PÉREZ de OLIVA, Fernán
Umanista spagnolo, nato a Cordova verso il 1494, morto a Madrid nel 1533. Studiò prima nella città natale, poi a Siviglia fino al 1516, ad Alcalá il seguente anno, a Parigi nel 1518-19 alla scuola del celebre Siliceo (Juan Martinez Guijeño). Continuati gli studî di filosofia e lettere classiche a Roma (1520-23), dove ebbe benefici ecclesiastici da Leone X e una pensione da Adriano IV, tornò a Parigi, dove lesse alla Sorbona l'Etica di Aristotele (1523-1525). Rientrato in Spagna, ottenne la cattedra di teologia morale nell'università di Salamanca, di cui cinque anni dopo fu eletto rettore. Chiamato da Carlo V a precettore del figlio don Filippo, morì di lì a poco.
Il P. de O. scrisse in latino, ma più in castigliano, tanto vivo e profondo ebbe il culto della lingua nazionale, sì che è considerato come uno dei migliori prosatori del suo tempo. Il castigliano per lui s'identificava quasi con la lingua latina; il che intese comprovare fin da quando nel 1518, ristampandosi dopo quattro anni dalla prima edizione l'Arithmetica theorica et practica, egli vi aggiunse, in lode dell'opera, un dialogo, "escrito en palabras que son a la vez castellanas y latinas": curiosa e ingegnosa struttura linguistica per dimostrare la perfetta rassomiglianza delle due lingue. Per la storia della scienza è notevole il Tratado sobre la piedra imán, per esservi già intraveduto, sia pure in modo rudimentale, il principio delle due calamite nella moderna invenzione del telefono. L'opera letterariamente più importante è il Diálogo de la dignidad del hombre, in cui due amici, Antonio e Aurelio, discutono circa le ragioni per cui gli uomini dotti, specialmente, amano la solitudine, e il loro conversare ha un sapore di saggezza e di malinconia. Il dialogo ebbe fortuna, anche per la lunga dissertazione premessavi in seguito dal nipote Ambrogio de Morales, intesa a dimostrare, esaltando la lingua castigliana, l'obbligo e la necessità per tutti di fare amorosamente oggetto di studio la propria lingua. Studioso dei classici latini e greci, il P. rimaneggiò e rifuse in bella prosa castigliana l'Anfitrione di Plauto, l'Elettra di Sofocle e l'Ecuba di Euripide. Scrisse anche poesie: notevole La lamentación al saqueo de Roma (1527) in strofe "de pie quebrado" ossia di versi brevi misti a versi di maggiore lunghezza.
Ediz.: Obras de F. P. de O., Madrid 1787, voll. 2; Poesías de F. P. de O., in Rev. de Archivos, VII, VIII, IX (1902-1903); Dialogo de la dignidad del hombre, a cura di A. de Castro, 1873 (in Bibl. aut. esp., LXV). Altre ediz. con il "Discurso de las potencias del alma y del buen uso d'ellas" e con il rifacimento dell'Anfitruo plautino, in Bibliot. pop. Cervantes, ser. I, n. 32.
Bibl.: P. Henríquez Ureña, P. de O., Avana 1914; R. Espinosa Maeso, El maestro F. P. de O., en Salamanca, in Boletín de la R. Acad. esp., XIII, pp. 433-473; E. Esperabé, Historia de la Universidad de Salamanca, II, Salamanca 1917, p. 932; N. Alonso Cortés, Datos acerca de varios maestros salmantinos, in Homenaje Menéndez Pidal, I, p. 779.