perdonare
La metà esatta delle occorrenze appartengono al Purgatorio, in evidente connessione con il motivo poetico e il registro concettuale dominanti nella seconda cantica: lo confermano l'assenza di qualsiasi esempio nel Paradiso e il fatto che nell'unica attestazione dell'Inferno il verbo sia usato con un'accezione particolare, lontana da quelle più consuete e correnti.
Come nell'italiano moderno, esprime la considerazione umana e generosa del male commesso da altri a nostro danno, accompagnata dalla rinuncia a qualsiasi sentimento d'ira o di odio e al desiderio di vendicarsi e di punire. Con questo valore ricorre nella Vita Nuova e nelle Rime, in rapporto al motivo della salute operata da Beatrice e al tema della crudeltà di madonna nei confronti dell'amante: Vn XI 1 quando ella apparia... mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso; XII 13 32 lo perdonare se le fosse a noia, / che mi comandi per messo ch'eo moia, e 14 41; e così Rime LXVII 90 perdono / la morte mia [" il fatto di farmi morire "] a quella bella cosa / che me n'ha colpa. L'esempio di CIV 107 'l perdonare è bel vincer di guerra si riferisce invece al perdono che D. chiede ai Fiorentini per la colpa di cui si dichiara pentito e alla quale fa un cenno fuggevole nei vv. 88-90 della stessa canzone.
Una più ricca sensibilità religiosa permea gli esempi del Purgatorio: più spesso, con un più o meno diretto riferimento al precetto evangelico del Pater noster (Matt. 6, 12), ha come soggetto Dio, e acquista il significato particolare di " rimettere i peccati "; ma anche negli altri casi all'idea del perdono dato agli offensori si accompagna quella del pentimento per le proprie colpe: Manfredi che, dopo aver avuta rotta la persona / di due punte mortali, si rende piangendo, a quei che volontier perdona (III 120); i negligenti che, resi accorti dalla grazia divina, pentendo e perdonando, / fora di vita uscirono a Dio pacificati (V 55); s. Stefano che, in armonia con la narrazione degli Atti degli Apostoli (7, 59), muore lapidato orando a l'alto Sire, in tanta guerra, / che perdonasse a' suoi persecutori (XV 113); proprio dal dramma di una disumana violenza patita, la morte, per opera di altri uomini, tutti costoro traggono ugualmente alimento, nell'alta coscienza religiosa di D., per la perdonante pietà verso gli altri, per un'illuminante speranza per sé stessi; così, come pregano i superbi: E come noi lo mal ch'avem sofferto / perdoniamo a ciascuno, e tu perdona / benigno, e non guardar lo nostro merto (XI 17).
Per estensione, con riferimento a colpe non gravi e in formule di cortesia, ricorre come sinonimo di " scusare ": Cv IV XV 6 forte riderebbe Aristotile udendo fare spezie due de l'umana generazione, sì come de li cavalli e de li asini: che, perdonimi Aristotile, asini ben si possono dire coloro che così pensano; Pg XXII 19 Ma dimmi, e come amico mi perdona / se troppa sicurtà m'allarga il freno, cioè se la franchezza m'induce a parlarti con soverchia libertà; e così XVIII 116.
L'unico esempio dell'Inferno ricorre nella celebre sentenza di Francesca, Amor, ch'a nullo amato amar perdona (V 103): l'amore, a nessuno che sia amato, " condona ", " fa grazia " dell'amare, non tollera che chi è amato non riami. Come osserva il Parodi (Lingua 282), l'uso dantesco si collega alle locuzioni correnti ‛ p. la vita, la testa ', che valevano " concederla salva ", " risparmiarla ", e trova numerosi riscontri in analoghi esempi trecenteschi (Cronica di Giovanni di Pagolo Morelli; Petrarca) e anche più tardi.