perfido
D. usa due volte l'aggettivo, in If XIX 50 Io stava come 'l frate che confessa / lo perfido assessin, e in Pd XVII 47 si partio Ipolito d'Atene / per la spietata e perfida noverca.
È merito del Pagliaro aver dimostrato che nel primo luogo - e di conseguenza nel secondo - la qualifica di p. non vuole sottolineare genericamente la natura di malvagio del sicario, che è valore estensivo acquisito più tardi dal vocabolo, ma in aderenza al suo significato etimologico la slealtà del comportamento di colui che, già condannato a morte, nel momento dell'esecuzione si decide a rompere la fede e a rivelare il segreto del mandante (v. ASSESSINO). Analogamente la qualifica di " traditrice " ben più che quella generica di " malvagia " si adatta al comportamento della noverca Fedra che falsamente accusa Ippolito (cfr. Pd XVII 47). Nel senso specifico di " infedele ", " sleale ", del resto, p. era termine comune nel linguaggio religioso e profano medievale.
Bibl. - H. De Lubac, Exegèse médiévale. Les quatre sens de l'écriture, II 1, Parigi 1961, 143 ss.; Pagliaro, Ulisse 263-269.