perfezione
Il termine designa la compiuta realizzazione di una cosa in ordine alle sue possibilità, e perciò anche il conseguimento di un fine.
Nel linguaggio scolastico, perfectio è usato in genere come sinonimo di actus (v. ATTO; cfr. anche Tomm. Sum. theol. I 4 1 ad 1 " Sed quia in his quae fiunt, tunc dicitur esse aliquid perfectum, cum de potentia educitur in actum, transumitur hoc nomen perfectum, ad significandum omne illud cui non deest esse in actu "). È termine tecnico nelle traduzioni dall'arabo per rendere il corrispondente del greco ἐντελέχεια (in traduzioni dal greco si ha in genere actus e talora entelechia), usato da Aristotele nella definizione dell'anima. E poiché lo Stagirita afferma che l'anima è ‛ atto primo ' del corpo (ἐντελέχεια ἡ πρώτη, Anima II 1, 412a 27 e b 5) e precisa che ‛ atto ' si dice in due modi (ἐντελέχεια… λέγεται διχῶς, 412a 22), cioè l'atto che è a somiglianza della scienza, che è abito, e l'atto che è a somiglianza del contemplare, che è attuazione di quell'abito e operazione ad esso conseguente, gl'interpreti giungono a distinguere perfectio prima, che è la forma grazie alla quale ogni cosa è quella che è, e perfectio secunda, che è l'operazione di un certo essere conseguente alla sua forma e alla sua natura. Esemplare la formulazione di Avicenna De Anima I 1 (Venezia 1508, f. 1vb): " Perfectio autem est duobus modis: perfectio prima et perfectio secunda. Perfectio autem prima est propter quam species fit species in effectu, sicut figura ensis; perfectio autem secunda est aliquid ex eis quae consequuntur speciem rei, aut ex actionibus eius, aut ex passionibus, sicut incidere est ensi, et sicut cognoscere et cogitare et sentire et motus homini; haec enim sine dubio perfectiones sunt speciei, sed non primae ". (Da Avicenna dipende Domenico Gundissalino De Anima [ediz. Muckle, " Mediaeval Studies " II [1940] 40], mentre Costa ben Luca De Differentia animae et spiritus liber [ediz. Barach, Innsbruck 1878, 134-135], segue da vicino il testo di Aristotele). Averroè, ripresa la distinzione tra " prima perfectio " e " postrema perfectio " (Comm. magnum in Arist. de anima liber II 2, ediz. Crawford, Cambridge Mass. 1953, 131), ritiene che non si può usare il termine p. allo stesso titolo per tutte le facoltà dell'anima, perché esse non sono ‛ forma ' del corpo allo stesso modo (III 5, p. 397: " dicere... formam et primam perfectionem est dicere aequivoce de anima rationali et de aliis partibus animae ", e p. 405: " dixit Aristoteles in diffinitione animae quod est perfectio prima corporis naturalis organici, quod nondum est manifestum utrum per omnes virtutes perficitur corpus eodem modo, aut est ex eis aliqua per quam corpus non perficitur, et si perficitur, erit alio modo ": l'argomento è in relazione alla dottrina dell'intelletto possibile separato unico per tutti gli uomini).
La distinzione tra p. prima e p. seconda è stata recepita dai commentatori latini di Aristotele. Particolarmente interessante l'esame che si fa della p. seconda, considerata per riguardo all'uomo, al suo operare, al suo fine proprio. Ciò chiarisce molti usi danteschi del termine. Per Tommaso d'Aquino, il cui commento all'Etica a Nicomaco di Aristotele è ben noto a D., la p. prima è la forma che dà l'essere a ciascuna cosa, e di cui nessuno è privo finché sussiste; la seconda è l'operazione (v.), che è il fine di un ente o ciò per cui si consegue il fine, e di essa talora si è privi (De Verit. I 10 ad 3 in contr. " prima perfectio est forma uniuscuiusque per quam habet esse, unde ab ea nulla res destituitur dum manet; secunda perfectio est operatio, quae est finis rei vel id per quod ad finem devenitur, et hac perfectione interdum res destituitur "). Ma Tommaso afferma anche senz'altro: " Perfectio... secunda est finis " (Sum. theol. I 73 1c); e perciò il fine di un ente, che è sua p. ultima (I 103 1c " Ultima... perfectio uniuscuiusque est in consecutione finis "; II II 184 1c " unumquodque dicitur perfectum inquantum attingit proprium finem, qui est ultima rei perfectio "; Exp. Ethic. Nic. I lect. I " finale bonum in quo tendit appetitus uniuscuiusque est ultima perfectio eius "), va ricercato nell'ambito della sua p. seconda, giacché in questa consiste o attraverso questa è conseguito; e se ciò vale per ogni essere, vale anche per l'uomo: Exp. Ethic. Nic. I lect. X " bonum finale cuiuslibet rei est ultima perfectio, forma autem est perfectio prima, sed operatio est perfectio secunda. Si autem aliqua res exterior dicatur esse finis, hoc non erit nisi mediante operatione... et sic relinquitur quod finale bonum cuiuslibet rei in eius operatione sit requirendum. Si igitur hominis est aliqua operatio propria, necesse est quod in eius operatione propria consistat finale bonum ipsius quod est felicitas ". Poiché l'operazione conseguente alla forma dell'uomo, cioè all'anima, è vivere, e vivere è comune anche alle piante e agli animali, bene ‛ proprio ' dell'uomo sarà la vita della sua parte più nobile, grazie alla quale è uomo, cioè della ragione; Tommaso conclude (ibid.): " Ex quo potest accipi, quod felicitas principalius consistat in vita contemplativa quam in activa, et in actu rationis vel intellectus quam in actu appetitus ratione regulati ".
Per estensione, il termine p. vale anche " terminatio " e " completio ", come si ricava dal seguente passo di Bonaventura relativo all'azione di Dio nei sei giorni della creazione e al suo continuo intervento nel creato (II Sent. XV 2 3c): " nota, quod duplex est perfectio universi: una et praecipua secundum esse permanens, alia est secundum ipsius esse decurrens. Prima attenditur in completa existentia principiorum et completo numero specierum... Secunda vero perfectio consistit in productione eorum quae per tempora decurrunt et sibi consequenter succedunt, ex cuius successionis ordinatione resultat quaedam unitatis pulcritudo et perfectio. Quoniam igitur secundum primam perfectionem Deus universum in sex diebus ad esse produxit, scilicet quantum ad completam existentiam principiorum et quantum ad completum numerum specierum, ideo dicitur requievisse ab omni opere quod patrarat. Quia vero continue operatur ad rerum successionem per propagationem et individuorum multiplicationem, ideo dicitur operari usque modo... Concedendum est enim quod ad productionem animalium, maxime hominis, secuta est quies in die septimo, non quia facta sit laboris terminatio, sed quia facta est operis inchoati completio ".
Questi i valori del termine quando è predicato degli esseri creati. Detta di Dio, la p. va pensata senza limitazione alcuna: Dio, atto per eccellenza secondo la dottrina aristotelica, è la causa prima grazie alla quale tutto passa dalla potenza all'atto; così la p. o atto si comunica e diffonde (come ha insegnato il neoplatonismo: v. CAGIONE), la pienezza della bontà divina è partecipata alle creature.
La Perfezione in Dio. - Per D., Dio sommo atto (Cv III XII 12) è p. somma e fonte di ogni p.: Mn II II 3 cum Deus ultimum perfectionis actingat (cfr. I VIII 1); Ep XIII 72 cum omnis perfectio sit radius primi, quod est in summo gradu perfectionis; VE I V 1 faber ille atque perfectionis principium et amator. Perfetto è l'effetto immediato della sua azione creatrice: gli angeli (per gli angeli motori dei cieli, la cui p. o " beatitudine della vita attiva ", che è il fine per cui sono stati creati, esige la creazione simultanea delle Intelligenze e del mondo, cfr. Pd XXIX 45; per questo vedi B. Nardi, Tutto il frutto ricolto, in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 309-315), i cieli (Mn II II 3 cum... instrumentum eius [Dio], quod coelum est, nullum debitae perfectionis patiatur defectum) e in particolare l'Empireo, immobile nella sua p. (Ep XIII 72 Illud... coelum quod a nullo movetur, in se in qualibet sui parte habet quicquid potest modo perfecto, ita quod motu non indiget ad suam perfectionem), e Adamo (VE I V 1 [Dio] afflando primum nostrum omni perfectione complevit). L'animal perfezione di Pd XIII 83 è la p. di cui è capace l'anima (Benvenuto: " id est, animae "), e quindi l'anima più perfetta che è quella umana (cfr. Cv II VIII 10), nel caso, quella di Adamo; tutta la perfezion quivi s'acquista di Pd XIII 81 è " tutta la p. possibile " sulla terra quando Dio opera senza mezzo; così Benvenuto: " quando Deus agit immediate in materiam imprimit tunc formam perfectam ", e Pietro: " si Deus primam suam virtutem absque medio disponit et signat, tota perfectio ibi concurrit "; v. anche B. Nardi, Il concetto dell'Impero, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 226 n. 26; il Buti invece al v. 83 parla di " prima creazione di tutti li animali " grazie all'influenza dei cieli, e al v. 81 spiega: " tutta la perfezion, cioè tutta la perfezione che può dare la natura, secondo la potenzia ordinata, data da Dio, quivi, cioè in quella così fatta natura ferventemente amante, s'acquista: imperò che niente vi manca che possi dare la natura ".
La Perfezione Nella Natura. - Con l'azione di Dio mediante la natura universale intesa come complesso delle cause seconde o cieli, si attua l'ordinamento del mondo sublunare: la Natura universale... ordina la particulare a sua perfezione (Cv IV XXVI 3), e in ciò non erra perché, essendo opus divinae intelligentiae, tende al fine disponendo i mezzi atti a raggiungerlo (Mn II VI 4, due volte). In questo contesto si colloca l'affermazione di D. secondo cui ogni essere o ‛ natura particolare ' tende alla sua p. (Cv III VI 7, XV 3); p. è allora la piena attuazione delle potenzialità proprie di un essere in conformità alla sua natura: Questa perfezione intende lo Filosofo nel settimo de la Fisica quando dice: " Ciascuna cosa è massimamente perfetta [μάλιστα τέλειον, " maxime perfectum "] quando tocca e aggiugne la sua virtude propria, e allora è massimamente secondo sua natura; onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo ", cioè quando aggiugne la sua propria virtude (IV XVI 7: il passo è tradotto da Phys. VII 3, 246a 13 ss.; F. Groppi, D. traduttore [Roma 1962², 65] rinvia all'ediz. Punti, Lipsia 1879, 149; v. anche Tommaso Sum. theol. III 7 12c " Ex parte... formae excluditur possibilitas augmenti quando aliquod subiectum attingit ad ultimam perfectionem qua potest talis forma haberi: sicut si dicamus quod calor ignis non potest augeri, quia non potest esse perfectior gradus caloris quam ille ad quem pertingit ignis "; cfr. Cv I XIII 2).
Ma la p. di una cosa, in quanto attuazione completa di tutte le possibilità naturali, coincide con la nobiltà (v.): per questo vocabulo ‛ nobilitade ' s'intende perfezione di propria natura in ciascuna cosa (IV XVI 4; cfr. § 5 [re nobile è] rege... perfetto, secondo la perfezione de l'animo e del corpo, § 8, XI 2); nell'uomo l'appetito naturale, nato dalla divina bontade, in noi seminata e infusa dal principio de la nostra generazione (XXII 4), germoglia... per la vegetativa, per la sensitiva e per la razionale; e dibrancasi per le vertuti di quelle tutte, dirizzando quelle tutte a le loro perfezioni (XXIII 3). Quando l'appetito muove alla ricerca del bene e spinge a evitare il male seguendo la retta ragione che guida all'esplicazione della nostra essenza, l'uomo è ne li termini de la sua perfezione (XXVI 5).
Tuttavia, poiché la p. degl'individui della stessa specie non si può definire a partire dall'analisi delle ‛ note ' comprese nella definizione della specie stessa, dal momento che varia in rapporto alla complessione seminale di ciascuno (cioè alla ‛ materia ' [v.] che condiziona la forma, e con ciò, la bontà divina comunicata al singolo essere; cfr. III VI 6), e, di età in età, in rapporto alla complessione speciale corrispondente a ciascuna età e conseguente al graduale maturarsi della complessione radicale o innata (cfr. B. Nardi, L'arco della vita, in Saggi di filosofia dantesca, cit., p. 124), l'ottima perfezione... conviensi... e diffinire e conoscere per li... effetti di ciascun individuo e di ciascuna età (IV XVI 9; cfr. anche B. Nardi, La filosofia di D., in Grande Antologia filosofica IV, Milano 1954, 1225 n. 7).
D. articola il suo discorso introducendo la distinzione tra ‛ p. propria ', o considerata per rapporto a ciascuno, e ‛ p. secondaria ', o considerata per rapporto agli altri: Questa perfezione nostra si può doppiamente considerare. Puotesi considerare secondo che ha rispetto a noi medesimi: e questa ne la nostra gioventute si dee avere, che è colmo de la nostra vita. Puotesi considerare secondo che ha rispetto ad altri; e però che prima conviene essere perfetto, e poi la sua perfezione comunicare ad altri, convienesi questa secondaria perfezione avere appresso questa etade, cioè ne la senettute (IV XXVI 3-4). Il principio fatto proprio da D. in questo passo è l'assioma scolastico " bonum est diffusivum sui ": poiché la p. è il bene dell'uomo, una volta raggiunta come piena realizzazione di sé, essa si traduce in una diffusione di quella pienezza nelle operazioni e nella vita sociale, che D. attribuisce alla terza età come a quella nella quale la maturazione della complessione permette il pieno dispiegarsi, anche ad altrui beneficio, della p. del singolo: sì come a l'adolescenza dato è... quello per che a perfezione e a maturitade venire possa, così a la gioventute è data la perfezione, e [a la senettute] la maturitade acciò che la dolcezza del suo frutto e a sé e ad altri sia profittatile (XXVII 3; che la p. si acquisti nella gioventù è affermato anche in XXIV 1 Gioventute, cioè ‛ etade che puote giovare ', cioè perfezione dare, e così s'intende perfetta - ché nullo puote dare se non quello ch'elli ha, XXVI 2 e 9, XXVII 4). Ma ogni età ha una sua p., disposta dalla natura e corrispondente alla complessione che è ordinata a produrre certi frutti a certo tempo: nell'adolescenza la nobile natura dà la bellezza del corpo, cioè l'acconcia a perfezione d'ordine (XXV 13; per il rapporto p.-ordine-bellezza, cfr. Bonav. Breviloquium II I 3 " ad hoc, quod sit ordo perfectus et status in rebus, necesse est, quod omnia reducantur ad unum principium, quod quidem sit primum, ut det ceteris statum, et perfectissimum, ut det ceteris omnibus complementum ", e III 5 [l'universo] " secundum numerales proportiones ordinatum dicitur et connexum denario caelestium orbium et quaternario elementorum, reddentibus ipsum proportionaliter tam pulchrum quam perfectum et ordinatum, ut suo modo suum repraesentet principium "); la gioventù, a sua perfezione, dev'essere amorosa (Cv IV XXVI 10); Platone, per la sua perfezione, fu ‛ ottimamente naturato ' (XXIV 6) e realizzò pienamente la bontà divina in lui impressa grazie alla perfetta disposizione della sua complessione seminale.
La Scienza Perfezione Dell'Uomo. - L'ordinato esplicarsi della natura umana, nei termini propriamente filosofici che D. trae da Aristotele e i suoi interpreti, va qualificata come p. seconda, mentre p. prima - come sappiamo - è l'atto con cui l'individuo passa dal non essere all'essere: con ciò sia cosa che due perfezioni abbia l'uomo, una prima e una seconda - la prima lo fa essere, la seconda lo fa essere buono (Cv I XIII 3); se p. prima, ‛ indotta ' ne le disposte cose dai cieli, è la generazione sustanziale (II XIII 5, due volte), p. seconda è considerata da D. (in tutte le occorrenze di quest'espressione) quella ‛ indotta ' in noi dalla scienza che, abito intellettuale o virtù dianoetica, consente all'uomo senza errore la veritade speculare, che è ultima perfezione nostra (§ 6, due volte; cfr. I XIII 5); l'umana perfezione è infatti propriamente la perfezione de la ragione (III XV 4; cfr. II VIII 11), di modo che, ricapitolando i vari temi finora toccati, D. mostra come quel desiderio naturale che spinge ogni cosa alla propria p. si traduca nell'uomo nel desiderio della scienza nella quale consistono p. e felicità: ciascuna cosa, da providenza di propria natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti (I I 1; § 2 nobilissima perfezione è la scienza-abito; in IV XIII 9 la scienza ha perfetta e nobile perfezione, la. Simonelli legge: la scienza perfetta è nobile perfezione).
Nella Donna gentile del Convivio D. personifica la Filosofia, amoroso uso di sapienza (III XII 12): essa è la p. cui tutti gli uomini tendono (VI 8, XIII 10 e 11); partecipazione della Sapienza divina agli uomini, essa è ‛ ottima opera ' di Dio, che per caritade de la sua perfezione infonde in essa de la sua bontade oltre li termini del debito de la nostra natura (VI 10). E tuttavia la conoscenza umana secondo D. è a certo termine: il desiderio innato può essere soddisfatto perché è misurato secondo la possibilitade de la cosa desiderante (III XV 8), cioè secondo la natura propria di ciascuno; altrimenti, anziché risolversi nell'acquisto di ciò che mancava, esso si risolverebbe nel desiderare di desiderare, che è imperfezione (In contrario andrebbe: ché, desiderando la sua perfezione, desiderrebbe la sua imperfezione; imperò che desiderrebbe sé sempre desiderare e non compiere mai suo desiderio, § 9; cfr. B. Nardi, Dal " Convivio " alla " Commedia ", Roma 1960, 67-69; Nel mondo di D., ibid. 1944, 224; La conoscenza umana, in D. e la cultura medievale, cit., pp. 195-200; v. PERFETTO; Perfettamente).
Alla luce di questo principio D. conduce il paragone, istituito in IV XIII, tra il desiderio sempre rinascente di conoscere, che si risolve in aumento di p. della scienza, in quanto atti nuovi di conoscenza hanno nuovi oggetti e non tolgono la perfezione a la quale... condusse l'atto precedente, di modo che questo cotale dilatare nel desiderio della scienza non è cagione d'imperfezione, ma di perfezione maggiore; e il desiderio delle ricchezze che, infinito, continuamente risorge inappagato, sì che nulla successione quivi si vede, e per nullo termine e per nulla perfezione (§ 2; cfr. XII 14-17); ciò avviene appunto perché la ricchezza non appaga, e il desiderio non è mai nuovo, ma permane identico a sé stesso (§§ 3, 5 e 9, prima e terza occorrenza): nelle ricchezze sotto pretesto di perfezione la imperfezione si nasconde (IV XII 2). Tommaso caratterizza nei termini seguenti rispettivamente l'atto d'intendere e il desiderio delle ricchezze: " Non enim intelligere est motus qui est actus imperfecti, qui est ab alio in aliud, sed actus perfecti, existens in ipso agente " (Sum. theol. I 14 2 ad 2), e " appetitus naturalium divitiarum non est infinitus: quia secundum certam mensuram naturae sufficiunt. Sed appetitus divitiarum artificialium est infinitus: quia deservit concupiscentiae inordinatae, quae non modificatur, ut patet per Philosophum in I Polit. [9, 1258a 1] " (I II 2 1 ad 3). Ma l'uomo consegue p. e felicità, nel massimo grado consentito a ciascuno, nella visione beatifica, quando egli, uscito dalle mani di Dio che ha seminato in lui la sua bontà, si ricongiunge con lui sommo bene e sommo vero; i dannati, esclusi per sempre dalla beatitudine, non vanno mai in vera perfezion (If VI 110); se tuttavia si vuol parlare di p. anche in questo caso, bisogna ritenere che essi saranno perfetti dopo il giudizio universale, quando le anime si ricongiungeranno con i loro corpi (questa gente ... / di là [dopo il giudizio] più che di qua [prima] essere aspetta, " in perfezione " o perfetta, vv. 109-111: cfr. M. Barbi, Con D. e i suoi interpreti, Firenze 1941, 310-314); dopo il giudizio, ripresi i loro corpi e quindi tornati interi (‛ perfetti ') nella loro umanità, i beati conseguiranno un incremento di visione beatifica (Pd XIV 43-51).
Altre Occorrenze. - Nel discorso sull'origine dell'Impero, D. argomenta partendo dall'ordine generale del mondo, organizzato dalla natura alla realizzazione della p. per la quale dispone i mezzi adeguati: fra i mezzi necessari alla p. della società umana, l'unico monarca (Cv IV IV 6) e l'autorità imperiale (IX 1). Storicamente, prova che l'Impero romano fu voluto da Dio è il fatto che esso si giovò dei miracoli ad sui perfectionem (Mn II IV 1 e 4).
La perfetta conoscenza di qualsiasi ente si ha quando se ne posseggono gli elementi che entrano nella definizione di esso (VE II X 1 cognitionis perfectio uniuscuiusque terminatur ad ultima elementa; cfr. Cv III XI 1). La filosofia morale giunse a p. grazie soprattutto ad Aristotele (IV VI 15, e 16 la perfezione di questa moralitade per Aristotile terminata fue). Si vedano ancora: Ep XIII 52 viso de bonitate ac perfectione primae partis prologi, prologo compiuto secondo le regole dell'arte poetica; al § 76 il termine occorre in citazione da Ezech. 28, 12 (cfr. Groppi [op. cit., p. 47], che tratta il caso come un esempio di modificazione del testo biblico " per esigenze armoniche "); in Quaestio 77 è in una citazione da Iob 2, 7 (secondo Groppi, [op. cit., p. 46], si tratterebbe di un esempio di citazione a memoria da parte di D.).