PERGOLA
Piccola città delle Marche settentrionali nell'attuale provincia di Pesaro di origini medievali, nel cui territorio furono rinvenuti i Bronzi di Cartoceto di Pergola.
Sotto questa denominazione si comprende un eccezionale complesso di statue romane in bronzo dorato tornate fortuitamente alla luce nel giugno del 1946 in località S. Lucia in Calamello di Cartoceto, frazione di P. (Pesaro). La scoperta fu determinata dallo scavo di un canaletto per il deflusso delle acque piovane nell'aia di una casa colonica che portò all'affioramento del materiale archeologico, contenuto in confuso ammasso in una buca poco profonda. Vennero così estratti centinaia di frammenti contorti e spezzati, di cui sono stati sin qui ricomposti con rara perizia e restituiti nell'originario fulgore, che i secolari sedimenti terrosi avevano offuscato, i seguenti pezzi:
1) Testa bardata di cavallo leggermente volta a sinistra, con porzione del collo e corta criniera bipartita a ciuffi incurvati; lunghezza dalla nuca al labbro superiore m 0,58. Il collo fortemente arcato e la bocca dischiusa sotto l'azione del morso, le froge dilatate e la testa secca ed asciutta, la mascella possente e le orecchie dritte esprimono con grande efficacia l'impazienza del cavallo di razza. La briglia è decorata da chiodini ed ornata, all'incrocio delle corregge, da medaglioni o phalerae con figurazioni a rilievo di prospetto di cui tre sulla fronte (rotonde la superiore e l'inferiore, rispettivamente con testa di divinità barbuta e protome di felino, e a mandorla la mediana, con figura di Marte in riposo) e due circolari su ciascuno dei salienti laterali (quelle di destra con busto di Giunone in alto e di Minerva in basso; quelle di sinistra con busto di Marte in alto e di Mercurio in basso).
2) Altra testa simile alla precedente, volta leggermente a destra, con parte sinistra del collo fortemente arcato. Lunghezza m 0,58. Narici dilatate, orecchie dritte tra cui spicca un grosso ciuffo conico; la criniera corta ed unita ha i ciuffi inclinati verso l'alto.
La briglia presenta alcune varianti nella decorazione, con la falera superiore sulla fronte ornata da busto di Venere e l'inferiore liscia con bottone conico al centro; invariata è la figura del medaglione centrale, al pari di quella delle phalerae laterali che si presentano, tuttavia, in posizione invertita.
3) Statua femminile stante ricomposta da più frammenti, alta m 1.95. Rappresenta, atteggiata nel tipo della Pudicitia, una matrona in età avanzata, stante sulla gamba sinistra con ginocchio destro leggermente piegato e con il piede poggiato su tutta la pianta. Veste tunica e manto, più propriamente stola e palla. La prima, molto ampia e lunga, scende a terra formando numerose pieghe e lasciando appena scoperto parte del piede destro calzante i calceoli. La sovrapposta palla avvolge la parte superiore del corpo coprendo anche la testa. Dal viluppo del manto esce in alto, distaccata dal corpo, la mano destra, mentre la sinistra, ripiegata sul petto e dalle dita lunghe, affusolate, esibisce nell'anulare un grosso anello con castone elissoidale. La fronte incorniciata da capelli lisci ed aderenti bipartiti, gli occhi vaganti, le gote ancora piene, il naso aquilino, la bocca piccola ed il mento sfuggente puntualizzano un volto improntato ad espressione di dignitosa compostezza.
4) Figura maschile di cavaliere, di cui si conserva il tronco ricomposto da più pezzi. Altezza m 1,08. Voltato leggermente a destra, ha il braccio destro sollevato nel gesto di saluto, mentre il sinistro abbassato doveva tenere nella mano, ora mancante, le redini. È vestito di corta tunica con il mantello (paludamentum) gettato sulla spalla sinistra e raccolto attorno ai fianchi donde ricade sul braccio sinistro. La testa, molto lacunosa specie sul lato sinistro e sull'occipite, offre le sembianze di un uomo di media età, largamente stempiato, con volto magro, con occhi incavati, larghe orecchie, naso carnoso ed arcuato, piccola bocca e mento prominente.
5) Due gambe di cavaliere con traccia di panneggio all'altezza delle cosce e con i piedi calzati da alti stivaletti legati sino ai polpacci, alte m 0,70 e m o,8o.
Tra i varî frammenti ancora al restauro, figurano inoltre: parte inferiore di statua femminile panneggiata stante (altezza m 1,26); parti del corpo e degli arti di un secondo cavaliere; parti anteriori di un cavallo con pettorale ornato a rilievo con figurazioni marine (nereidi, delfini, ippocampi, ecc.) e parte mediana di cavallo bardato con resto di sella e frange dell'ephippium.
L'identità delle proporzioni e dei particolari tecnici ed artistici ci assicura che tutti i frammenti appartengono ad uno stesso gruppo che doveva essere costituito da due statue equestri maschili e da due femminili stanti. Inoltre, le pressoché identiche proporzioni tra cavaliere e cavallo, di poco superiori al naturale, ci inducono a ritenere le statue collocate in basso sopra una base, con le due dame probabilmente al centro, fiancheggiate dai cavalieri su cavalli rappresentati, come si deduce dai frammenti, nello schema abituale dell'ambio, piantati cioè su tre zampe e con una delle anteriori alzata.
I bronzi di Cartoceto si rivelano pezzi di eccezione sia per l'alta qualità artistica che si palesa soprattutto nella vibrante modellazione delle mirabili teste di cavallo, nervose e frementi, sia per l'incomparabile effetto della doratura, ottenuta con l'applicazione di sottili lamine d'oro quadrangolari, che contribuisce con il suo rutilante fulgore ad accrescere il pregio delle sculture stesse.
Il tipo dell'acconciatura della dama a banda liscia e piatta spartita sulla fronte e tesa indietro sino alla crocchia, come quello della capigliatura del cavaliere a partiti di brevi, stilizzate ciocche virgolate, ancora legati alla tradizione ritrattistica repubblicana, ben si accordano con il modellato classicistico a larghi piani dei volti improntati a una compostezza formale e con il sobrio trattamento del panneggio per una datazione dei bronzi ad età giulio-claudia e più precisamente tiberiana.
Il tentativo di riconoscere nelle due figure le immagini di Livia e di Nerone Cesare, in gruppo con Agrippina maggiore, Druso Cesare e Tiberio, e di spiegare con la damnatio memoriae, a cui furono condannati i due principi, la violenta distruzione delle statue stesse, benché si presenti come suggestivo e seducente, non riesce tuttavia a convincere. Il tipo della Pudicitia fu prediletto per le rappresentazioni di carattere funerario, come conosciamo da numerosi esempî (stele di via Statilia, da via dei Sepolcri a Pompei, ecc.). La matrona da Cartoceto colpisce per il suo aspetto più pomposo che imponente, a cui conferisce un tono di suburbana eleganza il grosso anello esibito, con particolare compiacenza, all'anulare sinistro. La struttura della testa ed i lineamenti del volto non presentano che una generica somiglianza, frutto della moda, con i ritratti della donna più famosa dell'epoca. La mancanza dei praegrandes oculi leggibili persino sui profili monetarî della Pietas, della Salus e della Iustitia ed in ritratti estremamente idealizzati (di Paestum al Museo del Prado e di Pompei) mal si giustifica in un ritratto di tali proporzioni e di alto livello artistico. Assai diversa dalla nostra è anche la bocca dura e tagliente, appena appena ammorbidita in qualche ritratto di Livia; come pure il particolarissimo naso a ponte fortemente accentuato. La pettinatura a scriminatura centrale con bande rialzate lateralmente e virgole sfuggenti di lato che sarebbe stata adottata dall'imperatrice dal 13 a. C. ha, con questa, riscontro assai generico, mentre fu usata da molte dame dell'epoca e, arricchita più o meno di ciocche sottili sfuggenti intorno alla fronte, ebbe vita almeno dall'8o a. C. all'epoca di Claudio. Non può quindi essere assunta come elemento determinante per l'identificazione.
Quanto al cavaliere nel quale si è voluto riconoscere Nerone Cesare, premesso che questa figura è tuttora molto incerta nella iconografia, le monete (tutte coloniali) ce lo rappresentano provvisto di abbondante capigliatura che sensibilmente contrasta con la evidente calvizie del cavaliere di Cartoceto, il quale tradisce, inoltre, un'età che mal si accorda con quella giovanissima del primogenito di Germanico, che sappiamo essere stato raggiunto da morte violenta poco più che ventenne.
L'onore della statua equestre non era, inoltre, esclusivo appannaggio della casa imperiale, come provano i gruppi di Ercolano e di Pompei (statue marmoree dei Balbi e bronzee da Pompei) pertinenti a ricchi cittadini che amarono lasciare ai posteri il loro ricordo in atteggiamento eroico, a cui il cavallo conferiva maggiore dignità. I ritratti avvicinati a quello di Cartoceto hanno con questo la stessa generica somiglianza che c'è tra lo stesso bronzo e un ritratto del Louvre o uno di New York (Kluge, Lehmann-Hartleben, Grossbronzen, ii, p. 11) e perfino l'Olconio Rufo di Pompei (De Franciscis, Il ritratto in Pompei, ecc., p. 37).
Concludendo, si sarebbe, pertanto, propensi a vedere nelle figure di Cartoceto, piuttosto, dei privati cospicui personaggi, membri di una stessa famiglia, onorati, quali patroni, con la dedicazione di statue nel Foro di un qualche municipio, che possiamo immaginare anche nel Piceno, come lascerebbe supporre la provenienza dalla vicina Suasa di una testa di cavallo assai simile alle nostre. La mancanza, d'altra parte, di ogni interesse archeologico del luogo del rinvenimento dà adito al legittimo sospetto che le statue siano ivi finite in pezzi e nascoste per ignote vicende come bottino di guerra, frutto forse di un saccheggio operato al tempo delle invasioni barbariche in qualche città più o meno vicina alla via Flaminia.
Bibl.: G. Annibaldi, in Fasti Arch., IV, 1949, n. 3344; S. Stucchi, Gruppo bronzeo di Cartoceto, in Boll. d'Arte, 1960, pp. 7-42.