ne la mente (due occorrenze). Altissimo, in rapporto all'ampiezza dell'opera, l'indice di frequenza della Vita Nuova, dove p. è attestato da 32 esempi: molti, se posti a raffronto con i 40 della Commedia. Il valore documentario di questi dati diventa ancor più significativo se si considera il frequentissimo ricorso nel libello alla replicazione e alla figura etimologica: le voci appartenenti alla stessa famiglia lessicale (e cioè, oltre a p., ‛ pensamento ', ‛ pensare ', ‛ pensoso ' e ‛ ripensare ') complessivamente sono usate 102 volte nella Vita Nuova e 109 nella Commedia; il solo capitolo XXXVIII del libello ne dà 12 esempi.
Questa così diseguale distribuzione del vocabolo non è naturalmente occasionale.
Il frequente ricorso a p. (e, ovviamente, ai vocaboli di ugual etimo) nella Vita Nuova e nelle Rime è un riflesso del contenuto normale della lirica d'amore, tutta ispirata, come bene ha visto B. Nardi (Filosofia dell'amore, in D. e la cultura medievale, Bari 1942, 3 ss.), da un vagheggiamento della donna ad opera dell'immaginazione, da una minuta analisi del fatto amoroso e da un'ipostatizzazione dei sentimenti.
A indicare questo gioco dell'immaginazione, e l'impulso d'amore che essa accende, già Andrea Cappellano aveva usato i vocaboli ‛ cogitatio ' e ‛ cogitare ': " quum aliquis videt aliquam aptam amori... quotiens de ipsa cogitat, totiens eius magis ardescit amore, quousque ad cogitationem devenerit pleniorem... Est igitur illa passio [l'amore] innata ex visione et cogitatione " (De Amore I 1).
Amore è dunque costruzione di un mondo interiore d'immagini, è moto dell'anima verso un bene più contemplato che non goduto, è, insomma, ‛ pensiero ', come l'oggettivazione dei sentimenti propria della poetica dello Stil nuovo suggeriva, da G. Cavalcanti in poi, e come la tradizione lessicale risalente al Cappellano ormai da un secolo richiedeva.
Ecco alcuni esempi a riscontro: Vn XVI 3 Amore spesse volte di subito m'assalia sì forte, che 'n me non rimanea altro di vita se non un pensero che parlava di questa donna; XXI 3 9 Ogne dolcezza, ogne pensero umile / nasce nel core a chi parlar la sente; XXIII 2 sentendome dolere quasi intollerabilemente, a me giunse uno pensero lo quale era de la mia donna; Rime LX 13 la mia mente il mio penser dipone (dove penser, replicando Amore / ... tra 'mi d'ira, che mi fa pensare del v. 2, allude a un p. grave e angoscioso). Pari valore documentario hanno esempi tratti dalla produzione presumibilmente posteriore alla redazione della Vita Nuova: Rime C 11 non disgombra / un sol penser d'amore, ond'io son carco, / la mente mia; CIII 30 mi triema il cor qualora io penso / di lei... / per tema non traluca / lo mio penser di fuor sì che si scopra. Non diversamente, nel commosso commento di D. al racconto di Francesca: If V 113 Oh lasso, / quanti dolci pensier, quanto disio / menò costoro al doloroso passo!
Altri esempi: Vn XII 13 27, XIII 8 1 (anticipato al § 7) e 10, XIV 1, XV 2, XIX 9 34, Rime XCI 28, C 37, CII 33, CXVI 18, Rime dubbie III 9 16 e 15 28, XVII 13, XX 1.
Analoghe considerazioni, anche se adattate al tono ‛ realistico ' e ‛ borghese ' del poemetto, provocano gli esempi del Fiore: IV 4 Con una chiave d'or mi fermò il core / l'Amor... / ma primamente... / ogni altro pensier n'ha pinto fore; XLVIII 5 Ira e pensier m'hanno sì vinto e lasso / che non è maraviglia s'i' mi doglio. E così XXXIV 1, XLVII 6, LIV 6, Detto 180.
La Vita Nuova si conclude con l'episodio della donna pietosa e con il ritorno dell'animo di D. all'amore per Beatrice. Alla sottile analisi del dissidio fra l'uno e l'altro sentimento sono dedicati i capp. XXXVIII e XXXIX, quelli appunto -come già si è detto - nei quali p. e i vocaboli di ugual etimo ricorrono con maggior frequenza (p. si ha in XXXVIII 2, 3, 4 [due volte], 5, 8 1 [Gentil pensero, anticipato al § 4] e 9 8, XXXIX 3, 8 2, e 10 9). Ma quel dissidio costituisce anche lo spunto per la trama del II trattato del Convivio, né qui importa esaminare i problemi cui ha dato origine la necessità di coordinare i due testi (per la questione, v. DONNA GENTILE).
Interessa solo rilevare come l'esser la prosa del commento tutta intessuta sul motivo della ‛ battaglia dei sospiri ' fra il nuovo pensiero d'amore e l'amore per Beatrice ormai morta, giustifica la fitta, quasi insistente frequenza con la quale p. occorre nel trattato. Ma con un valore diverso da quello che il vocabolo aveva nell'episodio della Vita Nuova, giacché qui la trasfigurazione della Donna gentile a simbolo e immagine della Filosofia eleva un'esperienza vissuta a speculazione intellettuale e a teoria, anche se il lessico rimane apparentemente quello canonico della lirica cortese d'amore.
Tra i numerosissimi esempi, si vedano Cv II II 3 però che non subitamente nasce amore e fassi grande e viene perfino, ma vuole tempo alcuno e nutrimento ancora di pensieri, massimamente là dove sono pensieri contrari che lo 'mpediscano, convenne, prima che questo nuovo amore [per la Donna gentile] fosse perfetto, molta battaglia intra lo pensiero del suo nutrimento e quello che li era contraro; VI 7 uno frequente pensiero a questa nuova donna commendare e abbellire si oppone a un altro pensiero... che, repugnando a questo, commenda e abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice.
Cfr. ancora Cv II Voi che 'ntendendo 15 e 28 (ripreso e commentato in IX 1 [tre volte]), II 5 e 8, VI 8 e 9, VII 5 (due volte), 7, 8 (tre volte), 9, 10, 11 e 12, VIII 2, IX 2, 3 e 8, X 1 (due volte), 2 e 3, XII 7 e 8, XV 10.
Uguale novità semantica p. conserva nel III trattato, strettamente collegato al II dal tema della ‛ loda ' alla Donna gentile. Qui, anzi, p. esprime in misura anche più evidente una meditazione intellettuale, ormai del tutto avulsa da un'esperienza sentimentale e affettiva. Valgano a dimostrarlo i seguenti esempi: III Amor che ne la mente 25 Ogni intelletto di là su la mira, / e quella gente che qui s'innamora / ne' lor pensieri la truovano ancora, / quando Amor fa sentir de la sua pace; II 9 Questo amore, cioè l'unimento de la mia anima con questa gentil donna... è quello ragionatore del quale io dico; poi che da lui continui pensieri nasceano, miranti e esaminanti lo valore di questa donna che spiritualmente fatta era con la mia anima una cosa; XIV 11 dove la filosofia è in atto, si dichina un celestial pensiero, nel quale si ragiona questa essere più che umana operazione, giacché non solamente essa, ma li pensieri amici di quella sono astratti da le basse e terrene cose. E si veda inoltre III Amor che ne la mente 65, III 13 e 14, VI 8, VII 12 (due volte), VIII 16 (tre volte), XI 12, XIV 8.
Questo sviluppo semantico non ha alcun seguito nel IV trattato, proprio perché in esso è svolta tutt'altra tematica con un distacco dai due precedenti esplicitamente sottolineato già nei vv. 1-3 della canzone commentata: Le dolci rime d'amor ch'i' solia / cercar ne' miei pensieri, / convien ch'io lasci (una parafrasi quasi letterale di questi versi in II 3). Non per nulla le occorrenze di p. nel trattato sono solo quattro: le due ora riferite e quelle di I 8 e XXIX 6 (già citate), nelle quali il vocabolo ha un senso del tutto generico.
P. si è così venuto progressivamente spogliando dei suoi originari contenuti affettivi collegati all'esperienza d'amore per esprimere con sempre maggior compiutezza l'idea della riflessione intellettuale. La linea interpretativa fin qui delineata non sfocerà quindi nel lessico dell'Inferno e del Purgatorio, dove l'uso del vocabolo appare sempre occasionale, suggerito dalla trama della narrazione o dalla particolare ricchezza emotiva di un episodio. La pregnanza di valori che il vocabolo aveva acquistato nel II e nel III trattato del Convivio avrà il suo esito logico e naturale solo nel Paradiso, là dove la poesia della riflessione intellettuale si dispiega in maniera unitaria e con rara consapevolezza. Lo documentano le 19 occorrenze della terza cantica rispetto alle 13 della prima e alle 8 della seconda; lo conferma il ricorrente uso del vocabolo in connessione con l'affermata facoltà di Beatrice e dei beati di conoscere il p. di D., vale a dire i suoi dubbi, guardando in Dio: Pd XI 21 com'io del suo raggio resplendo, / sì, riguardando ne la luce etterna, li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. E così XV 55 e 63, XXII 36, XXVIII 97.