perifrasi
Secondo la classica definizione della Rhet. Her. (IV 43) è figura retorica consistente nell'ampliare il discorso sostituendo a una parola una locuzione più ampia che ne esprima il concetto (" circumitio est oratio rem simplicem adsumpta circumscribens elocutione ").
Quintiliano distingue (Instit. orat. VIII VI 59) fra il " circuitus eloquendi " assunto per evitare la parola propria, e quindi per eufemismo, e quello richiesto da un'esigenza di ornamentazione. Nelle poetiche tardo-medievali la p. è particolarmente raccomandata come mezzo di amplificazione e ornamentazione, specie per dar forma eloquente e bella a cose vili (cfr. Everardo Alemanno Laborintus 305-306, ediz. Faral, p. 347), o per rendere più lunga e difficile l'espressione ed evitare che passi inosservata (cfr. Goffredo di Vinsauf Poetria nova 226-240, ediz. Faral, p. 204).
D. in Ep XIII 66 riprende il termine quintilianeo di ‛ circumlocutio ', passato nella trattatistica medievale, per designare la p. contenuta in Pd I 4 (prosequitur ab ea circumloquens Paradisum; et dicit quod fuit in coelo illo quod de gloria Dei, sive de luce, recipit affluentius).
Una notevole serie di p., del genere più comune nella prosa d'arte, s'incontra nelle epistole, soprattutto quando è intenzione dell'autore dare una veste più sonora ai nomi propri, secondo una tradizione tipica dell'epica. Cfr. ad es. Scipionum patriae (XI 25), progenies maxima Tuscanorum (II 3), incolae Latiales (V 19), Faesulanorum propago (VI 24), proles altera Isai (VII 29); e cfr. Eg IV 54 Aethnaeo pumice, dov'è da notare anche la metonimia.
In un consueto repertorio rientrano anche p. come patriam... coelestem (Ep II 1), che tuttavia rispecchia la particolare concezione cristiana dell'esilio terreno dell'uomo, de Fonte... pietatis (V 7), divenuto anch'esso una formula. La p. ornamentale può servirsi della simbologia biblica (bos noster evangelizans, VII 14), o incontrarsi con la tautologia (Exsicca lacrimas et moeroris vestigia [lacrimas] dele, V 6), o insistere con un sinonimo per aggravare il concetto (cupiditatis ingluvies, VI 5). Non mancano, ovviamente, casi in cui l'amplificazione della p. assume uno sviluppo ben più notevole, specie attraverso l'uso della metafora (v.): regiae sempiternae aulicus praelectus in... Ierusalem cum beatorum principibus gloriatur (II 5).
Nella Vita Nuova spicca un genere di p. collegabile col tono religiosamente assorto della prosa: segnore de li angeli (VIII 1); la donna de la cortesia (XII 2; che richiama la donna de la salute, III 4); la regina de la gloria (V 1). Alla consueta modestia dell'autore che parla di sé va ricondotta la p. cosette per rima (V 4). Al vezzo di evitare un nome proprio universalmente riconoscibile (in questo caso Amore), ma anche all'esigenza di sottolinearne l'essenza va ascritta la p. di XII 13 35 (colui ch'è d'ogni pietà chiave), che richiama analoghe p. delle Rime: quel signor che le donne innamora (LXXXV 6); il fonte del gentil parlare (LXXXVI 12); quel signore / ch'a la mia donna ne li occhi dimora (Cv IV Le dolci rime 18-19). Così in Cv II Voi che 'ntendendo 29 un'angela che 'n cielo è coronata designa inequivocabilmente Beatrice.
Una sottile ragione eufemistica hanno alcune p. che designano la morte, e tuttavia ciascuna suggerita dal contesto: al tempo che mi sface (LXVII 9) allude all'estremo risultato del tormento di Amore, mentre il terminar de' guai (v. 56) rispecchia il desiderio di liberazione del poeta, e 'I contrario de la vita (LXXXIX 13), oltre a prestarsi a una ricerca di paronomasia (trarre-contrario), corrisponde al gioco antitetico della strofa. Il regno dei morti, oltre a esser designato dalla consueta p. fora di questa vita, fuor d'esto mondo (LXVII 30 e 39) e viene amplificato in un verso (colà dov'io sarò di morte freddo, CII 24), che accentua secondo il tono della sestina, anziché addolcire eufemisticamente, il senso, e risulta dalla ricerca della parola rima. Il peso ch'è mortale di L 34 con la sua metafora di origine religiosa viene analogicamente accostato agli altri ‛ incarchi ', che metaforicamente designano le sofferenze e i servigi di Amore.
Dettate da esigenza di colore sono le p. del ‛ sole ', come in LXXXIII 114 prenze de le stelle, e l'altra più elaborata dei vv. 96-101 (gran pianeto... / che, dal levante, ecc.). Mentre l'amplificazione aggiunge soltanto qualcosa di vago e di sfumato, secondo un'esigenza lirica, in LXXXV 8 (cosa che amica sia di veritate) e in Cv III Amor che ne la mente 55-56 (Cose... / che mostran de' piacer di Paradiso). Al contrario pare accentuare il senso tecnico filosofico una p. come principio ch'ha possanza (Rime LVII 8).
Nella Commedia la p. è una delle figure più care al poeta e che maggiormente concorrono a caratterizzare il suo stile immaginoso e difficile, poiché, a parte gli eufemismi (v.), e l'abbondanza dell'ornamentazione per cui è impiegata la p., questa risulta uno dei mezzi più suggestivi per circondare di mistero e di difficoltà il messaggio dottrinale e la profezia.
La p. eufemistica riguarda generalmente il corpo umano, sia che eviti di nominare direttamente ciò che, come dice lo stesso poeta, è più bello / tacer che dire (Pg XXV 43-44; cfr. là dove appar vergogna, If XXXII 34; lo membro che l'uom cela, XXV 116), talora accrescendo in senso comico la volgarità (XXVIII 24), sia che intenda eludere la banalità o crudezza di un vocabolo (quel d'Adamo, Pg IX 10; quella fascia / che la morte dissolve, XVI 37-38; quella con ch'io parlo, If XXXII 139; la carne d'Adamo [Pg XI 44], pur risultando in definitiva una p., è in realtà una metonimia). Va citata tuttavia una p. tutta particolare condizionata dalla prospettiva del racconto dantesco, che evita di far pronunciare a Virgilio il nome di Dio rivolgendosi a Caronte (If III 95-96, e cfr. V 23-24), o il nome di Cristo nell'Inferno: colui che la gran preda / levò a Dite (XII 38-39).
Fra le numerose p. che designano personaggi contemporanei, alcune contribuiscono a creare un alone mitico e appartengono allo stile tragico (il secondo vento di Soave, Pd III 119; l'onor di Cicilia e d'Aragona, Pg III 116), altre ben corrispondono al tono dell'evocazione (lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola, If XII 120), o accompagnate dalla ‛ transumptio ' (v.) si adattano all'oscurità di una profezia (la mala pianta / che la terra cristiana tutta aduggia, Pg XX 43-44); ma alcune tradiscono una reticenza che suona sdegno e disprezzo (colui / che fece per viltade il gran rifiuto, If III 59-60; il mal di Francia, Pg VII 109; il novo Pilato, XX 91). È notevole che il poeta stesso dichiari la ragione per cui in Pg XIV 17-18 si tace con una p. il nome dell'Arno (Perché nascose / questi il vocabol di quella riviera, / pur com'om fa de l'orribili cose?, vv. 25-27).
Frequentemente D. ricorre alla p. per designare la divinità, mettendone in evidenza volta a volta le qualità, come la potenza (Pg XXV 70, Pd I 1, XXVII 36), o la bontà (If II 16, Pg III 120, XV 67-68, XXVIII 91), il mistero (Pg VIII 68-69), l'onniscienza (If VII 73). Talora il simbolismo biblico arricchisce la p. (il melo / che del suo pome li angeli fa ghiotti, Pg XXXII 73-74), o la metonimia le conferisce un particolare vigore rappresentativo (le fóra / ond'uscì 'l sangue per Giuda venduto, XXI 83-84). Talora la p. non fa che esplicitare un concetto teologico, come in Pd II 41-42, dove Cristo è quella essenza in che si vede / come nostra natura e Dio s'unio, o in XXII 41-42, dove la missione del Cristo è definita dall'antitesi tra la discesa di lui e l'elevazione dell'uomo (e cfr. in Pg XX 97-98 la p. che designa la Chiesa come sposa dello Spirito Santo). Al simbolismo attinge anche la p. del ‛ Paradiso ' in Pg XXXII 102 (quella Roma onde Cristo è romano), che poggia sull'analogia fra la città terrena dell'Impero romano e la città di Dio, e l'altra che richiama la simbologia del ‛ tempio ' (Pd XXVIII 53-54).
Le p. esornative s'incontrano soprattutto nelle reminiscenze mitologiche e bibliche, allorché il poeta preferisce, alla maniera del poeta epico, richiamare una vicenda piuttosto che enunciare semplicemente il nome famoso del personaggio. La concubina di Tifone antico (Pg IX 1) allude soltanto, con l'attributo finale, ai termini della favola mitologica, ma altrove il poeta si diffonde maggiormente: cfr. la p. che designa i centauri in Pg XXIV 121 ss. e quella che ricorda Procne (XVII 19-20).
Spesso i nomi geografici si celano dietro p. che rispecchiano il gusto erudito (la terra di Iarba, Pg XXXI 72; la villa / del cui nome ne' dèi fu tanta lite, XV 97-98), o scientifico, risolto in mitiche immagini (tal plaga / che ciascun giorno d'Elice si cuopra, / rotante col suo figlio ond'ella è vaga, Pd XXXI 31-33), o rivelano il piacere della descrizione precisa (Quella sinistra riva che si lava / di Rodano poi ch'è misto con Sorga, VIII 58-59; la terra dove l'acqua nasce / che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta, Pg VII 98-99) o colorita (onde 'l Nilo s'avvalla, If XXXIV 45; sul paese ch' Adice e Po riga, Pg XVI 115; l'alpestro monte ond'è tronco Peloro, XIV 32; lo dolce piano / che da Vercelli a Marcabò dichina, If XXVIII 74-75).
Maggiore impegno, in senso esornativo e coloristico, dimostra D. nell'indicare con p. i nomi astrologici e i vari cieli. Si vedano soprattutto le p. del ‛ sole ' (If I 17-18, Pg XV 2 ss., Pd I 38, X 28), quella famosa di Venere (la stella / che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio, Pd VIII 11-12), dello scorpione (in figura del freddo animale, ecc., Pg IX 5-6), di Saturno, elaborata attraverso il ricordo mitologico (Pd XXI 25 ss.). Ma certamente il carattere esornativo della p. si riflette più che mai nelle determinazioni temporali, in cui la scienza astrologica e l'immaginazione mitologica offrono grandi possibilità all'amplificazione retorica. Fra tutte va citata la p. di If XXIV 1 ss. per la sua duplice costituzione (un riferimento astronomico per la stagione e uno metereologico per l'ora, ambedue arricchiti da personificazioni e metafore) e perché introdotta in una lunga similitudine, in cui è oltremodo evidente il procedimento retorico dell'amplificazione, impiegata come modo artificioso di apertura.
Naturalmente, al di fuori di questa classificazione per temi, esiste nella Commedia una vasta gamma di p. dovute a una mera esigenza di amplificazione (cfr. ad es. quella tipica del ‛ cacciatore ', Pg XXIII 3), o di aulicità (coloro / che questo tempo chiameranno antico, Pd XVII 119-120; del libro che 'l preterito rassegna, XXIII 54), alla ‛ variatio ' (v.) o a esigenze tecniche del verso. Ché se una p. come fia sapor (Pd XVII 117), adoperata per il verbo corrispondente, varia l'uso grammaticale, altre non è escluso che vengano condizionate addirittura dalla rima: operazion che merta pene (Pg XVII 105), la virtù che consiglia (XVIII 62), avran di consolar l'anime donne (= consolabuntur, XIX 51), le guance impeli (XXIII 110), si consola con nanna (v. 111), ai passi diedi sosta (XXIX 72), fu tacente (Pd XX 9), liquor d'ulivi (XXI 115), ti chiudon le mani (XXXIII 39).
Nel Fiore la p. è assente nelle forme più interessanti che offre la Commedia; la si può ritrovare invece come mezzo di amplificazione in certi giri di frase, come in uno dei primi sonetti (IV 6-7), dove l'invito alla lealtà dell'amore si colora di una metafora perifrastica (or guarda che 'l tu' cor non sia 'mpacciato / se non di fino e di leal amore), o in CXCI 1-2, dov'è appena riconoscibile nella sostituzione di un'ampia relativa all'aggettivo corrispondente (ciascun uom ch'avesse in sé ragione / o che del mondo ben savio sarebbe). Dello stesso genere di quest'ultima, ma complicata da una metafora, è quella di CXVII 8 (colui che man terrà di povertate). Un esempio, raro, di p. non propriamente eufemistica, ma che certo attenua la violenza dell'appellativo, è in XC 5 (Di lor non puo' tu trarre cosa certa); il verso successivo, pur non avendo la forma classica della p., può esser considerato tale, perché nasconde sotto l'indiretto e fittizio consiglio un preciso improperio (v. IMPROPERIUM): se tu lor presti, me' val a chitarli.
Nel Detto la p. si riduce ad alcune brevi circonlocuzioni relative, di cui mette conto citare almeno l'esempio del v. 284 (que' che no ll'ha cara [la Ricchezza]), perché ha quasi una ragione eufemistica, se pensiamo che evita di citare lo " scialacquatore ", con una frase in forma negativa, che attenua la crudezza del termine appropriato.
Bibl. - Una scelta sistematica di p., limitatamente alla Commedia, è in E.R. Curtius, Gesammelte Ausfätze zur romanische Philologie, Berna 1960, 321-333.