pericolo (periglio, forse sentito come gallicismo; periclo, forse per esigenza di rima)
È primario in D. un valore molto comprensivo del termine: " minaccia ", " grave rischio "; si veda per es. Cv IV XXVI 9 Enea sostenette... a intrare ne lo Inferno ... contro tanti pericoli, " ostacoli ", " a dispetto di gravi rischi "; Vn XII 16; Fiore LIV 13 Messaggio di garzon ma' non farei, / ched e' v'ha gran periglio. In Pg XIV 69 il valore è meno generico, e il p., quasi personificato, è una " minaccia " che incombe sull'uomo e lo colpisce all'improvviso: da qual che parte il periglio l'assanni. Analogamente in Rime XCV 12 Periglio è grande in donna sì vestita: la fonte del p. è una persona, la giovane donna a cotal guisa verde del v. 9.
In più icastico contesto cade l'immagine di If XXVI 113 O frati... che per cento milia / perigli siete giunti a l'occidente; pure pregnante il senso di p. in VIII 99 più di sette / volte m'hai sicurtà renduta e tratto / d'alto periglio che 'ncontra mi stette, dove D., più che ai rischi concreti corsi nelle prime stazioni del suo viaggio, allude al p., più spirituale che fisico, " di ritrarsi dalla via della salvazione " (Steiner). Col verbo ‛ trarre ' il termine compare anche in Rime LXXXIX 11 perch'altri fosse di pericol tratto, cioè " salvato ". Prevale decisamente il senso di " danno " (il p. non è più la " minaccia ", ma la conseguenza di essa) in Cv IV XII 4 chi fu quel primo che li pesi de l'oro coperto e le pietre che si voleano ascondere, preziosi pericoli, cavoe?, esplicita traduzione da Boezio (Cons. phil. II m. V 30; e cfr. il commento, riportato da Busnelli-Vandelli: " Quia multi propter eorum pretiositatem in pericula incidunt "). Ancora per " danno " in Cv I II 13 sanza ragionare di sé grande infamia o pericolo non si può cessare, e in Pd IV 101 per fuggir periglio, contra grato / si fé di quel che far non si convenne; qui, osserva il Grabher, l'affermazione non è in accordo con il successivo esempio di Alcmeone, nel caso del quale " la volontà si piega a una forza maggiore... ma non propriamente ad un periglio, come sarebbe invece il caso di Piccarda e di Costanza ".
Alquanto controversa, infine, ne è l'interpretazione in Pd VIII 1 Solea creder lo mondo in suo periclo: p. è stato spiegato (Lana, Anonimo, ecc.) come " condizione d'ignoranza ", " errore del paganesimo ". Più persuasiva, e oggi comunemente accolta, è l'interpretazione dell'Ottimo e del Buti, per cui in suo periclo equivale a " in morte dell'anime loro " (Ottimo); infatti " non ricognoscere la creatura ragionevile lo suo vero Creatore non poteva essere senza suo pericolo e dannazione " (Buti).