PENTECOSTE
. Festività religiosa ebraica e cristiana. L'odierno nome della festività deriva dal greco (πεντηκοστή, sottinteso ἡμέρα, "cinquantesimo" sott. giorno) e fu usato da principio dai Giudei di lingua greca per designare la festa che cadeva 50 giorni dopo la pasqua ebraica (v. pasqua). Ma nell'Antico Testamento essa è designata con altre espressioni: festa della messe e primizie dei lavori agricoli (Esodo, XXIII, 16), giorno delle primizie (Numeri, XXVIII, 26), festa delle settimane (ebr. shabhu‛ōth) e primizie della messe del grano (Esodo, XXXIV, 22). Il termine festa delle settimane, in seguito predominante, allude alle sette settimane che la distanziano dalla pasqua. In Flavio Giuseppe (Antich. Giud., III, 10, 6) e nel giudaismo rabbinico si trova anche il termine ‛ăṣereth (aramaico ‛ăṣartā), usato nel senso di conclusione, in quanto la pentecoste era la conclusione della messe, che si era iniziata con la pasqua. Nel Nuovo Testamento (Atti, II,1; I Cor., XVI, 8) e in Filone è usuale πεντηκοστή:
Ebraismo. - La pentecoste era, con la pasqua e i tabernacoli o capanne, festa di "peregrinazione", in cui cioè tutti gl'Israeliti dovevano (almeno teoricamente) presentarsi al tempio di Jahvè in Gerusalemme. Essa cadeva il giorno dopo che erano trascorse sette settimane (v. sopra) dal secondo giorno (16 Nisān) della pasqua ebraica (vi furono tuttavia in seguito incertezze di computo), in cui era stato offerto nel tempio il primo manipolo di spighe della messe incipiente; la stagione propizia (circa aprile-maggio) favoriva quindi l'affluenza dei pellegrini a Gerusalemme. Ebbe il valore di festa di ringraziamento a Dio per la messe compiuta; durava un solo giorno, che implicava il riposo sabbatico, l'offerta al tempio dei primi pani fatti col nuovo frumento e speciali sacrifici d'animali.
Il giudaismo rabbinico, d'accordo con alcuni Padri della Chiesa (Agostino, C. Faust., XXXII, 12; Girolamo, Epist. 78 ad Fabiolam), ritenne che la pentecoste fosse la festa commemorativa della legislazione data sul Sinai da Dio al popolo ebraico, calcolando ch'essa sarebbe avvenuta 50 giorni dopo l'uscita dall'Egitto (cfr. Esodo, XIX,1); ma di questo significato commemorativo non c'è alcuna traccia, non solo nell'Antico Testamento, ma neppure in Flavio Giuseppe o in Filone. Certamente, invece, fu in origine una festa agricola-religiosa in occasione della mietitura, come risulta anche dai varî termini con cui è designata dalla Bibbia. Alcuni critici moderni hanno creduto di trovare una differenza di primitivo significato della festa a seconda dei termini con cui viene designata dalla Bibbia: l'espressione festa della messe proverrebbe dalle tribù settentrionali (regno d'Israele), le quali festeggiavano la conclusione della mietitura alla pentecoste e il suo inizio alla pasqua con l'offerta delle primizie; invece l espressione festa o giorno delle primizie proverrebbe dalle tribù meridionali (regno di Giunta), le quali originariamente non celebravano come festa delle primizie agricole la pasqua, bensì la pentecoste.
Benché seconda cronologicamente fra le feste annuali dell'ebraismo e celebrata con molta affluenza di pellegrini, la pentecoste non raggiunse la popolarità delle altre due feste di "peregrinazione".
Cristianesimo. - Nel cristianesimo la Pentecoste è il cinquantesimo giorno dalla Pasqua, nel quale la Chiesa ricorda la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti nel cenacolo di Gerusalemme, discesa dalla quale si iniziò la vita di espansione della Chiesa stessa con il discorso tenuto da Pietro alla folla convenuta in città per la Pentecoste ebraica (cfr. Atti degli Ap., II). Liturgicamente è allo stesso grado della Pasqua e del Natale, ma non ha feste che la precedano o la preparino, e l'ottava le fu aggiunta solo più tardi. In origine si chiamava Pentecoste (latinamente Quinquagesima) tutto il periodo di cinquanta giorni, nei quali, essendo giorni di letizia, non si digiunava e si pregava in piedi. Secondo le notizie della pellegrina Eteria, a Gerusalemme alla fine del sec. IV la festa di Pentecoste si celebrava premettendo una funzione vigiliare a base di salmodia che terminava con una messa all'alba, celebrando un'altra messa a mezza mattinata e facendo una processione al Monte degli Ulivi, con ritorno a sera in città.
In Occidente la funzione vigiliare s'è ridotta al mattino stesso della festa, con lettura di profezie, benedizione del fonte battesimale, seguita dalle litanie dei santi (che un tempo erano recitate durante la discesa dei catecumeni al fonte per ricevere il battesimo) e Messa con invocazione dello Spirito Santo.
A Roma la funzione era celebrata in San Pietro, forse a ricordo del rilievo che l'Apostolo assume in questa giornata annunciando la buona novella. Il papa stesso celebrava l'ufficiatura, e se ne ritornava poi ornato del regnum (o copricapo rotondo, a punta) processionalmente al Laterano. Caduto quest'uso, la funzione si celebrò da un cardinale vescovo alla presenza del papa, ma nella cappella papale del Palazzo vaticano, e vi teneva un discorso latino un alunno del Collegio di Propaganda, ad esprimere la missione di propagazione della Chiesa nel mondo.
Una sequenza speciale Veni Sancte Spiritus (che sostituisce dall'epoca di S. Pio V l'altra più antica Sancti Spiritus adsit nobis gratia) viene recitata dopo l'Epistola. E in questo momento in talune chiese di Francia venivano suonate trombe a imitare lo strepito del vento che accompagnò la discesa dello Spirito nel cenacolo, o si facevano cadere dall'alto rose (donde il nome di Pascha rosatum o di Pasqua rosa) a ricordare le lingue di fuoco, o si liberavano colombe simbolo dello Spirito Santo.
Iconografia. - L'evangeliario siriaco di Rabbula (586), nella biblioteca Laurenziana di Firenze (Plut. I, cod. 56), offre la più antica rappresentazione della Pentecoste. La scena si svolge al disotto di un arco: sugli apostoli, allineati in doppia fila ai lati della Vergine, scendono le fiamme, in alto vola la divina colomba. Lo schema siriaco si ritrova più complesso in una delle ampolle di Monza (sec. VI), ove con la scena della Pentecoste è unita la raffigurazione di Cristo entro una mandorla portata da angeli. Nelle opere bizantine e di Cappadocia, la scena si svolge invece in un classico triclinio: gli apostoli sono seduti in semicerchio intorno a S. Pietro e a S. Paolo; nello spazio centrale, inferiormente, siede un vecchio re coronato, che reca un panno contenente i dodici rotuli della predicazione apostolica. È, come indica l'iscrizione (Κόσμος), la personificazione del mondo, simboleggiato, a volte, anche da più figure. Mancano la Vergine e la colomba; i raggi dello Spirito Santo scendono sugli apostoli da un disco, schematica rappresentazione del cielo, ovvero da una gloria raggiata, nel centro della quale sono raffigurati il trono dell'Etimasia e il Libro, come nel musaico di S. Sofia e in quello, ora perduto, della chiesa dei Ss. Apostoli a Costantinopoli (secolo VI), nell'affresco di Qeledylar in Cappadocia (sec. X), nel ms. gr. 510, fol. 301 alla Bibl. Nationale di Parigi (sec. IX), e infine, per ricordare solamente le opere più note, nei musaici della Cappella Palatina a Palermo (sec. XII) e in quelli di S. Marco a Venezia (secolo XIII). Secondo la formula occidentale la scena si svolge spesso su uno sfondo architettonico, entro un recinto ottagonale o circolare, entro cui siedono gli apostoli raggruppati intorno a San Pietro o alla Vergine, che non sempre compare nella rappresentazione. Manca la personificazione del mondo; in qualche opera sono però raffigurati i rappresentanti delle varie popolazioni, evangelizzate dagli apostoli. Durante il sec. XII si effettua un'interessante innovazione nel tema: si vede infatti in un manoscritto alla Nationale di Parigi (manoscritto latino 2246, fol. 79), in un affresco di Saint-Gilles a Montoire e in un altro codice alla Vaticana (lat. n. 39) la personificazione dello Spirito Santo e la figura di Cristo entro una mandorla, da cui scendono sugli apostoli le lingue di fuoco. Nelle sculture del portale di Vézelay, che il Fabre (L'iconographie de la Pentecôte, in Gaz. des beaux-arts, 1923, p. 32 segg.) interpreta invece come l'annunzio di Cristo agli apostoli della loro futura missione, sono raffigurati anche i popoli pagani.
Nel Trecento si preferisce di solito la disposizione in cerchio degli apostoli in un interno; al di fuori, meno spesso, attendono i rappresentanti delle nazioni pagane (affreschi di Andrea da Firenze nel Cappellone degli Spagnoli a Firenze, ecc.). Durante il secolo XV non molto frequente è la rappresentazione di tale soggetto, che nei secoli successivi troverà nell'arte di alcuni maestri nuove e originali traduzioni (affresco di Tiberio d'Assisi nell'appartamento Borgia al Vaticano, tavola del Velasco a Santa Croce di Coimbra, tavola di Paris Bordone alla Galleria di Brera a Milano, tavola di Tiziano nella chiesa di S. Maria della Salute a Venezia, quadro di Jacopo Bassano nel Museo di Bassano).
Bibl.: K. A. H. Kellner, L'anno ecclesiastico, trad. it., Roma 1906; J. Schuster, Liber sacramentorum, IV, Torino 1922; H. Grimouard de Saint-Laurent, Manuel de l'art chrétien, Parigi 1878, p. 419 segg.; A. Venturi, La Madonna, Milano 1900, p. 393 segg.; E. Mâle, L'art religieux du XIIe siècle en France, Parigi 1922, p. 326 segg.; A. Fabre, L'iconographie de la Pentecôte, in Gaz. des beaux-arts, Parigi 1923, p. 32 segg.; K. Künstle, Ikonographie der christlichen Kunst, I, Friburgo in B. 1928, p. 517 segg.; E. Sandberg-Vavalà, La Croce dipinta italiana e l'iconografia della Passione, Verona 1929, p. 375 segg.