Percezione
Il termine percezione indica l'atto del prendere coscienza di una realtà esterna o interna. Secondo K. Koffka, uno dei fondatori della scuola della Gestalt, alla quale si deve una svolta fondamentale in questo campo di ricerche, percepire significa sperimentare stimoli, effettuare discriminazioni fra di essi e comporli in un insieme dotato di significato.
Nell'osservare le cose intorno a noi, tendiamo a integrare le parti chiare e quelle scure degli stimoli visivi per organizzarle in forme dotate di significato: per es., distinguiamo la penna dal foglio sul quale è posata, separiamo l'immagine del foglio da quella della scrivania e la scrivania stessa dal suolo e dalle pareti della stanza in cui ci troviamo. Di norma, l'elaborazione percettiva degli stimoli sensoriali si produce in modo del tutto inconsapevole: pertanto, ci sembra di cogliere le cose che vediamo e nel modo come le vediamo semplicemente perché esse 'sono così'. Quest'impressione di aderenza del percetto alla realtà oggettiva è di regola abbastanza corretta, ma qualche volta la percezione ci induce in errore, nel senso che si possono creare delle configurazioni percettive illusorie e di conseguenza cogliamo un'organizzazione degli stimoli che è difforme rispetto alla realtà fisica oggettivamente misurabile (v. illusione). Alcune di queste illusioni percettive sono palesi e ben note a tutti, come per es. quella della grandezza variabile della Luna. Quando la Luna è bassa sull'orizzonte, essa ci appare più grande rispetto a quando si trova in alto nel cielo. Naturalmente la Luna proietta sulla nostra retina un'immagine che è sempre di grandezza identica, poiché è sempre collocata approssimativamente alla stessa distanza dalla Terra, quindi il vederla cambiare di dimensione è solo frutto di un'illusione percettiva.
La spiegazione generalmente data di questa illusione (che naturalmente vale anche per il Sole, al tramonto o all'alba) è che noi stabiliamo automaticamente la grandezza di un oggetto visivo attraverso una comparazione fra esso e gli oggetti che gli sono vicini. In altri termini, la grandezza percepita è una grandezza contestualizzata o relativa. Quando il disco lunare è vicino all'orizzonte, si trova accostato percettivamente a elementi del paesaggio, come le case, gli alberi, le montagne, e allora esso ci risulta essere (per il raffronto e l'accostamento con questi oggetti visivi contestuali) abbastanza grande e vicino a noi. Il disco lunare (o solare) appare insomma come se fosse collocato a pochi chilometri di distanza. Quando invece lo stesso disco si trova in mezzo al cielo e nel 'vuoto' contestuale, esso si riduce percettivamente alla sua proiezione sensoriale sulla retina, che è molto modesta e inferiore ai 2°.
Un'altra situazione di illusione percettiva la possiamo verificare agevolmente osservando certi pavimenti con marmi bianchi e neri che raffigurano una serie di cubi visti di sbieco. In certi momenti ci sembra che le facce bianche dei cubi siano quelle più vicine a noi, come se sporgessero con un vertice proteso dalla nostra parte. Se tuttavia proseguiamo nell'osservazione, la disposizione relativa si inverte: le parti bianche si allontanano da noi come se fossero delle cavità e le parti scure appaiono come sporgenti. Questo secondo caso costituisce un esempio di percezione illusoria (in quanto la raffigurazione è posta su una superficie piana e non tridimensionale) e reversibile. La configurazione percettiva è reversibile perché gli stimoli visivi sono organizzabili alternativamente in modo egualmente valido. Fino ai primi anni del 20° secolo gli scienziati credevano che la percezione fosse spiegabile con la semplice somma di sensazioni elementari, come le linee, i punti, le caratteristiche fisiche dello stimolo ecc. Ricerche di questo tipo erano portate avanti in particolare dalla scuola di W. Wundt e G.Th. Fechner, e anche da C.E. Spearman, H. Ebbinghaus, O. Külpe e altri. Grazie all'impostazione associazionistica che le caratterizzava, vennero individuate numerose leggi relative all'elaborazione degli stimoli, alla loro registrazione in memoria, all'apprendimento elementare, e venne pertanto costruito un patrimonio di conoscenze su alcuni meccanismi di base dello psichismo che mantiene ancora oggi una sua validità. Secondo questo modello teorico, chiamato modello sensista, la più piccola unità percettiva è rappresentata dalla sensazione elementare.
Esisterebbe inoltre un'equivalenza generale tra afferenza sensoriale e fenomenologia percettiva. In parte, questo modello corrisponde alle teorie ingenue della percezione, per le quali esiste una corrispondenza lineare e diretta fra stimolo prossimale e stimolo distale. Per certi versi esso sembra trovare delle conferme nelle più recenti ricerche di psicofisiologia relative alla presenza nella corteccia occipitale visiva di neuroni specializzati, i quali rispondono elettricamente solo all'orientamento spaziale degli stimoli. Sulla base di queste recenti scoperte si può affermare che la configurazione dei dati sensoriali costituisce la premessa diretta della configurazione percettiva e che, di conseguenza, il nesso fra percezione e sensazione è diretto (Bozzi 1993). Tuttavia un'ampia serie di processi percettivi non viene né spiegata né adeguatamente prevista da una concezione associazionista e sensista. L'inadeguatezza di questo modello teorico è particolarmente evidente proprio per quanto riguarda la percezione. Ai primi del Novecento alcuni ricercatori respinsero decisamente la concezione elementaristica della percezione come semplice somma delle parti, e sostennero che ciò che percepiamo è in realtà il risultato di un'interazione e di un'organizzazione globale delle varie parti. Questi psicologi, Ch. von Ehrenfels, W. Köhler, K. Koffka, K. Lewin e M. Wertheimer, costituivano il nucleo di quella che è stata definita la scuola psicologica della Gestalt (v. forma). Essa studia olisticamente la percezione, concepita come fenomeno globale. Attraverso il suo metodo di studio sono stati spiegati non solo alcuni fenomeni bizzarri (come l''illusione della Luna' o le figure reversibili) che con i vecchi modelli sensisti restavano incomprensibili, ma sono state individuate le leggi di organizzazione di ogni tipo di percezione.
Perché si costituisca percettivamente una figura bisogna che una parte del campo sia distinta e separabile dal resto del campo stesso per almeno un suo attributo sensoriale. Questa distinzione può crearsi in relazione al colore, alla densità, alla trama o per la presenza di un contorno. Un primo criterio di separazione figura/sfondo è quello della 'sovrapposizione'. Le forme che si trovano collocate sopra ad altre ci appaiono come figure di fronte a uno sfondo: così l'aereo ci appare come una figura su uno sfondo di nuvole, la matita una figura sullo sfondo del foglio di carta sul quale è appoggiata. Qualche volta, quando mancano indizi di profondità, questo criterio non funziona.
È il caso della figura ambigua del nostro esempio (fig. 1), che può apparire alternativamente come un vaso chiaro su fondo scuro oppure come due silhouette scure di volti umani su fondo chiaro. Non essendoci indizi di profondità né di sovrapposizione (perché il contorno è comune alla figura e allo sfondo), il cervello non riesce a 'decidere' quale sia la percezione adeguata allo stimolo e organizza alternativamente lo stimolo sensoriale in due percezioni distinte. In altri casi abbiamo la presenza fisica della figura ma la sua assenza fenomenico-percettiva. In sostanza esistono dei contorni che permetterebbero di cogliere un settore del campo come figura ma, per come il campo viene organizzato nelle sue altre parti, la figura non s'impone percettivamente e resta 'invisibile'. Un esempio di tale configurazione 'nascosta' è dato nella fig. 2, che è stata riprodotta da F.C. Bartlett nel 1957. Essa sembra a prima vista la raffigurazione di una quercia; in realtà è possibile notare come gli spazi bianchi adiacenti al tronco della quercia definiscano delle figure di profili umani.
Questa immagine era popolare in Inghilterra all'indomani della battaglia di Waterloo con il nome di 'quercia dei reali associati', poiché i profili che in essa possono essere individuati corrispondono a quelli dei sovrani coalizzatisi nella grande battaglia che portò alla sconfitta definitiva di Napoleone Bonaparte. Un altro esempio di configurazione presente in un campo sensoriale che non emerge come percezione è rappresentato dall'esagono della fig. 3. Mentre nella parte A dell'immagine l'esagono emerge percettivamente in modo univoco, nella parte B esso viene mascherato da un particolare sistema di continuità delle linee che induce la percezione di un quadrato sovrapposto a un reticolato di rombi. Se tuttavia compiamo uno sforzo analitico, magari con l'aiuto di una matita che ne ripercorra il contorno, è facile verificare la presenza dello stimolo esagonale nella configurazione B, esattamente delle stesse dimensioni e dello stesso orientamento della configurazione A. La legge della sovrapposizione contribuisce a organizzare il campo sensoriale in una percezione ordinata in un modo che solitamente è adeguato rispetto ai dati di realtà, ma che costituisce anche la premessa per dar luogo a fenomeni di illusione percettiva. Una seconda legge di organizzazione percettiva della figura è data dall''area occupata'.
La zona distinta e/o delimitabile che occupi la minore estensione tende a essere colta come figura, mentre quella dotata di maggiore estensione verrà colta percettivamente come sfondo. Un esempio molto semplice è possibile ricavarlo da come vengono percepiti i quattro diametri tracciati in un cerchio nella fig. 4: se sono accostati fra di loro a coppie, è facile che venga colta come figura la parte racchiusa da essi e che quindi noi percepiamo un disegno a croce inscritto in un cerchio che fa a esso da sfondo. Se però aumentiamo la distanza fra le coppie di diametri, si crea a un certo punto una configurazione percettiva alternante: quando l'angolo che separa i diametri è di 45°, la percezione diventa instabile e possiamo cogliere l'immagine di una croce ortogonale o di una croce obliqua che abbia come sfondo degli spazi disposti in modo ortogonale.
La percezione si stabilizza se uno dei due settori assume delle qualità grafiche o cromatiche più ricche mentre l'altro resta bianco. In tal caso, viene colto come sfondo lo spazio bianco e come figura lo spazio tramato o colorato. Anche l'orientamento è importante: a parità di tutte le altre condizioni, le parti orientate sulla verticale e sull'orizzontale del punto di osservazione tendono a essere percepite come figure (Farné 1972). Se distanziamo i diametri del nostro esempio, ma avendo cura che le bisettrici degli angoli siano poste sulla verticale e sull'orizzontale, tenderemo a percepire come figura le parti 'larghe' e non quelle 'strette' interne al campo circolare e vedremo una croce simile a quella dei cavalieri Templari. Esiste poi il meccanismo di costituzione eidetica che è connesso non alla forma o alla disposizione del contorno ma alla sua modificazione nel tempo. Si tratta della legge di organizzazione percettiva sulla base del 'destino comune'. Se una tigre rimane immobile in mezzo a un canneto e la osserviamo di fianco a media distanza, è veramente difficile riuscire a distinguere le strisce ocra chiaro e ocra scuro della sua pelliccia in uno sfondo di canne di un colore molto simile. Sia le canne sia il mantello della tigre contengono elementi figurali verticali, del tutto simili sia per disposizione sia per colore. L'animale non è distinguibile perché non si costituisce come figura in mezzo allo sfondo delle canne. Se però la tigre comincia a spostarsi, la percepiamo immediatamente come figura in uno sfondo di canne, in quanto le strisce della sua pelliccia si spostano insieme (hanno appunto un destino comune), mentre le canne restano ferme oppure si scostano elasticamente al suo passaggio.
Tutti quelli che hanno un gatto possono osservare che la sua tecnica di caccia preferita, quando si accorge che nei dintorni compare una preda potenziale, consiste nel mantenere la più totale immobilità, come se si volesse rendere invisibile alla preda. Anche se non è del tutto chiaro se si tratti di un fatto istintivo di tipo automatico o di una condotta intenzionale, questo comportamento è una prova indiretta che la legge percettiva del destino comune è presente anche fuori della specie umana. Visto che la reazione difensiva dell'immobilizzazione ha un carattere generale (è cioè osservabile in moltissime specie di animali come risposta alla minaccia, in alternativa alla fuga e all'attacco), è lecito affermare che la legge del destino comune ha un carattere universale (Köhler 1929). L'universalità di questo meccanismo organizzativo del percetto implica anche la localizzazione subcorticale della sede della sua elaborazione (in quanto tale meccanismo è presente con certezza anche in esseri viventi privi di strutture corticali). Le aree delimitate da un contorno tendono a essere percepite come figure, il che è abbastanza ovvio poiché corrisponde a un'economicità di analisi dei dati sensoriali, ma il meccanismo della 'chiusura' funziona ancora nel costituire una figura anche quando la chiusura stessa è incompleta (Kanizsa 1980). La parte A dell'immagine della fig. 5 potrebbe essere colta come due lettere 'K' affrontate specularmente, oppure come un rombo con due rette passanti per due vertici opposti.
A imporsi nettamente è tuttavia solo quest'ultima percezione, la quale organizza come figura la zona chiusa del campo (il rombo). La parte B della stessa immagine è costituita, da un punto di vista sensoriale, da tre coppie di rette convergenti ad angolo. La percezione che rapidamente si impone è, tuttavia, quella di un triangolo con i lati parzialmente coperti. Grazie a questo meccanismo (di completamento mentale automatico) tre angoli acuti se ben disposti fra loro vengono percepiti non per ciò che sono in realtà, ma come se si trattasse di angoli di un triangolo equilatero. Chiaramente, perché questo meccanismo operi, è necessario che il prolungamento virtuale dei segmenti di retta visibili sia ben orientato e vada a coincidere con le linee esistenti (Kanizsa-Legrenzi-Sonino 1983). Ciò appare particolarmente evidente nel caso di segmenti di retta, come nel nostro esempio del triangolo, ma risulta anche possibile nel caso di segmenti di cerchio e di linee curve regolari segmentate. Il meccanismo del completamento riesce in tal caso a farci percepire delle figure che non esistono nella realtà sensoriale.
L'illusione percettiva è molto potente tanto che, come si può vedere nell'illustrazione tratta da un lavoro di G. Kanizsa (fig. 6), attraverso il gioco dei completamenti virtuali si crea non solo la percezione di una figura bianca che non esiste affatto nella realtà ma addirittura il suo bianco sembra più chiaro e brillante rispetto al bianco dello sfondo anche se essi sono fisicamente e sensorialmente identici. Con varianti di questa configurazione di elementi da completare è stato studiato da Kanizsa e dai suoi allievi anche il fenomeno della percezione di trasparenza, creando delle figure illusorie attraverso la delimitazione di zone con sfumature di grigio. Il motivo di queste percezioni illusorie risiede nell'ingestibilità della maggior parte dei dati sensoriali così come essi giungono tramite le vie afferenti. Come sappiamo, gli stimoli visivi, così come vengono elaborati dalla retina, si costituiscono in un'immagine invertita, speculare, distorta, instabile e oscillante, di nitidezza variabile da zona a zona e comprendente uno scotoma o punto cieco. La traduzione sensoriale diretta degli stimoli fisici provenienti dall'esterno risulterebbe quindi del tutto inadeguata per stabilire un corretto rapporto con la realtà.
La percezione, sia visiva sia di altro genere, integra e ordina le afferenze sensoriali e le trasforma da inconoscibili a conoscibili. Questa organizzazione del caos sensoriale opera nel modo più economico e semplice, secondo regole di buona forma, omogeneità, simmetria, continuità e costanza.
La prima legge che, in un certo senso, fornisce la chiave per comprendere l'intera logica della percezione è quella della semplicità o della 'buona forma'. In pratica essa sta a significare che gli stimoli sono organizzati percettivamente nella forma più semplice e lineare possibile. Per es., la figura che rappresenta un profilo irregolare, comprendente una parte quadrata e una curvilinea di tipo ellittico (fig. 7), viene percepita come un'ellissi parzialmente sovrapposta a un quadrato. Naturalmente, se compiamo uno sforzo mentale, è possibile anche percepire tre elementi distinti e irregolari (un quadrato sbocconcellato presso un vertice, un'ellissi tagliata da una parte ad angolo retto e una figura a contorno irregolare con un lato ellittico e due lati retti ortogonali), ma la percezione spontanea è la soluzione più semplice e sintetica, ovvero quella che dà luogo a due soli elementi regolari (il quadrato e l'ellissi parzialmente sovrapposti fra di loro).
La seconda legge è quella del 'raggruppamento per somiglianza'. In un insieme di elementi disposti in modo caotico quelli che si assomigliano fra loro tendono a essere percepiti come una forma e separati dagli altri, che diventano in tal modo lo sfondo (fig. 8). L'emergere percettivo della forma risulta naturalmente tanto più forte se alla somiglianza aggiungiamo anche altri fattori di organizzazione, come la simmetria, la vicinanza, la continuità, l'orientamento, il contrasto cromatico (Köhler 1929). Quando l'ambiente sensoriale è totalmente omogeneo e non esiste alcun punto che si distingua dall'altro, come quando siamo immersi nella caligine più fitta o abbiamo gli occhi schermati da un vetro opalino, si ha un cosiddetto campo vuoto (i gestaltisti lo hanno chiamato anche, con parola tedesca, Ganzfeld).
Le leggi della percezione sono così potenti che dopo qualche secondo il Ganzfeld si organizza, con il soggetto che comincia a percepire la terza dimensione come se fosse inserito all'interno di una sfera con le pareti traslucide (Merleau-Ponty 1945). Questa legge di organizzazione del percetto, ancorandosi a un aspetto saliente (come la simmetria, la chiusura, la vicinanza ecc.) del campo sensoriale, è connessa a quella del vantaggio mnestico della salienza. Infatti l'acquisizione e registrazione in memoria di una serie di stimoli è facilitata per gli elementi della serie che risaltano sugli altri o per la loro posizione nella serie (all'inizio e alla fine) o perché in qualche modo risaltano percettivamente rispetto al resto. Dal momento che ovviamente è molto più facile memorizzare le cose che si capiscono rispetto a quelle confuse o che non si capiscono, le stesse leggi della percezione (che sono le leggi grazie alle quali noi disponiamo in una forma coerente e ordinata il caos sensoriale) sono all'opera sia durante la fase acquisitiva della memorizzazione, sia nel riconoscimento e nel recupero (Bozzi 1989). La terza legge generale che informa la logica dell'organizzazione percettiva è quella della 'buona continuazione'. Come si può infatti vedere in fig. 9, noi percepiamo spontaneamente e immediatamente due linee punteggiate serpeggianti (una che congiunge 1 a 2 e l'altra 3 a 4) ed è solo imponendoci di vedere qualcos'altro che possiamo anche percepire due linee diverse (da 1 a 4 e da 3 a 2). Da un punto di vista sensoriale si tratta di organizzazioni entrambe presenti nello stimolo e fisicamente equipollenti, ma solo quella più semplice e meno discontinua s'impone percettivamente.
Tale legge si può anche definire della continuità di direzione. A parità di tutte le altre condizioni s'impone come unità percettiva quella il cui margine offre il minor numero di cambiamenti o interruzioni (Cesa Bianchi-Beretta-Luccio 1970). Nella fig. 10 A percepiamo una linea curva che si sovrappone a una greca e non tre unità percettive distinte come nella fig. 10 B: il fattore forma chiusa è stato vinto nel primo caso da quello della continuità di direzione, mentre nel secondo caso ha prevalso l'associazione per comunanza cromatica.
La percezione del movimento si collega direttamente a quelle della distanza e della profondità di un oggetto visivo. Possiamo percepire un oggetto in movimento verso di noi, per es., se la sua immagine proiettata sulla retina diventa sempre più grande. Un esempio: quando percorriamo una strada alberata con l'automobile, e vediamo gli alberi diventare sempre più grandi man mano che procediamo. Tale affermazione può sembrare logica ma in realtà non è esatta. Per convincersene basta fare un esperimento molto semplice. Chiudiamo un occhio e guardiamo con l'altro una coppia di dischi chiari posta in una stanza in penombra. Dopo un po' chiediamo a chi tiene i dischi con un cavo sottile e invisibile (e che deve essere fuori dal nostro campo visivo, perché altrimenti l'esperimento non riuscirebbe) di muovere avanti e indietro solo uno dei due dischi. A questo punto avremo l'impressione non che un disco sia fermo e l'altro si muova, ma che uno resti stabile e l'altro diventi più grande e più piccolo in modo alterno, come se 'respirasse'.
Anche se sappiamo perfettamente che ciò non può essere vero, la percezione incoercibile è proprio questa: vediamo un disco che si gonfia e si sgonfia alternativamente. Questo fenomeno è dovuto al fatto che la nostra situazione sperimentale (usare un occhio solo, dei dischi chiari e senza disegni o scritte poste su di essi da mettere a fuoco, un ambiente con una penombra omogenea e senza altri oggetti visibili) ha abolito tutti gli indizi fisiologici e pittorici di profondità e distanza. In mancanza di questi indizi il nostro cervello si orienta sulla base dell'unico dato che varia, la grandezza dell'oggetto proiettato sulla retina, e percepisce deduttivamente un disco a distanza fissa da noi (in quanto mancano indizi di movimento), ma che muta di grandezza (poiché la sua immagine sulla retina muta di grandezza). Alcuni degli indizi di profondità sono fisiologici, cioè legati ai meccanismi sensoriali.
Questi sono: la messa a fuoco della lente dell'occhio (fino alla distanza di circa 6 m il cristallino si deforma per poter mettere a fuoco, mentre dopo i 6-8 m fino all'infinito non esiste più alcuna accomodazione); l'effetto di parallasse (le immagini fornite dai due occhi sono sfalsate, perché ognuno di essi vede la stessa cosa lungo un asse parallelo e distanziato di qualche centimetro; ma questo sfalsamento di parallasse è avvertibile solo per gli oggetti vicini e inavvertibile o nullo per quelli lontani). Con la visione monoculare eliminiamo, ovviamente, l'effetto di parallasse. Se i due dischi del nostro esperimento sono privi di irregolarità nella loro superficie e se sono posti, comunque, a una distanza superiore ai 6 m, non c'è nessuna variazione avvertibile nella messa a fuoco.
Oltre a quelli fisiologici esistono anche gli indizi di profondità o tridimensionalità 'pittorici' e 'psicologici': 1) la grandezza relativa: a parità delle altre condizioni, l'oggetto più grande viene percepito come più vicino; questo fattore è però il frutto di una relazione, di un confronto fra la grandezza dell'oggetto e altri elementi del campo; se il campo è vuoto e omogeneo, come nel nostro semplice esperimento, l'immagine più grande (perché il disco è stato avvicinato a noi) non sembra più muoversi ma dilatarsi; 2) la luminosità: l'oggetto più luminoso appare come più vicino (così, per es., una luce che si accende e si spegne alternativamente ci appare anche in movimento oscillante avanti e indietro); 3) la prospettiva aerea e lineare: gli oggetti più nitidi e brillanti (con meno 'foschia') sono percepiti più vicini, e gli oggetti che hanno una trama di punti e linee più fitta, ovvero che sono più prossimi alla zona di convergenza delle linee di fuga della prospettiva lineare, appaiono più lontani. Questi indizi sono detti pittorici perché, come si vede nelle figg. 11 A e 11 B, con il loro utilizzo si può riprodurre in una pittura o disegno bidimensionale l'effetto percettivo della terza dimensione, della profondità. Sono detti anche indizi psicologici perché rispecchiano il funzionamento della mente nell'organizzare ed elaborare i dati sensoriali, a differenza degli indizi fisiologici i quali rispecchiano i meccanismi di cattura del segnale visivo da parte dei recettori sensoriali.
Gli indizi fisiologici di profondità sono assai meno forti di quelli psicologici e in caso di contrasto prevalgono sempre i secondi sui primi. Le leggi gestaltiche della percezione non dipendono dall'esperienza, ma sono autonome rispetto a essa e presenti fin dalla nascita. Dato che queste leggi derivano da fattori di organizzazione che sono interni all'architettura del funzionamento percettivo e non generati da apprendimenti oppure da esperienze esterne, sono anche dette 'fattori autoctoni'.
Una prova logica che le leggi della percezione scoperte e indagate dagli studiosi della Gestalt sono fattori autoctoni e non legati all'esperienza sta naturalmente nel fatto, ripetutamente dimostrato, che anche i neonati o i bambini molto piccoli percepiscono la realtà secondo queste regole. Un'ulteriore prova sta nel fatto che talvolta le leggi percettive ci fanno cogliere le cose non come sono nella realtà oggettiva, ma in netto contrasto con l'esperienza e con la logica: in alcuni casi si ha una presenza fenomenica in assenza di un oggetto, in altri una distorsione fenomenica, ovvero una presenza nel fenomeno di qualità distorte rispetto alla realtà oggettiva. Le 'illusioni di movimento' rappresentano questa seconda classe di fenomeni percettivi; in particolare, esse corrispondono alla fenomenologia percettiva di uno spostamento dell'oggetto in realtà bidimensionale nella terza dimensione (come nel caso dei fenomeni stereocinetici), oppure alla fenomenologia di spostamento fluido di un'immagine mentre in realtà esiste una sequenza di immagini fisse, come nel caso dei fenomeni stroboscopici e del cinematografo (Bruno-Gerbino 1991).
Le illusioni di questo tipo sono innumerevoli; qui ci limiteremo a descrivere le più note e meglio studiate. Una di esse è l'illusione di movimento o del movimento stroboscopico. Se accendiamo in rapida sequenza due lampadine (prima una e poi l'altra alternativamente) e se queste lampadine non sono troppo distanti fra loro, invece di vedere ciò che avviene nella realtà (due punti luminosi fermi che si accendono in modo alterno) vedremo un unico punto luminoso che si sposta da una posizione all'altra. Il meccanismo di questa illusione è lo stesso del cinematografo o di certe scritte luminose pubblicitarie che sembrano spostarsi su tabelloni costituiti, in realtà, da centinaia di piccole lampadine che si accendono in serie. Perché si percepisca il movimento sono necessarie delle condizioni ottimali. Se la cadenza di accensione è troppo lenta l'illusione non si crea. Se, per es., la cadenza è 1/3 di secondo avremo una visione separata nel tempo di due stati immobili: non avremo l'effetto del cinema, ma quello di una proiezione veloce di diapositive.
Se acceleriamo un poco la cadenza (per es. fino a 10 volte al secondo, ovvero circa 100 ms per ogni accensione singola), l'illusione di movimento compare ma è incostante, innaturale e a scatti. Il movimento illusorio ricorda quello di un manichino spostato da un ingranaggio a ruota dentata o quello della lancetta che segna i secondi in un orologio da polso. In realtà siamo ancora capaci di separare le immagini ferme, ma ci troviamo proprio al limite estremo di questa capacità di discernimento separativo. Il risultato è un movimento burattinesco, come in certi vecchi film muti a passo ridotto. Intorno ai 60 ms di intervallo (che corrisponde cinematograficamente a cadenze di proiezione intorno ai 18 fotogrammi al secondo) l'illusione di movimento è invece fluida. Se acceleriamo ancora la cadenza (per es. se accendiamo e spegniamo le lampadine con intervalli al di sotto di 20 ms), l'effetto percettivo è quello di vedere diversi punti contemporaneamente illuminati ma con un'oscillazione di intensità. Il fenomeno stroboscopico coincide quindi con una cadenza ottimale della presentazione in serie delle singole immagini. La cadenza di oscillazione ottimale coincide, a sua volta, con il tempo di trasmissione del segnale fra un neurone e l'altro, che è in media di 55 ms. Il suddetto fenomeno si presenta anche se le immagini non sono identiche fra loro: in tal caso avremo la percezione di movimento di un'immagine che si deforma (come accade, per es., con le sequenze di cartoni animati disegnate a mano).
Come osservò M. Wertheimer (1923), esiste una relazione fra distanza angolare, intensità degli stimoli e cadenza di presentazione perché si realizzi la 'fusione' delle immagini staccate in una percezione illusoria di movimento. Va ricordato che anche nel caso del movimento fisico l'impressione fenomenica di movimento si produce nello stesso modo: per 'fusione' di immagini spazialmente dislocate in successivi intervalli di tempo, dipendenti da stimolazioni successive e disparate che si proiettano in diversi punti del mosaico di cellule retiniche. La percezione illusoria di movimento si crea quindi quando l'insieme dei segnali avviati alla corteccia visiva assume la stessa configurazione e la stessa dinamica dei segnali che deriverebbero da un movimento reale.
Viceversa, se introduciamo in una situazione di movimento reale stimolazioni interferenti, avremo la distorsione percettiva di questo movimento: una percezione illusoria di movimento. Un semplice esempio di questo tipo di distorsione si ha con le luci ritmate e intense delle discoteche, che generano l'illusione incoercibile di un movimento a scatti e frazionato, ove in realtà il movimento è fluido e continuo ma rimane per intervalli al di sotto della soglia sensoriale. Un'ulteriore dimostrazione di questa dissociazione fra fenomenologia e realtà oggettiva del movimento è offerta dal fenomeno del trapezio rotante (Canestrari 1955). Se una figura a forma di trapezio isoscele viene fatta ruotare attorno a un asse verticale parallelo alle basi ed è osservata a una distanza di alcuni metri, la percezione che ne risulta non è di rotazione ma di oscillazione a destra e a sinistra come se fosse una finestra che sbatte per il vento. Si tratta della cosiddetta finestra di A. Ames (fig. 12).
Il meccanismo di quest'illusione percettiva risiede nella compresenza e congruenza di forti e coerenti indizi di profondità. Dato che esistono un lato più lungo e uno più corto, delle linee convergenti che formano una prospettiva lineare, dei gradienti di chiaroscuro ecc., una parte della figura (quella con il lato più lungo) viene percepita come più vicina e un'altra come più lontana. Quando la figura bidimensionale è posta in movimento rotatorio, sulla nostra retina si proiettano sempre (a parte i brevi istanti di sovrapposizione lineare dei lati esterni, che si attua quando la figura rotante è vista di taglio) una parte che appare grande e vicina e una che appare piccola e lontana. La parte che appare vicina (a sinistra nel caso del disegno di fig. 12) oscilla tra sinistra e destra. Il risultato di tutti questi indizi di profondità convergenti è una percezione, illusoria ma coercitiva, di oscillazione o sbattimento.
Tutte le volte che facciamo ruotare una configurazione contenente un indizio di profondità (luce/ombra, convergenza di linee, sovrapposizione, gradiente di densità di punti ecc.) non percepiamo quindi una rotazione ma un'oscillazione. Perché si generi tale oscillazione illusoria è tuttavia necessario abolire qualunque indizio percettivo dell'effettiva rotazione: la figura deve essere alla distanza di alcuni metri (in modo tale che la definizione ottica dell'immagine non permetta di cogliere dei particolari in movimento rotatorio); l'asse di rotazione deve essere invisibile oppure assolutamente privo di irregolarità. I fenomeni stereocinetici (Musatti 1924) consistono nella creazione della percezione illusoria di tridimensionalità di figure piane poste in movimento, oppure nell'induzione percettiva di un movimento relativo fisicamente inesistente in due figure solidali poste in moto rotatorio.
Un esempio del primo tipo è dato da una figura estremamente semplice, quale un cerchio che contenga in una parte periferica un cerchio molto piccolo o un punto. Se facciamo ruotare con moto regolare l'intera figura (illuminata in modo frontale, e collocata a una distanza tale da non cogliere le irregolarità della trama superficiale della carta), avremo la percezione di un cono che ha come vertice il punto e che presenta un moto oscillatorio (fig. 13 A). Questo fenomeno viene rinforzato se la figura comprende delle sfumature di chiaroscuro, oppure se dal punto si dipartono delle linee divergenti. Un esempio del secondo tipo (fig. 13 B) è dato da due anelli metallici che siano saldati in un punto di contatto e disposti in modo tale che uno dei due sia giacente sull'orizzontale e l'altro saldato sul primo e giacente su di un piano con un'angolazione acuta preferibilmente inferiore ai 45° rispetto all'orizzontale. Se facciamo ruotare questa configurazione geometrica, il dato fisico è quello di un cerchio metallico orizzontale che mantiene la stessa posizione, e di un cerchio angolato che si sposta circolarmente nello spazio e il cui diametro percorre il profilo di un conoide con una base pari al primo cerchio.
La fenomenologia percettiva è invece quella di un cerchio che 'cade' con un movimento a trottola e che tocca il cerchio orizzontale in punti sempre diversi dell'intera sua circonferenza. Sono possibili numerosissime altre variazioni della stessa classe di fenomeni stereocinetici. Se, per es., il cerchietto della prima figura viene inscritto in una fascia concentrica di tipo regolare e facciamo ruotare la configurazione così ottenuta, la percezione non sarà più stereoscopica ma del semplice movimento rotatorio del puntino nel mezzo di una fascia circolare immobile. Con una particolare grafica del chiaroscuro sarà possibile ricreare l'effetto stereocinetico ma a prospettiva invertita, ovvero come se il cono non avesse il vertice rivolto verso di noi e sporgente ma nella direzione contraria e 'scavato' al di là del piano del cerchio.
L'analisi dettagliata della fenomenologia di queste illusioni stereocinetiche dimostra che le configurazioni di segnali visivi che determinano l'illusione della profondità o inducono una qualificazione illusoria e distorta del movimento sono del tutto identiche alle configurazioni dei segnali dei corrispondenti movimenti fisici veri o degli oggetti tridimensionali oscillanti veri. Il meccanismo responsabile dell'illusione fenomenica è quindi lo stesso che abbiamo già individuato nei fenomeni stroboscopici. Entrambi i meccanismi hanno una sede corticale e dipendono dal sistema automatico di traduzione di analoghe configurazioni sensoriali in una sintesi percettiva cosciente.
Le illusioni ottico-geometriche consistono nella percezione distorta dei rapporti spaziali e geometrici fra gli oggetti. È importante rammentare che la grandezza percettiva non è data dalla grandezza reale dell'oggetto né dalla grandezza dell'immagine proiettata sulla retina, ma dalla sua distanza apparente da noi, che è collegata al rapporto fra l'oggetto e il contesto di riferimento percettivo. Un oggetto che si allontana da noi diventa 'oggettivamente' sempre più piccolo (in quanto l'immagine che si proietta sulla retina si rimpicciolisce progressivamente), ma da un punto di vista percettivo e fenomenico mantiene una grandezza costante (fig. 14 A, B). Esso è visto in costanza di grandezza non perché stiamo facendo un qualche ragionamento ma perché il nostro sistema nervoso compie un continuo confronto fra lui e gli oggetti che gli sono prossimi. Un personaggio che si allontana diventa sempre più piccolo, quanto a immagine sulla retina, ma ci appare sempre della stessa grandezza poiché resta invariato il rapporto dimensionale fra lui e gli oggetti che gli sono accostati via via nel campo.
Un esempio molto spettacolare del fatto che la grandezza apparente è legata al confronto con gli oggetti più prossimi lo abbiamo con la camera distorta. Come indicato nella fig. 15, noi vediamo un uomo incredibilmente piccolo e un bambino gigantesco. Se facessimo camminare l'uomo da sinistra verso destra, lo vedremmo aumentare di grandezza fino a non poter più stare ritto nella camera. Vista con un solo occhio attraverso un forellino questa camera ci appare perfettamente rettangolare, con due finestre e due porte eguali fra di loro. In realtà, come si può notare chiaramente dalla fig. 16 in cui la camera è vista dall'alto, essa è completamente distorta. L'apparente regolarità della camera fa da schema di riferimento e la grandezza degli oggetti che si spostano al suo interno è del tutto secondaria e dipendente da esso.
Quindi la nostra esperienza passata (che una persona non può essere grande la metà di un bambino, o che non muta di grandezza camminando) non ha alcuna influenza sulla fenomenologia della percezione. Di solito, non esiste contraddizione fra i dati oggettivi fisici e la nostra percezione perché, come nel caso della costanza di grandezza con l'allontanarsi o avvicinarsi a noi di un oggetto, lo schema di riferimento è oggettivamente regolare e non distorto. Potremmo quindi essere portati a credere che nella realtà di tutti i giorni, senza cioè artifici come quello della camera distorta, ciò che percepiamo sia precisamente e del tutto aderente alla realtà. Questa teoria ingenua della percezione come ricostruzione realistica non tiene conto del fatto che ogni parte di un oggetto o di una figura diventa un microschema di riferimento per la percezione delle altre parti. Esistono quindi numerosissime possibili condizioni di discrepanza fra l'oggetto percepito e il corrispondente oggetto fisico. Questo è un aspetto che verifichiamo costantemente, non in laboratorio, ma in condizioni naturali e quotidiane. I fenomeni più conosciuti di questo tipo sono le illusioni ottico-geometriche. La fig. 17 illustra l'effetto del contesto e dello sfondo sulla percezione della luminanza di una figura.
L'area circolare al centro del campo ha in effetti la stessa luminanza fisica ma la percezione che ne abbiamo è contestualizzata, ovvero essa appare più chiara se posta su uno sfondo relativamente più scuro. Nella fig. 18 (illusione di G. Giovannelli) una linea punteggiata perfettamente rettilinea presenta delle sinuosità a livello percettivo, grazie a un meccanismo di distorsione contestuale che opera, in questo caso, non a livello di luminosità ma di orientamento. Ogni singolo punto si trova nell'interno di un cerchio e in prossimità della sua periferia. Ogni singolo cerchio agisce quindi come sfondo di orientamento dell'elemento puntiforme. Dato che la disposizione dei cerchi è irregolare e sinuosa, anche la percezione della serie di punti risulta parimenti sinuosa e irregolare.
La percezione uditiva può essere analizzata e studiata, come abbiamo già visto per la percezione visiva, sia confrontando i dati sensoriali con la configurazione percettiva finale, sia esaminando l'importanza del fattore temporale per l'elaborazione di attributi percettivi. Nel caso delle forme visive, il fattore tempo è alla base della percezione di movimento e dell'attribuzione della tridimensionalità a insiemi di segnali visivi bidimensionali.
Nel caso dei suoni, il fattore tempo contribuisce all'orientamento spaziale e alla localizzazione della fonte del suono e, insieme, costituisce un fattore per percepire una qualità del suono che è assente a livello meramente sensoriale, come il ritmo, l'armonia, la variazione melodica ecc. Il fatto che l'esperienza musicale sia il frutto di un'interazione e di una sintesi percettiva delle componenti sensoriali elementari è ben noto. Nel caso della musica, in altre parole, la coscienza e la fenomenologia percettiva seguono regole di organizzazione del tutto analoghe a quelle che la scuola della Gestalt ha riconosciuto essere alla base della percezione visiva, come quelle della costanza di forma e di grandezza, di simmetria, di buona forma, di costanza di colore (in tal caso riferentesi alla stabilità cromatica tonale).
Sono inoltre presenti delle discrepanze sistematiche fra i dati sensoriali elementari e la loro organizzazione percettiva, che si configurano come vere e proprie illusioni uditive e che sono di rilevante importanza nell'armonizzazione della musica sinfonica (Ansermet 1985). La significatività dell'esperienza musicale deriva da una serie di attributi assenti nel singolo elemento sensoriale ma che risultano dall'associazione e combinazione percettiva. Combinando frequenza, ampiezza e periodi (fase) si hanno supporti materiali sensoriali atti a formare modelli complessi che sono a fondamento dell'espressività e del significato musicale. L'emozione musicale si basa sulla comprensione, la quale può servire di esempio per intendere i meccanismi generali della percezione uditiva. Il suono isolato presenta già delle differenze di intensità e di altezza tonale. Ogni singolo strumento (ivi compresa la voce umana nel canto) modifica le qualità del suono grazie alle armoniche (le onde di risonanza che si associano alla nota elementare e che sono in rapporto con la forma e il materiale della cassa di risonanza dello strumento) e agli attacchi.
Questo insieme di attributi secondari contribuisce a determinare il timbro musicale (Mozart chiamava 'violino di burro' il suo strumento preferito, a causa del timbro). La densità sonora esprime l'impressione prodotta dalla compressione o dispersione dell'onda, il volume l'impressione del suono pieno o stridente, la brillanza l'impressione derivante dalla secchezza e compiutezza di contorno di un suono. Va infine rimarcato che la consonanza si costituisce come processo di fusione, grazie al quale l'accostamento di due o più suoni dà luogo a una sensazione gradevole per il nostro orecchio (Bregman 1990). Tuttavia l'integrazione di queste qualità del suono non è altro che la condizione preliminare di una comprensione musicale propriamente detta. L'autentica emozione musicale nasce dalla trasformazione di modelli in un'emozione connessa a un significato. A essa si associano, come è dimostrato dai gesti del direttore d'orchestra, rappresentazioni spaziali sinestesiche e immaginarie. Questa rappresentazione non verbale permette di fornire un'immagine concreta a una struttura cognitiva ed emozionale e la sua ricchezza supera di gran lunga le possibilità di rappresentazione verbale dei fenomeni fisici. In altre parole, il linguaggio verbale permette di tradurre in immagine emozioni e concetti, di rappresentarli e trasmetterli, solo facendo riferimento a una serie limitata di convenzioni espressive e lessicali, mentre il linguaggio musicale (non verbale) costituisce una forma di veicolazione del significato e delle emozioni molto più libera e quindi più ricca (Ehrenzweig 1953). Questo non vuol dire che non esistano convenzioni espressive musicali (cioè codici musicali che definiscono culturalmente le modalità stilematiche considerate più appropriate a veicolare determinati significati musicali). Esistono infatti convenzioni di origine culturale che definiscono lo stile musicale 'drammatico', 'comico', 'folcloristico' ecc. Quando queste convenzioni sono molto rigide impoveriscono la ricchezza espressiva della produzione musicale, poiché introducono nella musica le costrizioni del rapporto fra significante e significato, con codificazioni che sono quelle proprie di un codice linguistico.
È possibile rintracciare un esempio di questo genere di costrizione espressiva delle forme musicali negli schemi di definizione di genere (come la musica sacra, la musica folclorica ecc.). Tale costrizione si spinge fino all'esclusione di alcuni strumenti e timbri musicali, oppure all'inclusione fissa di stilemi predeterminati e 'canonici'. In questo modo la gamma espressiva della creazione musicale viene ristretta e ricondotta, tendenzialmente, alla relativa semplicità che è il proprium di un codice convenzionale linguistico. Alcuni autori (Moles 1958; Bruhn-Örter-Rösing 1985) hanno osservato che esistono delle strutture musicali 'rigide' non solo in rapporto a convenzioni culturali, ma anche in relazione alla produzione spontanea, per quanto riguarda sia la musica non 'colta' o musica popolare sia, in particolare, le filastrocche infantili. La struttura semplice e ripetitiva di queste ultime sembra determinata dall'accesso facilitato ad alcune disposizioni dei suoni e presenta delle spiccate caratteristiche di omogeneità e ripetibilità anche all'interno di culture e sistemi di trasmissione delle conoscenze completamente prive di contatti e geograficamente isolate le une dalle altre.
In altre parole, alcune strutture musicali semplici sembrano corrispondere a regole di organizzazione direttamente connesse alle leggi della percezione musicale, così come alcune strutture del linguaggio si presentano quali invarianti e universali, poiché discendono dalle regole procedurali e logiche della strutturazione cognitiva del linguaggio stesso (Lorenzetti-Antonietti 1986). Come vi sono universali linguistici e caratteristiche universali nelle fasi dello sviluppo del linguaggio, così c'è una particolare modalità di esecuzione linguistica che facilita la comunicazione con il bambino piccolo (baby talk). Allo stesso modo sembrano esistere sia una sequenza evolutiva fissa e universale della percezione musicale, sia una particolare disposizione delle note e dei ritmi che rende fruibile e comunicativa, in termini espressivi ed emozionali, la struttura musicale e il canto per i bambini piccoli (la musica delle nenie, delle filastrocche, dei giochi infantili ecc.).
Un altro importante aspetto della percezione uditiva riguarda l'utilizzo della disparità di scansione temporale del suono per localizzare la fonte del suono stesso e la sua collocazione nello spazio. Si tratta, in perfetta analogia con la disparità di parallasse per la percezione della distanza di uno stimolo visivo, dell'utilizzo della sensazione binaurale per decidere sulla localizzazione della fonte sonora. Essendo posti ai lati del capo, i due organi dell'udito ricevono ognuno un'immagine sonora discrepante dall'altro, a seconda della direzione della fonte. Se, per es., la fonte sonora è alla nostra destra, l'immagine sonora di destra è d'intensità maggiore (perché più vicina alla fonte) e presenta un piccolo anticipo temporale rispetto a quella di sinistra. Inoltre la testa fa da schermo o da ostacolo fisico per cui l'immagine sonora di sinistra ha anche delle qualità timbriche leggermente diverse (esistono fenomeni di risonanza armonica e di trasmissione mista del suono sia attraverso l'aria intorno alla testa sia attraverso le strutture ossee del cranio).
Il suono che arriva alle due orecchie presenta quindi sia uno scarto temporale sia un diverso profilo tonale e timbrico. I neuroni corticali operano un'analisi molto fine sia dello scarto temporale (possono percepire una differenza di tempo di arrivo pari a circa 1/10.000 di secondo), sia della composizione armonica (in condizioni ottimali sono distinte anche le armoniche di terzo livello, che sono associate a un'ampiezza fisica pari a meno di un centesimo della forma base dell'onda sonora). Se tuttavia la fonte sonora è posta davanti o dietro di noi, essa diventa equidistante rispetto alle due orecchie, e quindi non è più possibile decidere percettivamente sulla sua localizzazione nello spazio. È per tale motivo che in questi casi, con ogni probabilità, cominciamo a oscillare lateralmente la testa. Con questa semplice manovra, che viene condotta automaticamente, si stabilisce una variazione della distanza relativa fra la fonte sonora e i due organi dell'udito, ottenendo così una percezione tridimensionale e una sua localizzazione spaziale.
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