Pensione
La p. rappresenta, nella maggior parte dei casi, la fonte di reddito primaria tra quelle percepite dopo il periodo lavorativo. In un modello di 'ciclo vitale' (F. Modigliani) o di 'reddito permanente' (M. Friedman), il risparmio accumulato nel corso della vita professionale serve a finanziare la p. e ad assicurare consumi comparabili nel momento in cui vengono meno i redditi da lavoro. Diversi fattori tuttavia fanno sì che tali modelli razionali non trovino pieno riscontro nella realtà dei sistemi previdenziali. Alcuni individui potrebbero avere comportamenti miopi, nel senso di favorire eccessivamente i consumi correnti a scapito di quelli futuri, oppure non essere comunque in grado di risparmiare sufficientemente. Per ovviare a questi problemi, lo Stato impone la previdenza pubblica come 'bene meritevole'. Ma le stesse istituzioni pubbliche potrebbero essere portate a concedere vantaggi immediati eccessivamente generosi ad alcune generazioni o gruppi di lavoratori, specialmente se questi hanno un peso elettorale rilevante.
Il contesto demografico può contribuire a esasperare queste distorsioni. A partire dalla fine degli anni Sessanta, nella maggior parte dei Paesi evoluti la contrazione della natalità è succeduta al cosiddetto baby boom (ossia, l'espansione demografica postbellica). In Italia, in particolare, il tasso di fertilità (il numero medio di figli per donna in età fertile) nei primi anni del 21° sec. risulta pressoché dimezzato rispetto a quello di quarant'anni prima, e inferiore a quello medio dell'Unione Europea e a quello del Giappone. Così, mentre in questi anni molti lavoratori sono in grado di finanziare agevolmente un numero relativamente esiguo di pensionati, in prospettiva questa proporzione cambierà considerevolmente. Il tasso di dipendenza della popolazione ultrasessantacinquenne rispetto alla popolazione in età lavorativa in Italia è infatti destinato a crescere, secondo le stime Eurostat, dal 26,6% del 2000 al 61% del 2050.
Oltre ai minori tassi di natalità, anche la maggiore longevità ha conseguenze sul numero di anziani che il sistema economico deve sostenere. In Italia la speranza di vita dopo i sessant'anni di età era nel 1960 intorno ai 20 anni per le donne e ai 15 per gli uomini, ma nel 2002 ha superato rispettivamente i 20 e i 25, sempre secondo Eurostat, e potrebbe continuare a crescere in futuro. Tale 'rischio di longevità' pone nuove sfide riguardo alla sostenibilità delle rendite vitalizie e delle spese sanitarie nella cosiddetta quarta età (ottant'anni e oltre).
Infine, il contesto economico influenza la sostenibilità dei sistemi previdenziali. In particolare, bassi tassi di attività della popolazione in età lavorativa riducono la base contributiva, e bassi tassi di crescita riducono il dividendo nazionale. In Italia, il tasso di partecipazione, il rapporto fra le persone appartenenti alle forze lavorative e la popolazione di riferimento, nel 2003 è stato stimato inferiore di quasi 9 punti percentuali alla media dell'Unione Europea a 15 (61,6% contro 70,3%), e ciò riflette, in particolare, la minor presenza sul mercato del lavoro delle donne e dei giovani.
L'evoluzione verso sistemi a più pilastri e l'obiettivo del mantenimento di un tasso di sostituzione adeguato
L'equilibrio del ciclo vitale si concretizza nel cosiddetto tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra p. e ultima retribuzione. In questo modo si ottiene un indicatore semplice della capacità di mantenere un determinato livello di vita anche dopo la cessazione dell'attività lavorativa.
La p. non deve necessariamente essere pari all'ultima retribuzione, in quanto le esigenze di consumo, sia per le dimensioni del nucleo familiare, sia per lo stile di vita, potrebbero anche diminuire con l'età. Il tasso di sostituzione dovrebbe essere comunque superiore al 60%, e varia a seconda dei casi.
L'obiettivo di un tasso di sostituzione adeguato è stato perseguito, nel tempo, in maniera diversa a seconda dei Paesi, ed essenzialmente secondo due modelli alternativi: quello denominato bismarckiano, introdotto in Germania nell'ultima parte dell'Ottocento e diffusosi successivamente nei principali Stati europei, compresa l'Italia, il cui sviluppo nel tempo ha portato i sistemi pubblici a garantire un tasso di sostituzione elevato per tutti gli associati; e quello alla Beveridge, introdotto in Gran Bretagna alla fine della Seconda guerra mondiale, proprio del mondo anglosassone, e in cui la copertura del sistema pubblico mira ad assicurare un reddito di base piuttosto che l'equilibrio del ciclo vitale. I sistemi alla Beveridge presuppongono quindi che la p. pubblica venga integrata da altre forme previdenziali, sia a livello collettivo sia a livello individuale.
A causa dei fenomeni demografici ed economici menzionati, il tasso di sostituzione delle p. pubbliche è destinato a scendere nel tempo anche nei sistemi tradizionalmente bismarckiani.
La p. di base, pubblica oppure di categoria, viene anche denominata pensione di primo pilastro. Essa viene generalmente finanziata con il sistema della ripartizione, cioè a partire dalle entrate correnti, con il prelievo di contributi dai lavoratori attivi a favore dei pensionati, eventualmente integrati con altri trasferimenti pubblici. Solo in alcuni Paesi il primo pilastro ha anche una componente di riserve finanziarie miranti a far fronte agli impegni futuri.
Il secondo pilastro si riferisce alle p. integrative di categoria, sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli autonomi, fondate nella maggior parte dei casi su accordi collettivi o anche su istituti obbligatori. Il terzo pilastro si riferisce invece alla previdenza complementare individuale e libera. Tanto il secondo quanto il terzo pilastro godono generalmente di incentivi fiscali.
Il secondo e il terzo pilastro di solito vengono finanziati con il sistema della capitalizzazione, ovverosia con la costituzione di riserve a fronte degli impegni futuri, anche se in passato fondi pensione di secondo pilastro sono stati, in molte occasioni, fondati sulla ripartizione, analogamente a quelli pubblici. In sistemi a capitalizzazione pura le prestazioni dipendono solamente dagli accantonamenti effettuati nel corso della vita lavorativa e del loro rendimento al netto della fiscalità e degli oneri di gestione.
Oltre che al sistema di finanziamento, occorre porre attenzione alla determinazione dell'ammontare delle p. stesse. Nei sistemi a prestazione definita (defined benefit) tale ammontare viene stabilito sulla base di parametri quali, per es., l'ultima retribuzione o una media delle ultime retribuzioni. In tal caso il sistema è anche detto retributivo. In alternativa, l'ammontare delle p. può essere funzione dell'ammontare dei contributi versati, e in tal caso ci si riferisce a sistemi a contribuzione definita, o anche contributivi.
In Italia, le riforme previdenziali approvate nel corso degli anni Novanta (la riforma Amato, d. legisl. 30 dic. 1992 nr. 503, e la riforma Dini, l. 8 ag. 1995 nr. 335) hanno introdotto dei correttivi importanti. La riforma Dini ha segnato il passaggio, per il primo pilastro, da un sistema retributivo a un sistema contributivo, detto anche contributivo figurativo perché a ripartizione pura e pertanto non accompagnato da accantonamenti precedentemente accumulati sotto forma di riserve finanziarie, come invece nel caso di sistemi a contribuzione effettiva. L'obiettivo è stato quello di collegare le prestazioni stesse a parametri obiettivi, trasparenti e tali da rispecchiare più da vicino il profilo dei redditi percepiti lungo tutto l'arco della vita lavorativa. Altri Paesi hanno compiuto riforme analoghe, come per es. la Svezia, dove peraltro la transizione dal sistema retributivo a quello contributivo è stata molto più rapida che in Italia, in particolare per una diversa interpretazione dei diritti acquisiti. In Italia i lavoratori sono stati suddivisi in tre gruppi: solo coloro che hanno iniziato l'attività lavorativa dopo il 1995 rientrano pienamente nel sistema contributivo (6,5 milioni circa di lavoratori a fine 2005); altri rientrano nel sistema cosiddetto misto (11 milioni) e vedranno applicati sia i vecchi sia i nuovi criteri secondo il sistema del pro rata; infine, vi sono i lavoratori per i quali continua a valere il sistema retributivo (5 milioni).
Il tasso di sostituzione di primo pilastro tende a essere più incerto oltre che più basso nei sistemi contributivi di primo pilastro rispetto a quelli retributivi. Ciò anche a causa dei vincoli di sostenibilità a lungo termine che le riforme hanno incorporato nei parametri di rivalutazione, nonché dell'impatto del percorso lavorativo individuale sul calcolo della p. contributiva, per cui carriere lunghe e 'piatte' producono tassi di sostituzione molto più elevati rispetto a carriere discontinue e caratterizzate da rilevanti incrementi economici nel tempo. Proprio al fine di mantenere tassi di sostituzione complessivamente adeguati, la riforma Dini (così come analoghe riforme realizzate in altri Paesi) ha previsto esplicitamente l'introduzione di pilastri previdenziali complementari a quello pubblico. Così un sistema tradizionalmente bismarckiano come quello italiano appare destinato ad avvicinarsi, sia pur solo gradualmente e solo in parte, a quelli alla Beveridge.
I fondi di secondo pilastro verso la contribuzione definita
Le soluzioni pensionistiche di secondo pilastro possono essere di natura sia collettiva sia individuale. La normativa prevede, in generale e in tutti i Paesi, l'affidamento degli attivi a operatori professionali, società di gestione del risparmio, assicurazioni o enti equiparati, soggetti a precise norme in materia di trasparenza e di governance.
Le forme collettive rispecchiano i contratti di livello propri della categoria, dell'azienda o delle associazioni professionali. I consigli di amministrazione dei fondi pensione, la cui attività è sottoposta a vigilanza, sono costituiti da rappresentanti degli aderenti e anche, nel caso di contribuzioni delle aziende, dei datori di lavoro.
I vantaggi delle forme collettive sono costituiti dalla semplicità delle modalità di adesione, dalle economie nei costi che si possono realizzare nel caso di elevato numero di adesioni, dalla trasparenza dei processi di scelta dei gestori, realizzati dai consigli di amministrazione attraverso gare. Gli svantaggi sono costituiti dalle alternative necessariamente limitate di portafoglio, dal carattere potenzialmente subottimale delle scelte effettuate dai consigli di amministrazione, dai costi troppo elevati nel caso di numero insufficiente di adesioni e dal fatto che lavoratori con elevata mobilità possono avere difficoltà nel riunire in maniera efficace le varie posizioni previdenziali costituite nel tempo.
Anche le forme individuali possono essere accompagnate da contratti collettivi e dai contributi dei datori di lavoro. I vantaggi sono costituiti dall'ampia possibilità di scelta, dalla flessibilità e dalla 'portabilità'; gli svantaggi, dalla difficoltà per i singoli di valutare adeguatamente, al di là della disponibilità dell'informativa obbligatoria per legge, la qualità della diversificazione dei portafogli e la congruenza dei costi.
I fondi pensione di secondo pilastro di recente costituzione nei Paesi evoluti sono a capitalizzazione e a contribuzione definita. I fondi pensione integrativi nei primi decenni del secondo dopoguerra erano invece di regola a prestazione definita e a capitalizzazione nei Paesi anglosassoni e nei Paesi Bassi, ma a ripartizione in altri Paesi europei, in Francia in particolare.
Il declino dei fondi a prestazione definita (defined benefit) nei Paesi anglosassoni riflette i profondi cambiamenti dello scenario demografico e industriale che si sono manifestati nei primi anni del 21° secolo. L'avvicinarsi alla p. dei figli del baby boom ha infatti coinciso con la trasformazione delle grandi multinazionali, che hanno optato per forme di decentramento e di flessibilità del lavoro. Ciò ha determinato un restringimento della base contributiva dei fondi e minori gradi di libertà per compensare i rischi di mercato e l'adeguamento delle previsioni attuariali. Le nuove norme in materia di bilancio richiedono la piena quantificazione delle passività nei confronti dei fondi pensione aziendali stessi. Come conseguenza, molte aziende hanno optato per la chiusura a termine dei fondi defined benefit offrendo ai nuovi assunti la sola opzione dei fondi a contribuzione definita, per lo più sotto forma di piani individuali del tipo degli statunitensi 401 k (il comma del regolamento che ne definisce i vantaggi fiscali). Alcune aziende in crisi hanno fortemente ridimensionato le prestazioni stabilite. Secondo l'OECD (Organization for Economic Cooperation and Development), negli Stati Uniti il 70% dei fondi di secondo pilastro erano, nel 2004, fondi a contribuzione definita, con un'attività che superava i 3000 miliardi di dollari contro i quasi 2000 miliardi dei fondi a prestazione definita. Un'eccezione importante è rappresentata dai Paesi Bassi, dove i fondi a prestazione definita rimangono ampiamente diffusi.
Nei Paesi caratterizzati da una tradizione bismarckiana, dominati fino agli ultimi anni del 20° sec. dall'assoluta predominanza del primo pilastro, il secondo pilastro stenta a svilupparsi in linea con le previsioni. In Italia, alla fine del 2005 si è rilevato che, nel corso dei dieci anni che sono intercorsi dall'approvazione della legge Dini, poco più di tre milioni di lavoratori hanno aderito a forme pensionistiche complementari, con un tasso di partecipazione (calcolato sul totale degli occupati) del 12%. Queste difficoltà hanno suscitato un acceso dibattito che è sfociato nell'approvazione del d. legisl. 5 dic. 2005 nr. 252, il quale ha previsto per i lavoratori dipendenti del settore privato, a partire dal 2008, il passaggio da un sistema di adesione volontaria ai fondi pensione a un sistema automatico attraverso il meccanismo del silenzio/assenso.
La crescente responsabilità delle famiglie a fronte delle esigenze previdenziali
Il terzo pilastro è rappresentato dalla previdenza individuale e volontaria. Questa forma previdenziale ha avuto una crescita importante, favorita anche da incentivi fiscali, a partire dalla fine del 20° secolo. In Europa, le assicurazioni sulla vita costituiscono l'operatore più importante in questo ambito, ma anche le società di gestione del risparmio e le banche offrono servizi attraverso conti di risparmio previdenziale e fondi pensione individuali. Lo sviluppo del terzo pilastro accanto ai veicoli di secondo pilastro manifesta il ruolo crescente delle famiglie nell'affrontare, con il proprio risparmio, le esigenze della terza e della quarta età. Ne consegue necessariamente un'esigenza di educazione finanziaria e di consulenza indipendente.
La tabella, nella quale viene indicata l'incidenza dei diversi veicoli previdenziali rispetto al PIL, mostra il peso rilevante delle attività finanziarie delle famiglie destinate alla previdenza nei Paesi anglosassoni e nei Paesi Bassi, e anche come le assicurazioni sulla vita, sia quelle tradizionali sia quelle più recenti (le cosiddette unit-linked, che rappresentano quote di fondi comuni e quindi seguono una contabilità che riflette i valori correnti di mercato), si siano sviluppate in maniera rilevante in Francia e Germania, e infine come nei Paesi di tradizione bismarckiana il percorso dei fondi pensione sia appena iniziato.
bibliografia
E. Fornero, L'economia dei fondi pensione, Bologna 1999; T. Jappelli, L. Pistaferri, Risparmio e scelte intertemporali, Bologna 2000; La previdenza complementare in Italia, a cura di M. Messori, Bologna 2006.