Per una storia della scienza in Italia: realtà nazionale e slancio cosmopolitico
Diversamente dalla storia della letteratura, fenomeno storico che ha nella lingua e nella nazione, e nei valori particolari che esse esprimono, le sue prime e ovvie radici, ma anche da quella di altre discipline, la storia della scienza resiste a una trattazione complessiva di tipo ‘nazionale’. Non c’è solo una resistenza storica, ma anche teorica: non solo non si è quasi mai tentata o esercitata con successo una storia della scienza italiana, o di altri Paesi, come genere storiografico, ma non ci sarebbe neppure ragione di praticarla in quanto tale.
Fino al 17° sec., e ancora oltre, nonostante prove costanti di uso delle lingue nazionali nella scienza, questa, come altre discipline intellettuali, ha parlato e scritto prevalentemente in latino, lingua internazionale dei dotti e della Chiesa cattolica, che nella scienza aveva svolto un ruolo di primo piano. Quando le lingue nazionali si imposero più largamente nella produzione scientifica, spesso con l’iniziale preponderanza del francese nella sua comunicazione internazionale, Gottfried Wilhelm von Leibniz già cercava di allestire una characteristica universalis capace di essere scritta e intesa dagli scienziati di tutto il mondo; e si era d’altra parte già al tempo in cui la formalizzazione del linguaggio cominciava a rendere la scrittura scientifica un universo rotante attorno a formule e simboli indipendenti dalle lingue naturali; a queste sarebbe restato il ruolo, da un certo momento egemonico, per ragioni storiche, dell’inglese, o finanche, come immaginato dal logico italiano Giuseppe Peano, per un «latino sine flexione», di esprimere i passaggi non formalizzati delle enunciazioni e dimostrazioni scientifiche.
A questa internazionalità del linguaggio corrispose una internazionalità della organizzazione del lavoro scientifico almeno fino all’età delle grandi monarchie e delle prime grandi guerre continentali, di nuovo il 17° sec.; età entro la quale la ‘repubblica delle lettere e delle scienze’ formata, nonostante le distinzioni confessionali, da ricercatori ed eruditi di tutta l’Europa (e per certi versi anche con rapporti fuori dell’Europa: il mondo islamico, le civiltà dell’Oriente), tentò di resistere a una prima ‘nazionalizzazione’ delle scienze, queste praticando come un bene universale non riducibile all’interesse di una nazione o di un determinato potere. L’utilizzazione della scienza come strumento per la costruzione della potenza di una nazione o di un impero non sacrificò mai infatti negli scienziati il senso di una comunità transnazionale e di una storia comune, l’appartenenza a un colloquio e a una vita istituzionale propri, traversanti confini e barriere. La circolazione di uomini e idee nelle accademie, istituti internazionali pur quando posti sotto egide nazionali e protezioni statuali, i rapporti fra queste accademie, locali e nazionali, ma sempre con sguardo cosmopolitico, e le reciproche profonde e fattive solidarietà che gli scienziati riuscirono a creare e a difendere li assicurarono nella loro unità e dignità, finanche in tempi particolarmente difficili, per aspetti diversi, come l’età napoleonica, e ancor più quella della Restaurazione. Nell’Italia prerisorgimentale, tante carriere di studiosi perseguitati per ragioni politiche si poterono comunque garantire o promuovere grazie alla solidarietà di una comunità scientifica transnazionale e al suo peso oltre i confini politici.
Poesia e letteratura, arti figurative e musica in tutta l’Europa certamente vivevano negli stessi anni un generoso afflato di libertà, infiammandosi per l’indipendenza e la dignità di popoli oppressi; ma toccò soprattutto a quelle arti di fondare al tempo stesso il senso e il culto dell’identità e dell’appartenenza nazionale; opera di fondazione che non appariva funzione propria della scienza.
In questo contesto, anche la cultura italiana, reagendo alla duplice esigenza di affermare l’identità e il ruolo dell’Italia e di riscattarla all’immagine illuministica e poi romantica di delizioso giardino di limoni, decorato da inestimabili rovine antiche, ma escluso da razionalità, nazionalità e scienza per via dell’azione reazionaria svolta dalla Chiesa dal caso Galilei in avanti, elaborò una ‘via nazionale’ al sapere. Furono in questo senso fondamentali il tema della ‘identità italica’, proposto da Vincenzo Gioberti, che postulava una tradizione di ‘realismo’ filosofico, compatibile con il cristianesimo, dalle scuole magnogreche fino a Galileo Galilei e a Giambattista Vico, e la contrapposta teoria neoidealistica della ‘circolazione’ della filosofia italiana nella filosofia europea, presentata da Bertrando Spaventa. Questi offrì un canone di filosofia nazionale inverato, criticato, allargato, rifondato ancora fino a oggi, basato sul costitutivo contributo della filosofia italiana del 16° sec. alla linea della filosofia moderna, e della modernità politica e sociale, passante per René Descartes, Immanuel Kant e Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Il canone di Spaventa ha costituito la ‘storia della filosofia italiana’ come disciplina accademica e come genere storiografico. Nella visione neoidealistica, la scienza sembrava avere un ruolo subordinato rispetto alla filosofia; nei suoi apologeti di altro orientamento filosofico, essa rivestì spesso soprattutto un carattere simbolico – e una funzione ideologica – quale occasione di scontro fra la reazione ecclesiastica e l’avanzata della modernità.
Il discorso scientifico sembra essere refrattario a una ‘nazionalizzazione’ in sede storiografica, benché proprio fra Ottocento e Novecento, e con intenso vigore per tutto questo secondo secolo, la scienza come tale subisca ulteriori forti tentativi di ‘nazionalizzazione’, più o meno riusciti, nella competizione fra le potenze e fra le ideologie.
Negli ultimi anni, la storia della scienza ha posto d’altra parte sempre più l’accento sul contesto politico e sociale della ricerca, integrando la storia delle idee scientifiche con lo studio delle pratiche, delle istituzioni e delle comunità scientifiche, che hanno naturali alvei anche nazionali. Se non c’è una scienza italiana o francese o tedesca nello stesso senso in cui si danno letterature di quelle lingue, o concezioni politiche e visioni storiografiche in quelle lingue, c’è una storia della scienza in Italia, come transito entro strutture e ambienti a base nazionale di un discorso che resta irriducibile, per linguaggio e oggetti, contenuto e pratiche, ad alcuna nazionalità.
Il contributo italiano alle scienze è stato molto importante, e continua a esserlo: importante per il mondo, vitale per l’Italia, ma non può rappresentarsi come una storia ‘nazionale’. È altresì evidente che la scienza abbia giocato un ruolo fondamentale nella storia italiana e in quella dell’Italia unita, un ruolo che ancora oggi non ha ricevuto sufficiente attenzione.
Per apprezzarne i tratti distintivi e originali, si è ritenuto utile procedere innanziutto attraverso problemi, oltre che ripercorrendo personalità. Una storia della scienza in Italia, procedente solo attraverso figure di scienziati italiani, si sarebbe candidata a una storia del ‘genio’ italiano attraverso figure capitali o di eccezione, che non avrebbe alcun senso nell’attuale contesto culturale. Autori, luoghi, metodi, linguaggi, contesti, relazioni, mostrano assidua partitura europea ed extraeuropea. Costitutivamente, il discorso della scienza si snoda in Italia, per molteplici ragioni storiche, e in singolare analogia con il discorso pur del tutto diverso della teologia, come discorso che procede, sui territori destinati all’unificazione politica nel 1861-70, attraverso italiani e non italiani: lo dimostrano fra 12° e 16° sec. il flusso dei testi scientifici, classici e arabi, le loro edizioni o traduzioni, commenti ed emendazioni; la formazione fra Padova e Bologna e in altre università d’Italia di scienziati destinati a fiorire altrove in Europa; la presenza di ricercatori italiani fuori d’Italia e di ricercatori stranieri in Italia, grazie anche alla natura universalistica e all’organizzazione transnazionale della Chiesa e delle sue strutture formative e dei suoi ordini religiosi; l’esperienza delle accademie, ‘internazionale’ anche nei momenti più difficili nelle relazioni fra l’Italia e il resto d’Europa; la storia delle ‘corrispondenze’ fra scienziati.
Una galleria di teorie, scoperte, invenzioni, metodologie di ‘marchio’ nazionale sconterebbe dunque l’angolo visuale vetusto del ‘genio’ nazionale. Lo sforzo è stato indirizzato piuttosto alla caratterizzazione dei condizionamenti ambientali, dei ruoli particolari in cui uomini e idee manifestarono la loro vitalità. Non abbiamo pertanto secondato una visione della scienza italiana come scandita dalle grandi trasformazioni teoriche, ma abbiamo ritenuto piuttosto di dover prestare molta attenzione anche alle vicende e ai personaggi meno noti, e a momenti meno ‘gloriosi’. La scienza e il suo ruolo nella società sono difficilmente comprensibili se non li si osserva nei processi più lenti e profondi, riportando alla luce popolazioni scientifiche, pluralità di contesti, istituzioni e forme di comunicazione.
Le biografie offerte in questo volume, necessariamente selettive, rispondenti a uno schema informativo più che narrativo, sono state pertanto dedicate non solo a scienziati italiani, ma anche a scienziati stranieri lungamente o principalmente operanti in Italia; a figure fondamentali o imprescindibili, ma anche a personalità intorno alle quali studi recenti abbiano recato nuovi contributi di conoscenza e di approfondimento. Inoltre, la storia della cultura italiana, e non solo italiana, soprattutto nei secoli dal Medioevo alla prima età moderna, mostra sovente vite di scienziati, o di pensatori rilevanti per la scienza e la tecnica, che sono stati significativi anche nella storia della filosofia, o del pensiero economico, o di altri ambiti. Abbiamo incluso la trattazione di questioni filosofiche, laddove la loro interazione con la scienza apparisse più evidente o significativa. Va aggiunto che benché non si tratti qui di una storia della scienza e della tecnica, abbiamo inteso dare spazio anche ai rapporti fra teoria, sperimentazione e applicazioni pratiche. Infine, sulla base della consapevolezza del carattere storico dell’oggetto del nostro volume, ovvero della modificazione che attraverso le epoche hanno subito il concetto di scienza e la sua pratica, non abbiamo certo potuto limitarne la ricognizione a quanto oggi si intende comunemente per scienza; entrano pertanto nella nostra visuale fenomeni e sfere di interesse che corrispondono a quella processualità storica; idee, pratiche, organizzazioni che nel tempo hanno avuto un’incidenza sulla formazione di ciò che oggi intendiamo per scienza, o hanno interagito con i saperi che di volta in volta si sono assunti per scienza.
Tre sono sembrate le grandi possibili campate problematiche del disegno. La prima, che ha dato luogo alla sezione Tradizione e sperimentazione, ha per materia l’immenso lavoro che soprattutto in Italia o da italiani comincia a farsi, già fra 12° e 13° sec., e che in Italia conserva a lungo una delle maggiori sedi, e per certi versi addirittura la principale, tra 15° e 16° sec., sul piano del rapporto con la tradizione scientifica greco-araba. Un rapporto scandito dai recuperi testuali e dall’illustrazione e interpretazione delle diverse ‘autorità’ disciplinari, tuttavia continuamente fecondato dall’‘abito’, che sempre più largamente verrà affermandosi, modificando radicalmente la sua impostazione medievale, della sperimentazione. L’antico, la scienza greca e romana, la scienza ellenistica, la scienza araba, la loro riscoperta ed emendazione testuale e interpretativa, e l’atteggiamento che, dovendosi ampliare il campo suscettibile di ‘scienza’ e il nuovo cercare e sperimentare, si dovesse tenere nei confronti dell’‘autorità’, dei maestri, delle teorie stabilite, dei metodi secolari, sembrano dominare questa fase. Qui la scienza italiana ha fortemente contribuito al sapere universale, per un verso, offrendo un concorso imprescindibile alla costituzione della ‘biblioteca scientifica’ universale e al suo rinnovamento, e per un altro, di là di specifiche conquiste teoriche o sperimentali, che pure furono numerose e importanti, alla costituzione del metodo moderno e della cultura scientifica moderna in campi fondamentali della ricerca, dall’astronomia alla medicina, dalla matematica alla fisica sperimentale alla biologia. Il valore dell’esperienza italiana fu certo pesantemente condizionato, ma tutt’altro che affievolito, da fattori quali il processo e la condanna di Galilei e gli apparati teologici dominanti, la decadenza politica ed economica della penisola, la sua marginalità rispetto ai nuovi assi commerciali.
La seconda campata, costruita nella seconda sezione, Scienza, politica, istituzioni, si colloca fra l’esperienza del Settecento, rinnovamento di inizio secolo e Illuminismo riformatore, e le lotte per l’Unità d’Italia, alla cui conquista molti scienziati offrirono elevato contributo ideale e politico, avvertendola come condizione per un rilancio effettivo della ricerca scientifica in Italia. Il discorso sulla scienza si è venuto ripercorrendo, peraltro in prospettiva di nuovo europea, intorno al rapporto tra scienza e politica, per quest’ultima dovendosi intendere non solo l’assetto istituzionale, i rapporti di forza vigenti e le ragioni economiche, ma in termini più generali il complesso di valori e di norme, di costumi e di mentalità che regge territori e popoli, rispetto al quale lo scienziato cerca di collocare la validità intrinseca e oggettiva delle sue proprie ‘leggi’, l’utilità pubblica e insieme l’autonomia, di statuto e di metodo, del suo lavoro. Formatisi nei decenni preunitari a un’idea di necessaria utilità della scienza per il bene comune, interpretato come bene dell’umanità e insieme come interesse dei principi e dei loro sudditi, gli scienziati italiani poterono dispiegarla nell’impresa entusiasmante della creazione del nuovo Stato. Gli sviluppi delle singole discipline, la nascita di problemi teorici e di questioni metodologiche, la diffusione e discussione di teorie altrove elaborate si sono qui sempre proposte nella chiave della relazione con questa problematica latamente ‘politica’: organizzazione degli scienziati, organizzazione della scienza nelle strutture degli Stati preunitari, rapporti con la comunità scientifica internazionale, eco o reazione sociale a teorie e a pratiche, effetti nella tecnologia, e la scienza come lievito, anch’essa, della lotta per la costruzione dell’unità nazionale, mediata tuttavia in primo luogo dalla letteratura, dall’arte, dalla filosofia. Senza che della scienza si smarriscano l’universalità degli oggetti, del linguaggio e degli strumenti, il progresso della stessa, interpretato secondo le categorie prima illuministiche e poi romantiche e positivistiche, diventa occasione e strumento del progresso generale dei popoli e in particolare di un popolo; nel caso italiano, di una rivoluzione politica spesso guardata con favore e concretamente favorita dalla comunità scientifica internazionale o almeno dai suoi circoli più influenti. L’Italia confermò in quei decenni la sua originale e vivace partecipazione al dibattito europeo, cercando di superare angustie e ritardi nel rapporto fra scienza e società.
La terza campata, costruita nella terza sezione, La riorganizzazione della scienza nell’Italia unita, riguarda l’Italia ormai unita politicamente, e di qui procede verso i nostri giorni. Il problema della scienza si colloca nel più generale problema della costruzione di un nuovo Stato moderno in un mutato contesto europeo e mondiale; e si connota non solo come partecipazione e contributo al dibattito scientifico, ma anche, e molto, in rapporto ai nessi tra ricerca, società, mercato; e tra ricerca e Stato, istruzione, cultura. Qui in realtà il discorso è costretto dalla sua materia storica a scandirsi ulteriormente in tre fasi.
Nella prima, la scienza, anche attraverso studiosi di altri Paesi chiamati o venuti in Italia, non solo presta la sua opera all’edificazione o riforma di strutture e apparati di ricerca e di formazione nella nuova realtà statuale, e contribuisce alla crescita civile, intellettuale e morale del Paese, proponendosi come voce del Risorgimento realizzato, accanto a quelle più note e celebrate delle arti e della letteratura; ma concepisce in alcuni suoi esponenti un’idea di Italia, liberale e più ‘scientifica’, e un programma del suo sviluppo, oltre a contribuire in modo eccellente, soprattutto in certe discipline, alla vita teorica e sperimentale come fatto internazionale. Un’Italia dinamica e feconda, riconosciuta e premiata in questo, è quella che il panorama delle scienze e delle loro relazioni istituzionali e sociali, nonostante scompensi e difficoltà iniziali, offre alla vigilia della Prima guerra mondiale.
Nella seconda fase, segnata dal fascismo, l’impulso dell’ideologia e della direzione autoritaria dello Stato sulla vita scientifica, se in un primo tempo dimostra qualche continuità con l’immediato passato, dagli anni Trenta prende un orientamento contraddittorio: il sistema politico non sa davvero giovarsi delle straordinarie energie nazionali, che pure dichiara di voler mettere a profitto della potenza economica e bellica, e decisioni di ispirazione ideologica scavano profondi solchi nella comunità scientifica, e fra questa e il regime, in un clima generale di conculcata o fortemente ridotta libertà intellettuale.
La terza fase, la scienza nell’età repubblicana, dimostra l’ampiezza e la generosità dello sforzo ricostruttivo, il grande valore teorico e non solo teorico della ricerca italiana, il suo significato internazionale, negli anni della rinascita produttiva e della costruzione della democrazia; ma rivela anche l’incoerenza del discorso pubblico sulla scienza, che per un lato esalta il primato della ricerca, e per un altro non riesce a proporre una strategia per la scienza nel nostro Paese, con effetti negativi sulla stessa considerazione sociale della scienza, sul rapporto fra scienza e cultura, e sulla formazione delle nuove generazioni. Il peso dell’emigrazione scientifica italiana all’estero, fenomeno che sulla base di molto diverse ragioni si articola fra gli anni del fascismo, a seguito delle leggi razziali e del clima illiberale, e quelli della Repubblica, per effetto delle condizioni spesso difficili di certi settori d’indagine, cresce con diretta proporzionalità rispetto all’incertezza e alle incoerenze che si manifestano sul piano della ‘politica della scienza’. Questo avviene in un Paese che era giunto all’unità politica anche per impegno e sacrificio di scienziati, e che era stato disegnato nella sua fase postrisorgimentale in una prospettiva fortemente segnata dal sapere scientifico.
La nuova forma statuale avrebbe dovuto garantirgli quel più fecondo svolgimento del rapporto tra democrazia e ricerca, che sembrava d’altronde un connotato d’origine della stessa modernità, recuperabile dopo l’offuscamento comportato dalla subordinazione della scienza a disegni di dominio o di offesa, nelle ideologie e nei regimi politici totalitari, e nelle terribili congiunture dell’uso bellico delle scoperte scientifiche e tecnologiche, che ha riguardato drammaticamente, nel Novecento, anche le democrazie occidentali; nelle quali, d’altra parte, il problema del rapporto fra ricerca scientifica ed etica (e religioni, potere politico e della comunicazione, potere industriale) si ripropone ora per tanti versi e in modi nuovi. Peraltro, la situazione della scienza nell’Italia repubblicana, e delle sue relazioni con tecnologia ed economia, rese ancora più problematiche dagli inediti orizzonti e dalle nuove esigenze pratiche di certe branche fondamentali della ricerca, non ha potuto certo prescindere dai condizionamenti discendenti dalla collocazione della Repubblica nel suo proprio contesto geopolitico, e dallo scenario dei rapporti di forza internazionali più generali. L’Italia ha tuttavia sempre continuato a offrire le sue migliori energie nella collaborazione con altri Paesi, e nella costituzione di organizzazioni internazionali di studio e ricerca.
Non per caso, infine, il tema della relazione fra identità nazionale, che si esprime per lingua e letteratura, e scienza, chiude il volume. Il saggio che vi è dedicato è quello di maggiore copertura cronologica, attraversa tutto il tempo della nazione italiana, dai suoi primordi o presupposti appunto nella lingua e nella civiltà letteraria, alle sue più recenti manifestazioni politiche e culturali. Qui la storia della formazione di una prosa scientifica italiana, che necessariamente integra e sorregge gli spazi formalizzabili del discorso scientifico, si intreccia con la lunga serie di momenti in cui l’elaborazione letteraria assorbe, riflette o riecheggia teorie ed esperienze scientifiche, e in cui queste per loro parte adoperano anche le forme della letteratura. Anche la lingua degli scienziati partecipa al processo della lingua nazionale, e la poesia e la letteratura, in un Paese che spesso si lamenta ‘retorico’ e ‘anti-scientifico’, si rivelano pur esse penetrate dalla scienza.
Attraverso le concrete condizioni e creazioni storiche conosciute in Italia, la scienza ha non solo prodotto svolgimenti di grande significato universale, ma ha anche partecipato alla formazione e all’arricchimento dell’identità e della sfera nazionale del nostro Paese, alla quale tuttavia non può evidentemente in nessun modo ridursi.