FAZZINI, Pericle
Nacque a Grottammare (Ascoli Piceno) il 4 maggio 1913 da Vittorio e Maria Alessandrini. Giovanissimo, iniziò a lavorare nella falegname-: ria di famiglia, accanto ai numerosi fratelli, apprendendo a intagliare il legno e dedicandosi alla scultura nei momenti liberi. Intorno al 1929 il poeta Mario Rivosecchi, suo compaesano e amico di famiglia, convinse il padre ad assecondarne il precoce talento, mandandolo a studiare a Roma. Il F. vi si trasferì nel 1930, iniziando a frequentare la scuola libera del nudo all'Accademia di belle arti. 1 suoi appunti (in Lucchese, 1952, pp. 63-82) testimoniano, oltre al suo interesse per la scultura barocca, una giovanile ammirazione per A. Rodin, E.-A. Bourdelle e A. Maillol. Tra i suoi primi amici troviamo il pittore A. Ziveri, con il quale divise i primi studi e alcune esperienze iniziali: tra queste la partecipazione, nel 1930, alla IV Triennale di Monza, dove i due artisti collaborarono con l'architetto razionalista L. Moretti alla realizzazione della Casa del poeta.
Nel 1931 il F. vinse il concorso per un monumento a Catania al cardinale G. B. Dusmet (mai realizzato; il bozzetto per il rilievo La peste a Catania è a Catania, palazzo degli Archivi). In quello stesso anno eseguì due ritratti in legno di Orazio Costa (ill. 2 S. in Pallucchini, 1965). Nel 1932, con il bassorilievo Uscita dall'arca (gesso all'Accademia di belle arti di Roma; bronzo ill. in Masi, 1992, II, pp. 51 ss-), vinse il concorso per il pensionato artistico nazionale, che garantiva per due anni un discreto mensile e l'uso di uno studio a villa Caffarelli sul Campidoglio. Fu l'inizio di un periodo di lavoro molto intenso, i cui primi frutti apparvero nel gennaio 1933 in una mostra tenuta insieme con Ziveri e G. Grassi presso la galleria di D. Sabatello. L'esposizione, paragonata per il suo impatto sull'ambiente romano a quella di M. Mafai e Scipione (Gino Bonichi) tenutasi tre anni prima alla Galleria di Roma., ottenne recensioni favorevoli da parte di P. Scarpa, C. Cagli, A. Neppi, D, Sabatello. In febbraio il F. espose al Circolo delle arti, ottenendo nuovi riscontri di critica da parte di C. E. Oppo (in La Tribuna, 8 febbr. 1933) e G. Pensabene (in Il Tevere, 5 febbr. 1933). Si ampliavano intanto le sue amicizie nell'ambiente romano: tramite G. Ungaretti conobbe Marguerite Chapin Caetani principessa di Bassiano, animatrice della rivista Commerce, che nel 1934 lo invitò a partecipare a una collettiva a Parigi, alla galleria Les amis de l'art contemporain, insieme a C. Despiau, E. Vuillard, P. Bonnard, A. Dunoyer de Segonzac, A. Masson, C. Cagli. Una delle tre sculture inviate dal F. - Anita, in legno - venne poi acquistata, su suggerimento di J. Cassou, dal Musée du Jeu de paume e si trova oggi al Musée national d'art moderne (al Centre George-Pompidou, inv. JP 122 S) di Parigi (esposto a Firenze alla mostra Arte mod. in Italia, 1967, p. 375 del cat., ill. n. 1845 a p. 376).
Questo periodo di successi culminò nel 1935 con la partecipazione alla II Quadriennale d'arte nazionale a Roma; i due altorilievi Danza (legno; Fondazione Giorgio Ronchi, Capri, villa Malaparte) e Tempesta (peperino; propr. Fazzini; ill. in Masi, 1992, II, p. 63) suscitarono una notevole emozione e ottennero un premio di 10.000 lire. Nonostante l'artista si esprimesse in queste opere con la massima libertà di mezzi, la loro energia convinse anche critici di orientamento tradizionalista come M. Sarfatti (1935) ed E. Cecchi (1935): "Fazzini - scrisse quest'ultimo - debutta come il diciassettenne Michelangelo della zuffa dei centauri, ma sopra superfici dieci volte tanto".
Dopo la partecipazione, sempre nel 1935, alla mostra parigina "Art italien des XIX et XX siècles" al Jeu de paume e ai Littoriali dell'arte, il F. fu invitato alla Biennale di Venezia, ma inaspettatamente il pensionato artistico decise di non rinnovargli la borsa di studio, mettendolo così di fronte a serie difficoltà economiche. Gli anni tra il 1935 e il 1938 furono piuttosto difficili. Con il denaro del premio vinto alla Quadriennale lo scultore prese in affitto uno studio in via Margutta, dove lavorò per il resto della sua vita. Si isolò dall'ambiente artistico romano, realizzando in solitudine alcuni dei suoi massimi capolavori, come il ritratto di Ungaretti (1936, legno; Roma, Gall. naz. d'arte mod.) e la Danzatrice (ill. in catal., 1984, p. 32), e partecipando alle mostre pubbliche con opere di minore impegno, talora legate ai temi della propaganda di regime: VI (1936) e VII (1937) mostra del Sindacato fascista di belle arti del Lazio (ritratto del Duce in bronzo); Mostra delle colonie estive (1937: Balilla armato, grande statua in gesso).
Nel 1938 il F. pose fine al suo isolamento partecipando alla XXI Biennale di Venezia con un gruppo di sculture che lo consacrò ai massimi livelli della ricerca europea: oltre al ritratto di Ungaretti erano esposti i cosiddetti Momenti di solitudine, due figure in legno, rappresentanti un Ragazzo che ascolta (venduto dopo la seconda guerra mondiale al collezionista Maristany di Madrid, ma non reperito al tempo della mostra del 1984: cfr. catal., p. 32) e un Giovane che declama (già propr. Cidonio, ora Russo: cfr. Masi, 1992, II, ill. p. 77), realizzate con insolita politezza formale.
Queste due opere costituiscono il punto di arrivo di una ricerca tenacemente perseguita per tutto il corso degli anni Trenta sulla falsariga della scultura greca: dall'arcaicismo (si veda il Ritratto di Anita n. 2, in legno dipinto come gli antichi xoana) alla compiutezza di Fidia e oltre, all'eleganza proporzionale di Lisippo e alla libertà compositiva e dinamica dell'ellenismo: un confronto compiuto dal F. senza il minimo senso di inferiorità e senza scendere mai nella citazione, ma, anzi, con un massimo di originalità.
Nel 1939, in occasione della III Quadriennale romana, questo confronto si estese ad altri modelli: il bassorilievo Passaggio del Mareb (gesso; ill. in catal., 1984, p. 79), raffigurante un momento della guerra di Etiopia, non può non ricordare le superfici tormentate e il senso di dramma storico delle colonne onorarie romane. Nel dicembre di quello stesso anno il F., con altri artisti romani, partecipò, alla galleria Grande di Milano, alla seconda mostra del gruppo di Corrente, la rivista fondata a Milano per raccogliere le energie e i dissensi della giovane arte italiana, in un momento in cui gli artisti erano chiamati a confrontarsi con una situazione politica sempre più aspra. Nel gennaio 1940, sempre sulla via di un ancora incerto e nascente "realismo", prese parte, con R. Guttuso, V. Guzzi, L. Montanarini, 0. Tamburi, A. Ziveri, ad una importante collettiva alla Galleria di" Roma (cfr. recens. di G. C. Argan, in Le Arti, febbraio-marzo 1940).
Nel 1940 sposò Anita Buy, la scrittrice alla quale era da tempo legato; poco dopo fu chiamato alle armi e raggiunse dapprima Padova, poi Zara.
Nel 1941-42, durante il soggiorno nella città dalmata, ebbe modo di continuare a lavorare: molti disegni vennero inviati alle riviste Primato, Documento, Domus; lo scrittore C. Malaparte gli acquistò il rilievo Danza per collocarlo nella celebre villa di Capri (cfr. lettera di Malaparte al F. citata in catal., 1984, p. 81), ma, soprattutto, il F. diede l'avvio a una produzione che doveva rivelarsi molto fruttuosa negli anni sucéessivi, quella dei bronzetti realizzati con l'antica tecnica della cera perduta.
Trascorse a Viterbo l'ultimo periodo del servizio militare. Congedato l'8 sett. 1943, fece ritorno a Roma, dove si dedicò ad una importante scultura appena iniziata allo scoppio della guerra: il Ragazzo con i gabbiani (1944, legno con tracce di colore, coll. Fazzini), in cui la figura umana appare come il mezzo per evocare la luce dell'estate, l'aria, il volo, il rumore del mare. Pensando a sculture come questa, Ungaretti chiamò il F. "scultore del vento" (in Il Popolo [Roma], 15 apr. 1951). Nel 1945 vide la luce Il fucilato (bronzo, ill. in catal., 1984, p. 37), una delle più intense espressioni figurative dei dramma bellico appena concluso e una delle prime creazioni fazziniane in cui emerge il sentimento religioso del dolore e della sofferenza umana, un tema sul quale l'artista tornerà con frequenza, dando sfogo ad un lato pessimista, aspro e lucido del suo carattere.
Nel 1946 il F. espose alla galleria del Secolo di Roma, accanto ad A. Corpora, R. Guttuso, S. Monachesi, G. Turcato, opere realizzate dieci anni prima: volontario ricongiungimento a quelle esperienze, nel segno della sintesi formale con cui aveva iniziato il suo cammino. Allo stesso modo va intesa la vittoria al premio Torino del 1947 con una scultura del 1939 Anita in piedi (Roma, coll. Nunes; ill. in catal., 1984, p. 34) e infine la partecipazione alla prima mostra del Fronte nuovo delle arti a Milano, galleria della Spiga, nel giugno 1947, accanto a quegli artisti (tra gli altri Leoncillo Leonardi, N. Franchina, A. Corpora, E. Vedova, R. Guttuso) che allora proponevano una ricerca linguistica basata sulla sintassi cubista (o neocubista) allo scopo di riallacciare i fili con la cultura europea. Il F., ben preparato a queste ricerche fin dalla sua giovanile adesione al clima del razionalismo architettonico e da una innata propensione alla sintesi della forma, giunse su questa linea a esiti di grande qualità con la Sibilla (ill. in catal., 1984, p. 46; vincitrice nel 1949 del premio Saint-Vincent) e con il Profeta (ill. ibid., p. 84). Nel luglio 1949 partecipò alla rassegna "XX Century Italian art" presso il Museum of Modern Art di New York.
Nel 1950-51 riprese il rapporto con l'architettura realizzando l'altare per la cappella di S. Francesca Cabrini in S. Eugenio a Roma. Nell'aprile del 1951 l'Ente Premi Roma ospitò una vasta antologica del F. e nello stesso anno l'Accademia di S. Luca gli conferì il premio Einaudi. Nel 1952 tenne una personale alla galleria Alexander Jolas di New York, inaugurando un periodo di attività in campo internazionale. Nel 1954 partecipò, presentato da G. Ungaretti, alla XXVII Biennale di Venezia con una personale che gli valse il primo premio per la scultura. L'anno dopo ottenne la cattedra di scultura all'Accademia di Firenze e dal 1958 al 1980 insegnò all'Accademia di belle arti di Roma.
Del 1956-57 è uno dei progetti più arditi: quello per un Monumento alle vittime di Auschwitz, non realizzato: "Doveva essere una grande superficie orizzontale di sessanta metri di lato. come una piazza concava, scavata da sentieri che passavano in mezzo alle figure dei morti. E la gente camminando verso il centro si trovava a poco a poco sempre più in basso, fino ad avere le teste scolpite all'altezza degli occhi" (catal., 1984, p. 88 con ill.).
Negli anni seguenti si fece sempre più importante l'impegno in opere a carattere monumentale: nel 1959-60 eseguì il portale in bronzo della chiesa di S. Giovanni Battista sull'autostrada del Sole, nei pressi dell'uscita di Firenze Nord, con scene raffiguranti il Passaggio del Mar Rosso e L'arrivo dei re magi (ill. in Masi, 1992, II, p. 125). Tra il 1961 e il 1965 si dedicò alla fontana per il palazzo dell'Ente nazionale idrocarburi (ENI) a Roma Eur, immaginando di "proiettare all'esterno il sottosuolo, isolandone un frammento in maniera tale che si abbia la sensazione delle profonde stratificazioni della terra sino alle viscere da cui viene estratto il petrolio" (cfr. catal., 1984, p. 88; ill. p. 89). Del 1964-65 è il Monumento alla Resistenza in Ancona e dello stesso periodo il bozzetto (bronzo, coll. Fazzini, ill. in Masi, 1992, II, p. 134) per un mai realizzato monumento a J. F. Kennedy: doveva essere una grande stele (30 m di altezza) con tagli e fenditure nel senso della lunghezza che scoprivano, in controluce, il profilo di Kennedy (una prova di dimensioni ridotte, successivamente intitolata Metamorfosi e fusa in bronzo, venne donata anni più tardi alla sua città natale).
Per il palazzo della Federconsorzi a Roma il F. aveva compiuto nel 1955 sulla facciata un lungo fregio di bronzo (m 52 X I, 15 di altezza) dal titolo I campi; nel 1965-66 concluse il lavoro realizzando all'interno un grandissimo altorilievo in legno dal titolo Il solco: un campo arato tra due file di olivi contorti in cui, rievocando il paesaggio marchigiano, ritrovò la straordinaria energia dei suoi rilievi giovanili.
Mentre in Italia si moltiplicavano le commissioni per imprese pubbliche, crebbe l'interesse per il F. all'estero: nel 1961 tenne una personale a Darmstadt, nel 1962 alla Kunsthalle di Düsseldorf. Una monografia di R. Pallucchini apparsa in Giappone nel 1963 contribuì alla crescente notorietà dell'artista in questo paese, dove il F. espose in mostre personali e collettive nel 1970, 1971, 1972 e 1973.
Gli anni Sessanta furono ricchi di sperimentazioni sul piano stilistico: proseguendo la sua ricerca di astrazione dalle forme naturali, il F. realizzò per la IX Quadriennale romana del 1965 la Conchiglia, una grande scultura mobile in bronzo (un esemplare, della coll. Meadows di Dallas, è ill. in Molir, 1969, figg. 62-64; un altro, di coll. privata giapponese, è ill. in Bellonzi, 1987, p. 143). Per il porto di San Benedetto del Tronto concepì (1969-70) il Monumento al marinaio (non realizzato; cfr. catal., 1984, p. 89): una grande forma bianca ispirata ai movimenti del mare, al vento, al volo dei gabbiani, che avrebbe dovuto innalzarsi per m26 di altezza e muoversi alle correnti d'aria.
Negli anni Settanta il F. visse l'avventura della Resurrezione, la grande scultura per la sala delle udienze in Vaticano, che può essere considerata come il punto di approdo di tutta la sua ricerca.
La genesi della scultura fu piuttosto lunga: i primi contatti con il Vaticano si erano avuti nel 1965, ma la decisione finale arrivò soltanto nel 1972, grazie all'intervento personale di Paolo VI. Il lavoro e la successiva fusione richiesero quasi sette anni, fino all'inaugurazione che avvenne il 28 sett. 1977.
È facile trovare riassunti nella Resurrezione i grandi amori del F., "il senso fisico di pelle sulle costole" (cfr. catal., 1984, p. 89) che nel 1930 lo aveva avvicinato al barocco e a Rodin. il sentimento mistico della natura che lo spinse a reinventare le forme di alberi e nuvole aperti a ventaglio intorno al Cristo; infine il "mestiere" che gli permise anche in questo caso di adottare soluzioni tecniche nuove e avanzate (il punto di partenza della fusione era un prototipo a grandezza naturale realizzato in una sorta di polistirolo con l'aiuto di chiavi elettriche incandescenti).
Durante le ultime fasi di lavorazione (nell'agosto del 1975) l'artista, provato dalla grande fatica, fu colpito da trombosi. La ripresa avvenne lentamente e il F. trascorse i suoi ultimi anni in relativa tranquillità tra lo studio di via Margutta e la casa costruita a Grottammare presso un bosco di querce secolari, dedicandosi soprattutto ai bronzetti e anche a raccogliere i molti scritti e appunti. Tra le principali fonti di ispirazione ritroviamo gli spazi aperti dell'Adriatico, suggeriti ora anche in una serie di pastelli che aggiungono alla ricerca formale la suggestione del colore, in una estrema sintesi figurativa. Due grandi antologiche riproposero al pubblico la sua lunga carriera: la prima ad Avezzano nel 1983, la seconda nel dicembre 1984 alla Galleria naz. d'arte moderna a Roma, di nuovo accanto ad A. Ziveri.
Morì a Roma il 4 dic. 1987.
In uno dei suoi ultimi appunti si legge "La morte e la vita, una cosa: fanno parte dell'infinito mistero degli uomini e degli invisibili insetti che stanno a parità in questo sempre più misterioso universo che non si consuma mai" (in Bellonzi, 1987, p. 35).
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