PENSIONE (XXVI p. 692; App. I, p. 925; III, 11, p. 384)
Con l. 28 ottobre 1970, n. 775, il governo è stato delegato dal Parlamento a disciplinare i procedimenti nei vari settori dell'amministrazione pubblica. In attuazione della detta delega legislativa, è stato emanato con il d.P.R. 29 dic. 1973, n. 1092, un testo unico contenente le norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello stato. L'unificazione delle varie norme in materia di p. è stata conseguente sia alle numerosi leggi (l. 15 febbr. 1958, n. 46; d.P.R. 5 giugno 1965, n. 758; l. 8 giugno 1966, n. 424; l. 6 dic. 1966, n. 1077; d.P.R. 28 dic. 1970, n. 1081) che hanno ridisciplinato la materia sia alle pronunce della Corte costituzionale, la quale ha ritenuto l'incostituzionalità di molte norme. Il citato T.U. dispone che i dipendenti statali (intendendo per tali gl'impiegati e gli operai dello stato, i magistrati, gli avvocati e ì procuratori dello stato, gl'insegnanti delle scuole e degl'istituti d'istruzione stabili e i militari delle forze armate e dei corpi di polizia) all'atto della cessazione del servizio hanno diritto al trattamento di quiescenza a carico del bilancio dello Stato; le stesse disposizioni valgono anche per i dipendenti non di ruolo, salvo se non sia diversamente previsto. Gl'impiegati civili sono collocati a riposo al compimento del 65° anno di età, gli operai al compimento del 65° anno di età; tale limite si applica anche alle operaie (art. 4 l. 9 dic. 1977, n. 903). Disposizioni speciali vigono per alcune categorie (magistrati, militari, insegnanti). L'art. 5 del T.U. afferma il principio che il diritto al trattamento pensionistico, diretto o di riversibilità, non si perde per prescrizione, per perdita della cittadinanza italiana, per condanne penali. Anteriormente l'art. 28 c.p. prevedeva la perdita del diritto a p. in caso d'interdizione perpetua ai pubblici impieghi e la sospensione o riduzione del pagamento durante il periodo di espiazione di pene detentive: detta norma venne, però, ritenuta incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 13 genn. 1966, n. 3.
Ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza sono calcolati - a seguito di espresso riconoscimento legislativo o a seguito di riscatto, cioè del pagamento di un contributo determinato in rapporto alle ritenute sullo stipendio che avrebbero dovuto essere effettuate se il servizio fosse stato svolto - come utili ai fini pensionistici, anche i periodi prestati come dipendenti statali non di ruolo, i periodi di servizio militare prestati prima dell'assunzione dell'impiego in adempimento di obblighi di leva o come richiamato o volontario in tempo di guerra; alcuni servizi (quali le campagne di guerra, i servizi in colonia, ecc.) vengono computati per un tempo superiore all'effettivo. È ammesso anche il riscatto degli anni di studio universitario. Non si computano i periodi di aspettativa per motivi di famiglia, né quelli di sospensione del rapporto d'impiego per motivi disciplinari o penali.
Per il caso che un dipendente statale abbia prestato servizio anche presso altri enti pubblici, particolari norme disciplinano la ricongiunzione dei servizi.
Dopo aver dettato al titolo I le "disposizioni generali" e aver disciplinato al titolo II i "servizi computabili" ai fini pensionistici, il testo unico regola al titolo III (art. 42-63) il "trattamento di quiescenza normale ". Il dipendente civile che cessa dal servizio per raggiunti limiti di età ha diritto alla p. normale se ha compiuto 15 anni di effettivo servizio; per ogni altro caso di cessazione dal servizio il dipendente civile ha diritto alla p. se ha compiuto 20 anni di servizio effettivo. Alla dipendente dimissionaria coniugata o con prole a carico spetta, ai fini del compimento dell'anzianità minima, un aumento sino al massimo di 5 anni. Al personale cui non spetti la p., è concessa alla fine del servizio un'indennità, purché abbia compiuto un anno intero di servizio. Ai fini della determinazione quantitativa della p., l'art. 43 del testo unico citato ha precisato che la base pensionabile è data "dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga o retribuzione integralmente percepiti" aumentati dagli altri assegni percepiti in servizio se, per effetto di un'espressa disposizione di legge, concorrono a formare la base pensionabile. In linea generale concorrono a formare la base pensionabile tutti gli assegni aventi carattere di continuità. La misura della p. è pari dopo 15 anni di servizio al 35% della base pensionabile; detta percentuale è aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell'80%.
L'ufficiale, il sottufficiale e il militare di truppa che cessa dal servizio permanente o continuativo ha, a norma dall'art.52 segg. del testo unico, diritto alla p. normale se ha raggiunto un'anzianità di almeno quindici anni di servizio utile, di cui dodici di servizio effettivo; nel caso di cessazione dal servizio permanente o continuativo per raggiunti limiti di età, il militare consegue la p. normale anche se ha un'anzianità inferiore a quella suddetta.
Per i militari non appartenenti al servizio permanente o continuativo è necessario, ai fini del diritto alla p. normale, un'anzianità di almeno venti anni di servizio effettivo. Norme analoghe a quelle previste per i dipendenti civili regolano la determinazione della base pensionabile e la misura del trattamento normale dei dipendenti militari.
Il trattamento pensionistico è integrato da un trattamento previdenziale, costituito dalla concessione di un'indennità di buonuscita, disciplinata dalla l. 25 nov. 1957, n. 1139, e successive modifiche. Ai dipendenti che cessano dal servizio senza diritto a p. è concesso, a titolo previdenziale, un assegno vitalizio.
Il trattamento pensionistico è riversibile, nel senso che alla morte dell'avente diritto ne vengono a fruire in misura ridotta i familiari, nell'ordine di successione indicato dalla legge. Si è concordi nel ritenere che la p. di riversibilità debba considerarsi un diritto autonomo dei congiunti dell'impiegato, quindi non si tratta di un diritto di natura ereditaria. In linea generale l'acquisto del diritto alla p. di riversibilità è subordinato alla condizione che il dante causa sia in godimento della p. o abbia maturato il relativo diritto.
La p. di riversibilità spetta anche alla vedova del pensionato che ha contratto matrimonio dopo la cessazione del servizio e dopo il compimento del 65° anno di età, a condizione che il matrimonio sia durato almeno due anni e che la differenza di età tra i coniugi non superi i venticinque anni. In caso di decesso della moglie dipendente civile o pensionata, la p. spetta al vedovo solo quando questi sia riconosciuto inabile a proficuo lavoro, risulti a carico della moglie e abbia contratto matrimonio quando la stessa non aveva compiuto i 50 anni.
Per gli orfani si richiede che siano minorenni e per le femmine, inoltre, che siano nubili. Sono equiparati ai figli legittimi i figli legittimati, gli adottivi e i naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, nonché gli affiliati, quando questi ultimi non concorrano con figli legittimi. La p. è dovuta anche agli orfani maggiorenni inabili a proficuo lavoro, nullatenenti e a carico del dipendente o del pensionato. Ai genitori legittimi sono equiparati gli adottanti e in mancanza di questi, in ordine di vocazione, i genitori naturali e gli affiliati.
Alla madre vedova è equiparata quella che alla data del decesso del figlio viveva effettivamente separata dal marito, anche se di seconde nozze, senza comunque riceverne gli alimenti. Nel caso di separazione (e quindi di divorzio) tra i coniugi la p. è divisa in parti uguali. Alla madre vedova è equiparata quella che sia passata a nuove nozze, qualora il marito sia inabile a proficuo lavoro.
Alla vedova spetta la p. di riversibilità nella misura del 50% di quella spettante al dante causa; agli altri familiari spetta in misura minore.
Ai dipendenti, civili e militari, che divengono inabili al servizio per fatti causati dal servizio stesso, è attribuito un trattamento pensionistico privilegiato, in base alle norme previste dall'art. 54 segg. del testo unico.
Per la concessione del trattamento pensionistico privilegiato si richiede che il servizio debba costituire la causa unica, diretta e immediata della lesione, dell'infermità o della morte.
Le infermità e le lesioni che dànno luogo a p. privilegiata sono classificate nella l. 20 ag. 1950, n. 648; se esse sono di particolare gravità (ascrivibili alla prima categoria) il trattamento di quiescenza è pari a otto decimi della base pensionabile. Qualora le infermità o le lesioni siano di minore entità il trattamento di quiescenza è pari a un quarantesimo della base anzidetta per ogni anno di servizio utile, ma non può essere inferiore a un terzo né superiore a otto decimi della base stessa. Norme analoghe regolano la p. privilegiata degli operai e dei militari.
Quando la morte del dipendente è causata dal servizio, spetta alla vedova e agli altri aventi diritto la p. di riversibilità, commisurata al massimo della p., che sarebbe spettata all'impiegato se reso totalmente inabile.
La misura della p. è determinata ad anno, ma il pagamento avviene a rate mensili; le singole rate sono soggette, al pari delle singole rate dello stipendio, a prescrizioni biennali (art. 2 d.l. 19 genn. 1939, n. 295). La p., al pari dello stipendio, è insequestrabile, impignorabile e incedibile (art. 1 T.U. 5 genn. 1950, n. 180).
Il cumulo di p. e di p. e stipendio a carico dello stato, già vietato dal T.U. 21 febbr. 1895, n. 70, è ora ammesso ed è disciplinato dall'art. 130 segg. del testo unico.
Per gl'impiegati di enti pubblici minori vigono particolari disposizioni legislative; in mancanza si applicano le norme relative agl'impiegati privati, cioè le norme sull'assicurazione e previdenza sociale.
Per i dipendenti degli enti locali è stata istituita un'apposita "Cassa" presso il ministero del Tesoro; essa si regge sui contributi obbligatori degli enti e dei dipendenti; la liquidazione delle p. ha luogo sulla base di criteri analoghi a quelli vigenti per gl'impiegati statali (d.l. 3 marzo 1938, n. 680; l. 11 apr. 1955, n. 379).
Pensione di guerra. - La materia delle p. di guerra, regolata nelle sue linee fondamentali dalla l. 10 ag. 1950, n. 648, ha subito varie modifiche. La l. 9 nov. 1961, n. 1240, ha, in particolare, abolito ogni termine di scadenza per la presentazione della domanda di p. a condizione che la constatazione delle ferite, lesioni o infermità dalle quali sia derivata l'invalidità o la morte del militare o del civile, sia stata documentata entro cinque anni dalla cessazione del servizio di guerra o dal fatto di guerra.
La l. 18 maggio 1967, n. 318, ha precisato vari benefici di carattere giuridico ed economico e in particolare ha ridisciplinato il procedimento di liquidazione, prevedendo anche la possibilità del Comitato di liquidazione di dividersi in sezioni. La materia è stata riordinata con l. 18 marzo 1968, n. 313, che non ha però innovato i principi ispiratori della precedente legislazione. La procedura di concessione della p. è stata, poi, modificata dalla l. 28 luglio 1971, n. 585, che ha attribuito al direttore generale la competenza a emanare i decreti di p. e ha ammesso contro gli stessi il ricorso in via gerarchica al ministro per il Tesoro.
È da ricordare, infine, la l. 27 ott. 1967, n. 974, che ha concesso il trattamento pensionistico di guerra anche ai congiunti dei militari e dei dipendenti civili dello stato vittime di azioni terroristiche o criminose e ai congiunti dei caduti per causa di servizio. La misura del trattamento pensionistico è attualmente disciplinata dalla l. i marzo 1975, n. 45.
Per le p. ai lavoratori, v. assicurazioni sociali.
Bibl.: M. Quagliariello, voce Pensione, in Novissimo digesto italiano, vol. XII, p. 869, Torino 1965; T. Guarnaschelli, voce Pensione di guerra, ibid., p. 897; V. Prinzivalli, D. Delfini, Pensioni civili normali e privilegiate, dirette, indirette e di riversibilità, Torino 1971.