percuotere [sempre dittongate le forme toniche, ma v. Petrocchi, Introduzione 428]
Appartiene quasi esclusivamente al linguaggio poetico.
Nella sua accezione fondamentale, con soggetto di persona, vale " battere ", " colpire ", e indica un'azione violenta e crudele, spesso iterata. Per il fatto stesso di risvegliare l'idea di un comportamento violento, ricorre di preferenza nell'Inferno, là dove la fantasia e la coscienza morale-estetica di D. individuano con drastica e immediata concretezza una realtà futile e volgare: Così parlando il percosse un demonio / de la sua scurïada (If XVIII 64); nella descrizione della lite fra mastro Adamo e Sinone, l'un [Sinone]... / col pugno li percosse l'epa croia / ... e mastro Adamo li percosse il volto / col braccio suo (XXX 102 e 104); nell'aspra rappresentazione degl'iracondi, fissati nel loro gesto con spiccato senso figurativo: Queste si percotean non pur con mano, / ma con la testa e col petto e coi piedi (VII 112).
Allorquando D. urta con il piede la testa di Bocca degli Abati, data la dubbia interpretazione di ‛ volere ', il contesto non consente di accertare se quel colpo sia rappresentato come più o meno inconsciamente voluto; al verbo, già di per sé sintatticamente singolare per l'uso del complemento oggetto della cosa con cui si colpisce, dovrà pertanto essere attribuito più il valore di " urtai " che non quello di " colpii ": XXXII 78 se voler fu o destino o fortuna, / non so; ma passeggiando tra le teste, / forte percossi 'l piè nel viso ad una; vale invece " colpire " al v. 89 Or tu chi se' che vai per l'Antenora, / percotendo... altrui le gote...? Non molto diverso If XIV 54 Giove... / prese la folgore aguta / onde l'ultimo dì percosso fui.
Nell'ambito dell'ampia, e discussa, divagazione astronomica posta a proemio di Pg IX è ricordata una costellazione in figura del freddo animale / che con la coda percuote la gente (v. 6). La costellazione è intesa da alcuni commentatori moderni (Vandelli, Steiner) per quella dei Pesci; sembra però più opportuno riconoscervi lo Scorpione, in accordo con l'unanime interpretazione dei chiosatori antichi (" lo scorpio... è freddo animale di sua natura, e però la sua puntura è venenosa e ... colla punta della coda punge e nuoce alla gente ", Anonimo), avvalorata dalla corrispondenza dell'espressione con Plinio Hist. XXVIII III 32 " percussum a scorpione " e con Apoc. 9, 5 " cruciatus scorpii, cum percutit hominem " (per la questione, cfr. Chimenz; A. Camilli, La cronologia del viaggio dantesco, in " Studi d. " XXIX [1950] 78).
Dal verbo esula ogni idea di violenza allorquando è usato con riferimento al gesto simbolico-rituale di " battersi " il petto in segno di pentimento: Pd XXII 108 io piango spesso / le mie peccata e 'l petto mi percuoto. Più che l'eco da Luc. 18, 13 " percutiebat pectus suum ", occorre osservare come quando il gesto, differentemente che non qui, non è trasferito a metafora, D. usi le locuzioni ‛ battersi il petto ' (Pg VII 106) e ‛ darsi nel petto ' (IX 111).
Metaforicamente è usato con riferimento alle ferite d'amore patite dall'uomo, secondo una tematica che risale al Guinizzelli (cfr. Dolente, lasso, già non m'asecuro 2 ss.): Rime CIII 35 E' m'ha percosso in terra, e stammi sopra / con quella spada ond'elli ancise Dido, / Amore; e così CXVI 53.
Altre volte vale " mandare una cosa a battere contro un'altra ", " scagliare ": If XXX 11 [Atamante] prendendo l'un ch'avea nome Learco / ... rotollo e percosselo ad un sasso, che è stringata derivazione dell'aneddotica ovidiana (Met. IV 518-519 " more rotat fundae rigidoque infantia saxo / discutit ora ferox "). In V 33 La bufera infernal... / mena li spirti con la sua rapina; / voltando e percotendo li molesta, indica l'urto fisico delle masse d'aria sulle anime e, anche, il cozzare degli spiriti fra loro. Ha valore pregnante anche nella profezia della morte di Corso Donati. Secondo la narrazione di G. Villani (VIII 96), Corso, gettatosi o caduto da cavallo mentre era condotto prigioniero a Firenze, fu finito da un colpo di lancia; D., forse alludendo alla pena inflitta ai traditori, immagina che il Donati venisse legato alla coda di una bestia (cavallo o mulo) e poi strascinato fino a essere ucciso: Pg XXIV 86 La bestia ad ogne passo va più ratto / ... fin ch'ella il percuote, / e lascia il corpo vilmente disfatto; il verbo varrà " lo uccide ", colpendolo essa stessa con i suoi calci e sbattendolo contro il terreno. Altro esempio in Pd XVIII 100 nel percuoter d'i ciocchi arsi / surgono innumerabili faville, allorquando " Si battono l'uno contro l'altro " due ciocchi.
Ha valore metaforico in Cv IV VII 5 questa populare oppinione... percuot [o] fuori di tutto l'ordine de la riprovagione, " la colpisco " riprovandola con sdegno.
Quando è retto da soggetto inanimato, per lo più indica urto violento e vale " andare a colpire ": If XXVI 138 de la nova terra un turbo nacque / e percosse del legno il primo canto. Altri esempi in XII 5 e Pd XII 49.
Può indicare anche urto non violento: Pd XIV 3 Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro / movesi l'acqua in un ritondo vaso, / secondo ch'è percosso fuori o dentro; la variante percossa, accolta dalla '21 e dal Casella, è giustificata da Casini-Barbi con la considerazione che " l'effetto è sempre risentito dall'acqua anche se non questa, ma il vaso sia percosso esternamente ". In Cv III IX 8 la possibilità che ha l'occhio di creare in sé le immagini è spiegata con il fatto che l'umor acqueo è ‛ terminato ' dalla retina opaca, sì che passar più non può, ma quivi, a modo d'una palla, percossa si ferma. Altro esempio in Pg VIII 30.
Usato metaforicamente indica l'impeto con il quale il segno dell'aquila imperiale, impugnato da Cesare, si abbatté su Farsalo e mise in rotta Pompeo: Pd VI 65 [il] sacrosanto segno... / Farsalia percosse. Pari vigore il verbo ha nell'ammonimento rivolto da Cacciaguida a D. perché la sua poesia si faccia severa banditrice di un alto ammonimento ai potenti della terra: Questo tuo grido farà come vento / che le più alte cime più percuote (XVII 134).
Il verbo è largamente usato per esprimere la subitaneità di una sensazione che colpisca con una certa violenza e con immediatezza un organo sensoriale: If V 27 or son venuto / là dove molto pianto mi percuote; Pg XVII 41 Come si frange il sonno ove di butto / nova luce percuote il viso chiuso. E così If VIII 65, Pg XV 23, XVII 44, XXXII 11; vada qui anche XXXIII 18 [Beatrice] con li occhi li occhi mi percosse, " mi ferì " con il fulgore del suo sguardo.
L'ultimo esempio citato s'inserisce nella tematica stilnovistica della sopraffazione luminosa subita dall'uomo quando guarda la donna o se è guardato da lei. A questo motivo topico della lirica d'amore si collega Pg XXX 40 ne la vista mi percosse / l'alta virtù che già m'avea trafitto quando Beatrice era viva; poiché la costruzione ‛ p. in una cosa ' nel senso di " colpirla " è attestata più volte quando il verbo è intransitivo, come osserva giustamente il Chimenz, è poco " probabile che ne la vista sia determinazione temporale, o strumentale, o di limitazione (‛ quando la vidi ', ‛ per mezzo della vista ', ‛ al solo vederla ') ".
Alla medesima accezione si collega l'esempio di Pd XXXIII 140; allorquando stanno per compiersi per lui l'arcana visione di Dio e il raggiungimento della suprema letizia del totale appagamento dello spirito, D. vuole intendere come l'umanità si congiunga alla divinità in Cristo: ma non eran da ciò le proprie pènne; / se non che la mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne: " atto di grazia che è fulgorazione improvvisa di verità: sùbita luce nel lampo che acceca " (M. Casella, Lett. dant. 2036).
È merito del Porena, poi ripreso dal Chimenz, l'aver rilevato l'ambiguità sintattica che p. presenta in Pd XII 100 ne li sterpi eretici percosse / l'impeto suo più vivamente quivi / dove le resistenze eran più grosse. Qui percosse può essere usato come transitivo e avere per soggetto s. Domenico come si mosse del v. 98, e in questo caso significherebbe " scagliò con violenza " (il suo impeto); ma soggetto potrebb'essere anche l'impeto suo, nel qual caso il verbo avrebbe valore intransitivo e il significato di " si abbatté "; fra le due interpretazioni, il Chimenz preferisce la prima, mentre il Porena le ritiene entrambe plausibili.
Usato come intransitivo vale " andare a battere ", " colpire ": Pd V 92 saetta... nel segno / percuote pria che sia la corda queta. La stessa costruzione compare in due locuzioni metaforiche: Pd XIII 105 [è questo il bersaglio, la verità] in che lo stral di mia intenzion percuote; e così IV 60. Per dar ragione a D. del vento che fa stormire le fronde della selva del Paradiso terrestre, Matelda spiega che l'atmosfera si muove perpetuamente intorno alla terra all'unisono con i cieli, sicché in questa altezza, e cioè in questa altissima vetta che si erge libera nell'aria circolante, tal moto percuote, / e fa sonar la selva perch'è folta (Pg XXVIII 107); è invece transitivo al v. 109 la percossa pianta tanto puote, / che de la sua virtute l'aura impregna.
L'uso intransitivo è normale in antico anche quando p. si riferisce alla luce; valga a titolo di esempio la chiosa dell'Ottimo a Pd XII 10 ss.: " questo arco [l'arcobaleno] non è altro' che una nuvola acquosa, nella cui concavità percuote, e passa il raggio del sole ". Esempi di quest'accezione si hanno in Pd IX 69 qual fin balasso in che lo sol percuota, e, in un contesto metaforico allusivo alla fiamma d'amore, in Rime LXVII 65 io caddi in terra, / per una luce che nel cuor percosse. In tutti questi esempi p. indica sempre l'azione compiuta direttamente da una sorgente luminosa su un oggetto; per indicare invece l'atto del riflettere una luce, D. usa il composto ‛ ripercuotere ' (v.).
Quale intransitivo pronominale, è riferito a un improvviso arresto dopo un rapido moto e, come spesso ‛ ferire ' (cfr. Fiore XLVIII 7), vale " imbattersi ", " giungere "; così, le anime sfavillanti degli spiriti contemplativi discese dall'alto dello scaleo d'oro si comportano come le pole: tal modo parve me che quivi fosse / in quello sfavillar che 'nsieme venne, / sì come in certo grado si percosse (Pd XXI 42). Le due schiere degli avari e dei prodighi, pervenute al limite divisorio fra i due semicerchi del girone, cozzano l'una contro l'altra prima di tornare indietro: If VII 28 Percotëansi 'ncontro; e poscia pur lì / si rivolgea ciascun, voltando a retro; il verbo anzi, di ovvio valore reciproco, sottolinea la violenza dell'urto fra le due schiere di dannati, completando così la similitudine dei vortici formati dallo scontro fra opposte correnti marine nello stretto di Messina (vv. 22-23 Come fa l'onda là sovra Cariddi, / che si frange con quella in cui s'intoppa). Cfr. anche Pd X 9.