perfetto
Vocabolo presente in tutte le opere dantesche, con particolare frequenza nel Convivio; un esempio nel Detto, nessuno nel Fiore.
In un gruppo poco numeroso di esempi conserva il valore verbale del participio perfectus del latino perficere, e vale perciò " condotto a termine ", " compiuto ".
In Pg XXV 69 sì tosto come al feto / l'articular del cerebro è perfetto, / lo motor primo a lui si volge lieto, indica che l'infusione dell'anima razionale nell'embrione avviene non appena la formazione organica del cervello è arrivata a termine. Ugualmente vale " compiuta ", " completata ", in Cv IV XXX 4 Tu se' omai perfetta, e tempo è di non stare ferma, ma di gire, commento e parafrasi del v. 141 (Contra-li-erranti mia, tu te ne andrai) della canzone Le dolci rime.
Vale " terminato " anche in Cv IV XIII 4 [i progressi della scienza] hanno ordine insieme come diverse linee, per le quali non si procede per uno moto, ma, perfetto lo moto de l'una, succede lo moto de l'altra; che il crescere della scienza sia costituito dalla successione di diversi moti, ciascuno dei quali ha la propria conclusione in sé stesso, è dottrina risalente a s. Tommaso (Comm. Analit. Post. I 41 " Progressus scientiae consistit in quodam motu rationis discurrentis ab uno in aliud. Omnis autem motus a principio quodam procedit et ad aliquid terminatur "). Sempre con valore verbale, significa " costituite ", in III XIII 5 le... altre intelligenze [cioè gli angeli] ... solo di natura intellettiva sono perfette.
Non altrettanto sicuramente definibile è il valore del vocabolo in un altro gruppo di occorrenze.
Per risolvere un dubbio di D., Carlo Martello osserva che, se gl'influssi celesti non fossero preordinati da Dio, verrebbe meno nei cieli la loro capacità di concorrere all'ordine universale; il che, continua il principe angioino, esser non può, se li 'ntelletti / che muovon queste stelle non son manchi, / e manco il primo, che non li ha perfetti (Pd VIII 111). Il significato complessivo del passo risulta chiaramente dal commento del Sapegno: " la qual cosa è impossibile, se le Intelligenze motrici di queste stelle non sono difettose, e difettoso anche il Primo motore, che in tal caso le avrebbe create imperfette (ipotesi assurda) ". Solo il Porena e il Mattalia, però, individuano con precisione la natura sintattica dell'espressione non li ha perfetti, il primo interpretando " (Dio)... non li avrebbe perfezionati ", il secondo rilevando come essa sia transitiva attiva, ricalcata sul latino perficere. Un certo interesse presenta anche un'ipotesi ricavabile dalle Concordanze del Fiammazzo, che registra questo esempio e quello di Rime LXXXIII 90 come uniche occorrenze di un verbo ‛ perfettare ' (v.), accolto dai vocabolari del Manuzzi e del Tommaseo con il valore di " condurre a perfezione ", sulla base della chiosa dell'Ottimo a Pd X 28 ss.: [il sole] " col suo lume informativo fa le generazioni e le alterazioni qua giù nelli corpi, producendo, accrescendo e perfettando ".
Discusso è anche Pd XXII 64 Ivi è perfetta, matura e intera / ciascuna distanza, la cui scarsa perspicuità è indirettamente comprovata dalla lezione Ivi è perfetta natura..., per cui v. Petrocchi, ad locum. Secondo alcuni il passo può intendersi nel senso che nell'Empireo ogni desiderio si fa p., cioè rivolto esclusivamente al bene, in quanto Dio, somma perfezione, ne è l'oggetto; altri, invece, interpretano perfetta come participio di ‛ perficere ' e spiegano " condotto al termine ", " arrivato al massimo grado d'intensità ".
In tutti gli altri esempi compare come aggettivo, in accezioni analoghe a quelle proprie dell'uso moderno, e indica quindi un livello qualitativo corrispondente a un'assoluta, o almeno eccezionale, immunità da difetti. Anche con questo significato è termine proprio del lessico dottrinario e, per il fatto stesso di ricorrere con indici di frequenza particolarmente alti in alcuni passi del Convivio inerisce strettamente ad alcuni temi fondamentali della speculazione dantesca.
Una definizione semantica di p., di derivazione aristotelica (Physic. VII 6, 246b 14; F. Groppi, D. traduttore, Roma 1962², 65) è data in Cv IV XVI 7 Questa perfezione intende lo Filosofo nel settimo de la Fisica quando dice: " Ciascuna cosa è massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propria, e allora è massimamente secondo sua natura; onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo "... per[ò] lo circulo che ha figura d'uovo non è nobile... però che non è in quello sua natura perfetta (§ 8). E, per l'esempio del cerchio, si vedano anche II XIII 26 (al superlativo), Rime LXXXIII 95.
La definizione dantesca di p. risulta più chiara se la si pone a riscontro con quella tomistica: " Perfectum dicitur esse id extra quod nihil est accipere eorum quae possunt ipsi convenire; sicut homo dicitur esse perfectus, cui non deest aliquid eorum quae ad hominem pertinent " (Comm. De Coelo et mundo II 5). Come, del resto, è confermato dalla sostanziale equivalenza nel linguaggio medievale dei termini perfectio, actus e forma (cfr. B. Nardi, D. e la cultura medievale, Bari 1942, 117), p. è vocabolo correlato ai concetti di forma e di materia in quanto condizioni e termini costitutivi del reale e indica l'assoluto realizzarsi di una determinata potenza nell'atto. Perciò Dio, in cui è sommo atto (Cv III XII 12) del tutto privo di potenza, è la mente ch'è da sé perfetta (Pd VIII 101), e fuor di quella / è defettivo ciò ch'è lì perfetto (XXXIII 105); le Intelligenze celesti sono p. in quanto sono sustanze separate da materia (Cv II II 7), e cioè forme pure (cfr. Pd XXIX 22). Di qui l'esempio di Cv II IV 9 Nessuno dubita... ch'elle non siano piene di tutta la beatitudine, o tutte o la maggior parte, e che quelle beate non siano in perfettissimo stato.
D'altra parte, è ben noto il principio della filosofia aristotelica per il quale ciascun oggetto, in quanto è quello che è, è in atto, e quindi p. nel suo essere, anche se, considerato in rapporto all'ordine del creato o alla perfezione possibile nell'ambito della sua stessa specie, risulta imperfetto. A questo principio si riallaccia l'uso di p. in IV XI 5 l'oro e le margherite... quanto è per esse in loro considerate, cose perfette sono... ma in quanto sono ordinate a la possessione de l'uomo, sono ricchezze, e per questo modo sono piene d'imperfezione. Ché non è inconveniente una cosa, secondo diversi rispetti, essere perfetta e imperfetta. Di qui anche l'esempio di If VI 107 quanto la cosa è più perfetta, / più senta il bene, e così la doglienza: le anime dei dannati, in sé e per sé, sono anche ora " perfette ", ma dopo la resurrezione dei corpi il loro essere umano sarà " più perfetto " in quanto si ricostituirà nella sua integrità l'essenziale unità del corpo e dell'anima.
Tracce di questo uso tecnico, proprio del linguaggio filosofico, sono naturalmente percepibili in tutti gli altri esempi, specie se inseriti in contesti di carattere dottrinario.
Per chiarire il significato della parola ‛ mente ', in Cv III II è enunciata la dottrina, anch'essa di origine aristotelica, che l'anima, intesa quale principio vitale o entelechia del corpo, si specifica nelle tre potenze vegetativa, sensitiva e razionale. Nella trattazione di questo tema, cui D. accenna anche in altre parti del trattato, p. ricorre come attributo ora di ‛ anima ', ora di ‛ potenza razionale ' che di essa è la parte più nobile, ora a proposito degli animali bruti: III II 14 quella anima che tutte queste potenze comprende, [e] è perfettissima di tutte l'altre, è l'anima umana; § 18 molti uomini... de la parte perfettissima [cioè della potenza razionale] paiono defettivi, tanto che tra l'anima umana e l'anima più perfetta de li bruti animali ancor mezzo alcuno non è, e noi veggiamo molti uomini tanto vili... che quasi non pare essere altro che bestia (VII 6). Poiché le Intelligenze motrici dei cieli sono spezialissime cagioni dell'anima umana e d'ogni forma generata (VI 5) in quanto concorrono, con la virtù del seme paterno e con quella degli elementi legati, alla generazione dell'individuo, se l'anima di un singolo individuo non è perfetta, ciò accade non per manco, per un difetto, delle Intelligenze angeliche su cui essa viene essemplata, ma per effetto de la materia la quale la individua (§ 6). Così, alla forma umana partecipe di tre nature (VII 5) difficilmente risponde un corpo che permetta all'anima di mostrare tutta la sua perfezione: per la molta concordia che 'ntra tanti organi conviene a bene rispondersi, pochi perfetti uomini in tanto numero sono (VIII 2). Altri esempi in II VIII 10 (due volte il superlativo ‛ perfettissimo '), XIII 30 (perfettissimo), III II 8, VI 5 (perfettissima), III 9 (perfettissima).
Secondo D., p. è anche la Divina Scienza, o teologia: Di costei dice Salomone [Cant. 6, 7; cfr. Groppi, op. cit., p. 37]: " Sessanta sono le regine e ottanta l'amiche concubine.., una è la colomba mia e la perfetta mia ". Tutte le scienze chiama regine e drude... e questa chiama perfetta perché perfettamente ne fa il vero vedere (Cv II XIV 20). Per il Nardi (D. e la cultura medievale, Bari 1949², 196 ss.; Nel mondo di D., Roma 1944, 214-218; Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 303-304) in questo luogo emerge una tendenza mistica di D.; la Sapienza è essenzialmente in Dio e s'identifica con la mente divina, e secondariamente è nelle Intelligenze e nell'uomo, come raggio partecipato della luce divina; grazie a questo, l'uomo coglie quanto può di verità. P. e ‛ perfettamente ', quindi, mentre sono in relazione con la eccellentissima certezza del suo subietto, lo quale è Dio (§ 19) e qualificano la Divina Scienza considerata in sé (quindi in Dio), detti della scienza umana vanno intesi in modo analogico, e non tanto in relazione a una presunta compiutezza della conoscenza dell'oggetto da parte dell'uomo, quanto in relazione al grado di certezza che è possibile all'uomo conseguire in attuazione delle sue possibilità naturali di conoscenza (v. anche III XV 7-10), In quest'ordine d'idee si colloca IV XXII 18, dov'è detto che nostra beatitudine... trovare potemo... perfetta quasi ne le operazioni de le intellettuali virtù (cfr. III XV 3): se la beatitudine di questa vita non è p. considerata in rapporto alla beatitudine che si può conseguire nell'altra, ciò non toglie che l'uso speculativo dell'intelletto sia p. nella misura che qui si può avere (B. Nardi, Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960, 82-83).
A questa tematica si collegano i numerosi esempi del III trattato del Convivio, dove la Donna gentile assurge a simbolo della Filosofia. Per la ragione stessa di essere fatta come l'essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente (VI 6), madonna è tanto... perfetta quanto sommamente essere puote l'anima umana (§ 8), anzi non solamente... è perfettissima ne la umana generazione, ma più che perfettissima in quanto riceve de la divina bontade oltre lo debito umano (§ 9), tanto da essere in Dio per modo perfetto e vero (XII 13); unica fra le nostre operazioni... è per sé, e non per altri; sì che, perfetta sia questa, perfetta è quella (XV 4), sicché, per opera sua, nasce quella felicitade, la quale... è operazione secondo vertù in vita perfetta (§ 12; cfr. IV XVII 8 e Arist. Eth. Nic. I 6, 1098a 16 e 19, 1102a 5). E così III VI 13, VIII 21, XIII 10.
Al contrario, l'astrologia è detta alta e nobile per la sua certezza, la quale è sanza ogni difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolatissimo princìpio viene (Cv II XIII 30; v. PRINCIPIO). Più generalmente, ogni scienza è p.: Che sia perfetta, è manifesto per lo Filosofo nel sesto de l'Etica, che dice la scienza essere perfetta ragione di certe cose (IV XII 12; cfr. Eth. Nic. VI 3, 1139b 18-36, ma cfr. Tomm. Comm. Eth. Nic. VI lect. III); la scienza ha per oggetto, secondo Aristotele, ciò che è necessariamente, e si ottiene perfettamente mediante procedimento deduttivo.
Ma in D. la coscienza che l'apprezzamento dei valori intellettuali è strettamente connesso con il comportamento etico ispira alcuni fra i passi più significativi del Convivio nei quali ricorre p.: IV XIII 9 la scienza ha perfetta e nobile perfezione, e per suo desiderio sua perfezione non perde, come le maladette ricchezze (nella Simonelli: la scienza perfetta è nobile perfezione...; per le questioni testuali e interpretative connesse, cfr. M. Sampoli Simonelli, Contributi al testo critico del " Convivio ", in " Studi d. " XXXII [1954] fasc. II, 129; A.E. Quaglio, Appendice al Convivio, II 520). Altri esempi in Cv III XI 11 come l'amistà per onestade fatta è vera e perfetta e perpetua, così la filosofia è vera e perfetta che è generata per onestade solamente; IV XIII 15 l'uomo di diritto appetito e di vera conoscenza quelle [le ricchezze] mai non ama... Ed è cosa ragionevole, però che lo perfetto con lo imperfetto non si può congiugnere (gli aggettivi sono sostantivati con valore neutro); I VIII 7 se 'l dono non è lieto nel dare e nel ricevere, non è in esso perfetta virtù; e così I VIII 5, III III 5 e 11, IV XI 3, XX 6, XXV 1.
Con riferimento al piano etico e insieme alla dottrina della potenza e dell'atto ricordata, la perfezione è così identificata con la nobiltà (IV XI 2 tanto quanto la cosa è perfetta, tanto è in sua natura nobile); ciò che è detto dell'uomo vale per tutta la realtà: XVI 5 ‛ nobilitade '... non pur de l'uomo è predicata, ma eziandio di tutte cose... qualunque in sua natura si vede essere perfetta. E però [dire che un re è nobile]... non è altro a dire, se non [che]... è perfetto, secondo la perfezione de l'animo e del corpo. Cfr. anche XIII 14, XVI 5 (terza occorrenza). Parlando della perfezione conseguente alla natura ‛ buona ' o ‛ nobile ' D. enuncia il principio: prima conviene essere perfetto, e poi la sua perfezione comunicare ad altri (IV XXVI 4), il quale fa il paio con l'assioma scolastico " bonum est diffusivum sui " e trova giustificazione nella dottrina aristotelica per la quale niente passa dalla potenza all'atto se non grazie a un ente in atto, di modo che l'azione od operazione viene a essere l'esplicazione (o atto secondo) della perfezione costitutiva dell'essere (o atto primo). Vada qui anche Detto 469 Ma se 'l truovi perfetto [l'uomo], / più ricco che 'l Perfetto [di un Prefetto] / sarai di sua compagna; in armonia all'etica del poemetto qui p. non indica nobiltà d'animo ma il possesso in misura eminente delle virtù cortesi della finezza nel tratto e della larghezza nel donare.
In un caso p. ha valore religioso e indica l'esercizio delle virtù cristiane per amore di Dio e nell'imitazione di lui, secondo la definizione che della perfezione spirituale dà s. Tommaso (Sum. theol. I II 99 6c " Perfectio... hominis est ut, contemptis temporali-bus, spiritualibus inhaereat "): Pd III 97 Perfetta vita e alto merlo inciela / donna più sù, " i meriti acquistati con una vita di perfezione " (si noti l'endiadi) " collocano in un cielo più alto, in un grado più eccelso di beatitudine " santa Chiara (Sapegno).
Riferito a cosa, indica la sua completa idoneità ad adempiere bene al proprio ufficio: Pg XXV 37 Sangue perfetto è, nell'organismo umano, quello che stilla puro da perfetto loco (v. 48), cioè dal cuore, per trasformarsi in sperma (cfr. Tomm. Sum. theol. III 31 5 ad 3 " [sanguis] qui digestione quadam est praeparatus ad conceptum, quasi purior et perfectior alio sanguine "). Il sacramento istituito da Cristo è detto battesmo perfetto (Pd XXXII 83) perché è " rito pienamente assolutorio, per quanto riguarda il peccato originale, e condizionante per la salvezza " (Mattalia); nell'aggettivo è però implicito anche un confronto con la circoncisione, che già s. Tommaso aveva definito prefigurazione del sacramento cristiano (Sum. theol. III 70 2 ad 3 " baptismus in se continet perfectionem salutis, ad quam Deus omnes homines vocat... Circumcisio autem non continebat perfectionem salutis, sed significabat ipsam ".
Poiché l'occhio è p. quando può sviluppare totalmente la propria potenza (cfr. Cv IV XVI 7), vada qui l'esempio di Pd V 5, dove si allude a una vista o visione intellettuale: S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore... / non ti maravigliar, ché ciò procede / da perfetto veder. I più intendono che Beatrice esorti D. a non meravigliarsi se ella rifulge di tanto luminoso ardore, in quanto questo deriva dalla visione che ella ha di Dio. Questa interpretazione è del tutto convincente non tanto per i riferimenti biblici che si sogliono addurre a riscontro, sulla luce abbagliante del volto di Mosè dopo che ebbe visto il Signore (cfr. Ex. 34, 29 ss.; II Cor. 3, 7-18), quanto perché essa è suggerita e dalla " coerenza interna del testo " (Sapegno) e dal valore stesso di p.: la visione beatifica è infatti comune a tutte le anime, ma ciascuna di esse vi penetra secondo la propria potenza (così come p. indica), commisurata al merito. Meno convincente è l'esegesi di quanti (Buti, Landino, Tommaseo, Del Lungo, Grabher, Pietrobono) riferiscono perfetto veder a D., spiegando: " ciò è cagione dal venir perfezionandosi la tua visione del divino... " (Del Lungo), pur se, come ricorda il Pietrobono, perfetti per " perfezionati " ricorre in Pd VIII 111.
È riferito a fenomeni dell'ordine intellettuale o spirituale per indicare che essi si svolgono con la massima compiutezza possibile: Cv I VI 11 perfetta conoscenza; III XIV 5 a perfetto intendimento mostrerò differenza di questi vocabuli, " perché io possa essere pienamente compreso... "; e così IV 12 a perfetto intelletto (due volte), V 3 a perfetta intelligenza. Riferito ad amore per persona o cosa: Cv II II 3 però che non subitamente nasce amore e fassi grande e viene perfetto... convenne, prima che questo nuovo amore [per la Donna gentile] fosse perfetto...; I XII 2 non solamente amore ma perfettissimo amore di quella [della lingua volgare] è in me; e così XIII 10 (anche qui il superlativo); Rime LXXXVI 11. Di virtù esercitate in grado massimo: Cv IV XXVII 10 questa singulare vertù, cioè giustizia, fue veduta per li antichi filosofi apparire perfetta in questa etade; e così al § 13. In Cv IV XXIV 2 perfetta etade è la maggiore età, nella quale si entrava a venticinque anni. Il valore metaforico della locuzione è chiarito da quanto è detto al § 1 la seconda [età] si chiama Gioventute, cioè ‛ etade che puote giovare ', cioè perfezione dare, e così s'intende perfetta - che nullo puote dare se non quello ch'elli ha. Per analogia, in V 10 l'impero di Augusto, allorquando nacque Cristo e il mondo fu in pace, è definito come la perfettissima etade della storia romana.
Con una denominazione tecnica comune alla scienza del tempo (cfr. Tomm.. Comm. Metaph. I 7, n. 23), in Vn XXIX 1 perfetto numero è chiamato il dieci, con ciò sia cosa che, dal diece in su, non si vada se non esso diece alterando con gli altri nove e con se stesso (Cv II XIV 3).