PERFEZIONE
. Il concetto filosofico della perfectio corrisponde a quello greco della τελειότης, ma il pensiero classico non dà a questo termine l'importanza tecnica che più tardi assume invece il suo derivato latino. Τέλειος è, per Aristotele, tanto la grandezza concepita come totalità non mancante di alcuna parte, quanto l'essenza della realtà del tutto conforme alle esigenze della propria natura; e la sua definizione corrisponde nella sostanza a quella poi data dal Kant, il quale distingue la perfezione (Vollkommenheit) "quantitativa" o "materiale", costituita dalla totalità del molteplice e riferentesi alla sfera gnoseologica e ontologica della filosofia, dalla perfezione "qualitativa" o "formale", data dalla rispondenza di una cosa al suo scopo, dal punto di vista del giudizio teleologico. La teologia antica, che vede l'assolutezza della natura divina piuttosto nella sua immunità dal bisogno e dall'azione, si vale meno di quei concetti, universalistico o teleologico, della perfezione: essi vengono invece in primo piano nella teologia cristiana, che concepisce Dio da un lato come totalità positiva del pensabile (onde l'argomento ontologico della sua esistenza, nel quale l'ens quo nihil maius cogitari potest di Sant'Anselmo corrisponde, nella sostanza, alla perfection di Cartesio) e dall'altro come volontà assolutamente buona e quindi teleologicamente perfetta. L'attributo della perfezione diventa così determinante di tutti gli altri attributi divini e nello stesso tempo (per la sua incompatibilità con ogni definizione o delimitazione) causa essenziale delle loro logiche difficoltà. E lo Spinoza, che rigetta il concetto di perfezione derivante dalle valutazioni affettive degli uomini e identifica senz'altro perfezione e realtà, non fa che approfondire esclusivamente il lato universalistico-ontologico di quel concetto. Nel pensiero moderno, caduto il problema teologico medievale, è caduto insieme anche il problema della perfezione oggettiva e gli si è sostituito quello della perfettibilità morale.