PALEOGENICO, PERIODO
. Definizione e suddivisioni. - La denominazione di Paleogenico (παλαιός "antico", e γένος "generazione, età"), usata per la prima volta da Naumann nel 1866, designa il più antico dei due periodi nei quali suole dividersi l'età terziaria, cronologicamente successivo (e nella serie stratigrafica superiore) al Cretacico e precedente (inferiore) al Neogenico. Corrisponde all'incirca all'Eocene di Lyell, che vi comprendeva anche le assise costituenti la parte superiore del gruppo, quelle che oggi si preferisce tener distinte in una divisione a sé (Oligocene); e al Nummulitico di Renevier, Haug e altri. La denominazione equivalente di Eogene (Heilprin, 1888) non ha incontrato favore.
L'analisi stratigrafica del Paleogenico ha avuto il suo punto di partenza nel Bacino di Parigi, dove si hanno classici affioramenti con ricchezza di faune e varietà di facies marine e continentali alternanti. In Germania si conobbero in seguito d'altra parte depositi equivalenti alle più alte assise della regione parigina, ma con sviluppo assai più caratteristico. Ne venne di conseguenza una suddivisione in due membri dell'intera serie: detti il più antico Eocene con significato alquanto più ristretto rispetto alla denominazione usata dal Lyell, il più recente Oligocene (Beyrich, 1854); l'uno e l'altro a loro volta ripartiti in varie minori unità stratigrafiche. Le equivalenze dei varî piani della serie franco-germanica con quelli della serie mediterranea si poterono poi stabilire valendosi degli scambî tra le due provincie, quali appunto si rilevano analizzando le faune del Bacino di Parigi. In generale si può dire che i termini più bassi sono tipicamente rappresentati nelle regioni settentrionali, mentre mancano o sono mal riconoscibili nel dominio mediterraneo, ove i più antichi depositi sicuramente databili si devono mettere in relazione con la trasgressione dell'Eocene medio. In base al riferito complesso di osservazioni si poté stabilire la seguente scala per la cronologia dei varî terreni paleogenici:
(Cattiano da Catti antica popolazione germanica, Fuchs 1894; Rupeliano dal francese Rupel, Dumont 1849; Stampiano dal lat. Stampia Étampes, De Rouville 1853; Lattorfiano dal villaggio sassone di Lattorf, Mayer Eymar 1893; Sannoisiano da Sannois, Munier-Chalmas e De Lapparent 1893; Ludiano da Ludes presso Reims, Munier-Chalmas e De Lapparent 1893; Bartoniano da Barton (isola Wight), Mayer Eymar 1857; Priaboniano da Priabona nei Monti Berici, Munier-Chalmas e De Lapparent 1893; Auversiano da Auvers, Dollfus 1880; Luteziano da Lutetia, De Lapparent 1883; Ypresiano da Ypres nelle Fiandre, Dumont 1849; Sparnaciano dal lat. Sparnacum Épernay, Dollfus 1880; Tanetiano da Tanet nel Kent, Renevier 1873; Montiano da Mons nel Belgio, Briart e Cornet 1865; Spilecciano da Spilecco presso Verona, Fabiani 1912).
In una variante (Renevier, Kayser) dello schema esposto, i piani inferiori dell'Eocene, e cioè Montiano, Tanetiano e Sparnaciano, formano un sottoperiodo a sé, il Paleocene (termine introdotto da Schimper nel 1874 per il travertino di Sézanne, v. sotto): si ha così una tripartizione del Paleogenico in Paleocene, Eocene, Oligocene (detti anche Eo- Meso- e Neonummulitico da Haug; Suessoniano, Parisiano, Tongriano da D'Orbigny). Tongriano è talora usato con significato più ristretto, come equivalente di Rupeliano.
Distribuzione delle terre e dei mari e variazioni nel corso del periodo. - Le vicende geologiche del Paleogenico considerate nelle loro grandi linee costituiscono la prima e in un certo senso più importante fase del ciclo di fenomeni che caratterizza l'era terziaria e conduce all'attuale assetto della superficie terrestre. L'avvenimento principale che imprime il carattere a tutto il terziario, cioè il sorgere dei corrugamenti alpini, culmina precisamente nel Paleogenico, pur oltrepassandone d'ambo i lati i limiti sia coi suoi movimenti iniziali sia coi fenomeni postumi: nel Paleogenico dunque abbiamo il momento culminante, ossia la fase orogenetica, della evoluzione delle vaste geosinclinali maturatesi durante la lunga sedimentazione dell'era secondaria.
Considerando i rapporti delle terre e dei mari all'inizio del periodo, ci troviamo di fronte agli stessi elementi paleogeografici fondamentali che avevano dominato nel Mesozoico, e quali si erano venuti modificando nel Cretacico.
Premesso che, per quanto riguarda le masse continentali, la ricostruzione dei limiti e rapporti si giova in larga misura dei risultati delle comparazioni faunistiche, di mammiferi in ispecie, possiamo argomentare la persistenza del continente nordatlantico comprendente la regione dei massicci erciniani dell'Europa occidentale, e l'America Settentrionale. La comunicazione terrestre fra Europa e America, effettuantesi in corrispondenza della regione attualmente occupata dall'Atlantico settentrionale, sembra abbia subito verso la metà del periodo un'interruzione segnante quindi un accenno allo smembramento del continente stesso e allo stabilirsi di condizioni oceaniche su parte di esso.
Bisogna però tenere presente che l'indole dei dati sui quali affermiamo l'esistenza di legami fra le due metà del continente nordatlantico non ci consente di escludere che gli scambî e gl'influssi reciproci fra le due faune rispettive fossero permesse e regolate non già dalla presenza di un vasto territorio continentale a volte sommergentesi, bensì soltanto da strette dorsali allungate (teoria degli istmi), o dal giuoco delle due zolle continentali stesse, accostantisi e allontanantisi (teoria della deriva continentale).
Analogamente per ragioni zoogeografiche siamo condotti ad ammettere la persistenza nel Paleogenico del continente africano-brasiliano: significativa a questo riguardo è la presenza di elementi africani nelle faune mammologiche del Terziario antico di Patagonia.
D'altra parte si conoscono nelle Antille numerose specie di coralli coloniali presenti nel Nummulitico vicentino: la loro propagazione in due regioni così distanti sembra richiedere in modo categorico la presenza di una fascia di coste che permettesse la migrazione di faune neritiche, quale appunto poteva rappresentare il margine settentrionale del continente africano-brasiliano. Ciò appare tanto più probabile in quanto possiamo escludere che a tali spostamenti abbia potuto servire il margine sud del continente nordatlantico.
Per quanto con minore sicurezza (non è ammessa da tutti), appare verosimile la consistenza di una terra indo-malgascia (o insieme di terre e isole) separata dall'Africa a mezzo di un braccio di mare corrispondente all'incirca, sebbene più ampio, all'attuale canale di Mozambico.
L'Australia deve poi considerarsi come un elemento continentale a sé, esistente come tale durante il corso del periodo che ci interessa, per quanto non si possa precisarne la data di separazione.
Come si vede lo smembramento del vecchio continente unitario di Gondwana, mantenutosi integro attraverso a tanto volgere di tempo, è nel Paleogenico in uno stadio notevolmente avanzato.
Un ultimo elemento continentale ci è dato dal grande continente sino-siberiano, nell'Eocene medio separato dall'Europa a mezzo di un braccio di mare nella regione degli Urali. Tale poderoso massiccio si comporta già all'epoca che ci interessa come una delle regioni più stabili della crosta terrestre: i depositi dei mari paleogenici restano limitati alla sua periferia.
Fanno riscontro alla serie delle zolle continentali ora passate in rassegna le aree marine che distingueremo in oceani, geosinclinali e mari epicontinentali. Fra gli oceani dobbiamo ammettere l'esistenza: a) di un vasto Oceano Pacifico; le prove paleozoogeografiche in favore di una terra pacifica oggi sprofondata non hanno valore dimostrativo; b) di un Oceano Indiano di estensione forse non troppo diversa dall'attuale, salvo i tratti emersi che abbiamo visto doversi ammettere per render conto delle analogie faunistiche fra Madagascar e India peninsulare. Ne erano dipendenza i mari epicontinentali che occupavano notevole estensione dell'attuale continente australiano (regioni occidentali e meridionali); c) di un Oceano Atlantico, limitatamente però alla sola porzione più meridionale dell'attuale Oceano, fra la Patagonia e l'Argentina da una parte e l'Africa dall'altra, dall'Angola al Golfo di Guinea.
Verso sud i tre Oceani ora detti confondevano le loro acque in un vasto mare Periantartico analogamente a quanto attualmente si verifica; e così pure nella regione polare artica si stendeva tra le sponde opposte dei continenti nordatlantico e sino-siberiano, un Mediterraneo Artico albergante una fauna sua propria e di tipo notevolmente diverso da quella popolante la Mesogea, ed estendentesi a sud con ripetute trasgressioni a ricoprire le terre limitanti (in particolare Mare del Nord, Bacino angloparigino).
I risultati sono alquanto differenti se si accetta il principio della deriva continentale. Fermi restando i fatti fondamentali - rapporti faunistici, distribuzione dei depositi marini -, possiamo interpretarli immaginando di riavvicinare gli attuali massicci continentali in modo da stabilire le comunicazioni richieste dai dati di fatto non mediante ipotetiche terre ora sommerse bensì mediante la contiguità dei continenti stessi. Tre sono i riavvicinamenti principali che occorre operare, per il Paleogenico, in questo ordine di idee: il primo fra Europa e America Settentrionale (in particolare fra i massicci canadese e finno-scandinavo); il secondo fra le coste brasiliane e senegalesi, il terzo fra India e Madagascar. Sono cioè le tre terre nordatlantica, africano-brasiliana e indo-malgascia ricostruite con un'area notevolmente minore di quella che a esse veniva a competere nel quadro precedentemente tracciato.
Anche nel Paleogenico ha un'importanza dominante il grande Mediterraneo (Mesogea, Tetide) di cui possiamo seguire l'andamento dalle Antille fino alle Indie Orientali, in forma di una fascia ondulata che recinge gran parte della circonferenza della Terra e sbocca alle due estremità nell'Oceano Pacifico (all'estremità orientale ha rapporti diretti anche con l'Oceano Indiano). Lo limitano a nord il continente nordatlantico e sino-siberiano, a sud il continente africano-brasiliano e la penisola indiana. Tra questi s'insinuano bracci di mare più o meno vasti che servono di comunicazione con le aree oceaniche: col Mediterraneo Artico il già ricordato braccio di mare uralico e le temporanee invasioni marine inoltrantisi tra i massicci erciniani dell'Europa occidentale, a sud un'ampia comunicazione con l'Oceano Indiano tra la penisola di Oman e Bombay. Data l'ampia sommersione nel nostro periodo della regione corrispondente all'America Centrale, ivi le acque del Mesogeo si confondevano con quelle del Pacifico, separando i due continenti americani.
Nell'ambito del grande Mediterraneo così tratteggiato dobbiamo considerare isole di varia importanza specie in corrispondenza dell'asse delle catene montuose in via di emersione col progredire del processo di sollevamento, conseguenza del corrugamento orogenetico. Infatti le condizioni paleogeografiche generali che siamo venuti esaminando si riferiscono in modo speciale all'inizio del periodo; per rendersi conto dell'importanza dei cambiamenti operatisi nel corso di questo, è sufficiente gettare un'occhiata alla distribuzione delle terre e dei mari alla fine del Paleogenico, quando cioè il processo orogenetico poteva dirsi in pieno sviluppo, ed anche per certe regioni già compiuto.
Osserviamo infatti la sparizione del tratto asiatico della Mesogea, dal golfo del Bengala alla regione del Pamir, restando così saldata definitivamente, per l'emersione del fascio montuoso himalayano, l'India peninsulare al corpo del continente asiatico. Dal Pamir verso occidente è emersa una lunga dorsale che si avanza lungo le catene dell'Afghānistān, della Persia settentrionale, del Caucaso e dell'Anatolia fino all'arco alpino europeo, già in buona parte emerso. L'estensione della Mesogea primitiva resta con tali fenomeni grandemente ridotta e modificata, e la Mesogea stessa può dirsi abbia esaurita la sua funzione geologica chiudendo il ciclo iniziato alla fine del Paleozoico. Per la formazione della dorsale dianzi accennata, saldatasi con l'Arabia a mezzo delle catene siro-palestinesi, si viene a delimitare una porzione europea del Mediterraneo, corrispondente approssimativamente al Mediterraneo romano, con l'avvertenza che nei particolari siamo ancora piuttosto lontani dall'attuale configurazione: p. es. la penisola italiana è ancora quasi affatto sommersa salvo poche isole lungo l'asse appenninico; le Alpi formano anch'esse un arco insulare che coi Carpazî chiude nel suo interno un mare pannonico, mentre all'esterno si stende il mare che copre le zone pianeggianti dell'Europa settentrionale, Polonia e Russia meridionale, e comunica mediante il braccio di mare degli Urali ancora sussistente con le acque settentrionali. Nel tratto intermedio tra Armenia e Pamir l'emersione delle catene ha scisso la primitiva unità della Mesogea, separando a sud due golfi, l'uno corrispondente all'incirca all'attuale golfo Persico ma più ampio, l'altro al Belūcistān, golfi che si possono ormai considerare come dipendenze dell'Oceano Indiano; a nord sussiste un ampio mare coprente la regione del Caspio e del Turkestan russo fino al limite meridionale del continente nordatlantico (massiccio finno-scandinavo e tavolato russo) e confondentesi a ovest col mare testé ricordato esterno all'arco alpino carpatico.
Principali fenomeni. - Domina il fenomeno orogenetico, del quale abbiamo visto brevemente gli effetti d'insieme, raggiunti naturalmente attraverso a una serie di fasi di varia importanza, in parte sovrapponentisi, delle quali ricorderemo le principali. La fase andina ha inizio alla fine del Cretacico, e si prolunga attraverso il Paleogenico per una durata che non possiamo esattamente definire: basterà notare ch'essa appartiene in complesso alle prime manifestazioni dell'orogenesi terziaria. Viene quindi la fase pirenaica circoscritta all'Eocene: emergono in questa come catene montuose i Pirenei e le montagne della bassa Provenza. Nell'Oligocene viene finalmente la terza fase o alpina, che vede costiparsi e sovrapporsi le grandi pieghe coricate caratteristiche delle Alpi. Naturalmente, per avvicinarsi quanto più è possibile alla realtà dei fatti, occorre togliere quanto di troppo schematico appare dal quadro qui riferito. Si noti poi che i processi orogenetici culminanti nell'Oligocene continuano con varia intensità nel periodo successivo, non mancandone i riflessi neppure nel Quaternario.
In relazione al sollevarsi del fondo delle geosinclinali per effetto del corrugamento degli strati rocciosi, stanno naturalmente le variazioni della superficie occupata dai mari (trasgressioni e regressioni). Alla vasta trasgressione cenomaniana (Cretacico medio) segue un periodo di esondazione alla fine del Cretacico, i cui depositi più alti denotano in molti punti un carattere di mar basso. Segue all'inizio del Paleogenico una nuova trasgressione, non paragonabile tuttavia alla cenomaniana, e non dovunque sensibile. Tale fenomeno è bene osservabile nella regione danese, dove gli strati depostisi nel più alto Cretacico (Daniano) sono ricoperti da assise conglomeratiche, i cui ciottoli provengono dal Daniano sottostante, riferibili al più basso Paleogenico (Montiano). In molte altre regioni però la trasgressione si verifica più tardi, restando una lacuna corrispondente ai primi tempi del Paleogenico, per effetto dei primi movimenti orogenici (fase andina o anteluteziana) che hanno determinato un periodo di emersione o quanto meno d'interruzione di deposito. D'altra parte alla fine del Paleogenico si è verificato nell'Europa continentale un movimento opposto di regressione, seguito, all'inizio del Neogenico, da una nuova trasgressione. Di queste due trasgressioni principali possiamo servirci per fissare i limiti del tempo e della sedimentazione del Paleogenico.
All'intensità dei fenomeni orogenetici si accompagna un accentuarsi dell'attività vulcanica, in complesso più notevole che nel Cretacico.
Sono del Paleogenico i basalti del Vicentino, le labradoriti e andesiti dei Carpazî e di Trebisonda; nelle Montagne Rocciose e nelle Ande di Patagonia da centri vulcanici entrati in attività col Paleogenico provennero i materiali piroclastici che si ritrovano negli strati continentali dell'epoca. Così pure sono stati attribuiti alle eruzioni vicentine i costituenti piroclastici delle arenarie di Taveyannaz (Alpi Occidentali).
Le condizioni climatiche ci sono rivelate essenzialmente dalla composizione delle flore continentali. È stata calcolata una temperatura media che discende da 25° a 20° nel corso del periodo; tale abbassamento rientra nel fenomeno generale che si verifica durante le ultime età geologiche. Ma il fatto più saliente è dato dal progressivo differenziarsi dei climi, del quale si hanno tracce dalla fine del Cretacico e via via sempre più evidenti lungo il corso del Terziario.
Certi gruppi di piante terrestri che potremo definire tropicali non si riscontrano che fino a una certa latitudine. Molto interessante a questo proposito è l'accantonamento relativo di palme, Ficus, Cinnamomum da una parte, di Populus, Corylus dall'altra, nel Paleogenico inferiore dell'America settentrionale (gruppo di Laramie).
Nel dominio marino constatiamo del pari l'esistenza di provincie zoologiche da mettere probabilmente in relazione col fattore climatico: la fauna della Mesogea non è la stessa di quella del mare artico e delle sue dipendenze. Nel Bacino angloparigino hanno luogo la commistione e le reciproche interferenze delle due faune diverse.
Facies principali dei sedimenti. - I depositi di mare profondo sono scarsamente rappresentati. Li ritroviamo lungo l'asse delle geosinclinali. Marne e argille a crinoidi nei Pirenei, e particolari assise di calcari grigi scistosi ricchi di globigerine comprese nella grande formazione del flysch delle Alpi Occidentali. Predominano all'opposto le formazioni neritiche sia organogene (calcari di varia natura, tipici i calcari a nummuliti caratteristici del periodo) sia clastiche (potenti serie di arenarie e marne alternanti, sabbie, conglomerati); queste ultime da mettere in rapporto con la denudazione delle catene che andavano emergendo. Notevole estensione e importanza competono ai depositi lagunari, molto diffusi là dove bracci di mare si trovarono più o meno isolati dal mare aperto, oppure, tagliati fuori per il sorgere di barriere, andarono incontro a forti variazioni di salinità o anche al disseccamento. Si originarono così calcari d'acqua salmastra distinti da una fauna speciale (Cyrena, Lucina, Melanopsis, Paludina), talora contenenti strati silicei dovuti ad accumulo di Diatomee; banchi di combustibile fossile hanno origine per accumulo di resti vegetali convogliati dalle acque (Istria; Gonnesa in Sardegna). I depositi continentali sono anch'essi, e si può dire per la prima volta nella serie dei terreni, bene rappresentati. Limitandoci a considerare quelli appartenenti alla regione dei massicci dell'Europa continentale, troviamo: argille e sabbie fluviali ripetutamente dilavate e decalcificate; terra rossa sugli altipiani calcarei come riempimento di fessure, ecc., spesso ricca di mammiferi; depositi lacustri di vario tipo.
Caratteri paleontologici. - Sulla flora abbiamo conoscenze abbastanza esatte grazie ai resti conservati nei depositi continentali o lagunari. Abbondano le Angiosperme comparse già nel Cretacico con ambedue le classi delle Monocotiledoni e Dicotiledoni, rappresentate da famiglie e generi anche attualmente viventi. In generale si nota una più ampia estensione verso nord dei tipi tropicali, ciò che fa supporre una più elevata temperatura media: così nell'Eocene anglo-francese troviamo Felci arboree, Artocarpacee, Lauracee, Araliacee, ecc., con un complesso simile a quello delle regioni calde attuali. Accanto, abbiamo d'altra parte tipi prossimi a quelli che attualmente vegetano nella zona (Quercus, Alnus, Betula, Populus, Vitis, Hedera, ecc.). La medesima predominanza di tipi caldi si rileva anche nell'Oligocene, periodo al quale risalgono i depositi d'ambra (resine fossili di conifere) lungo le sponde del mare del Nord, ben noti fino dall'antichità. In quelle foreste preponderavano le conifere: Taxodium e Sequoia mal distinguibili dagli attualmente viventi, Callitris, Doliostrobus, rare Cicadacee. Inoltre Angiosperme delle famiglie delle Palme, Cupulifere, Lauracee, Sapindacee, Oleacee, Ericacee, ecc. Le principali forme arboree proprie dei nostri tempi sono presenti nell'Oligocene, e nelle regioni europee mostrano già di aver raggiunto l'attuale accantonamento (Alnus, Fagus, Salix, Ulmus, Acer, Fraxinus, ecc.). Come si vede, il mondo vegetale dopo la comparsa delle Angiosperme nel Cretacico ha ormai raggiunto la fisionomia attuale, restando le variazioni limitate per lo più nell'ambito dei generi. Fra i generi estinti ricorderemo Doliostrobus (conifere), Rhizocaulon (ciperacee), Anoectomeria (ninfeacee).
Nel regno animale constatiamo la scomparsa di grandi gruppi tipici del Mesozoico (Dinosauri, Ammoniti, Belemniti); scomparsa già preannunciata o addirittura compiuta nelle assise supreme del Cretacico. Sorgono altri gruppi, alcuni dei quali esclusivamente limitati al Paleogenico, altri sopravviventi con varia abbondanza di forme nei periodi successivi.
I Foraminiferi assumono un posto di prim'ordine per importanza sia stratigrafica sia litogenetica, con le Nummuliti, Assiline, Ortoframmine: i "calcari a nummuliti" sono, si può dire, la roccia più caratteristica del Paleogenico, che ha potuto essere anche chiamato Nummulitico. La stratigrafia di dettaglio dei terreni paleogenici marini è basata in buona parte sulle forme in discorso, che si evolvono e si succedono nel corso del periodo e chiudono con questo la loro esistenza.
Altri generi della stessa famiglia, che saranno poi tipici del Neogenico, sono Lepidocyclina e Miogypsina. È da notare il fatto che le Nummulitidi sono limitate alla regione mediterranea: rappresentando graficamente la distribuzione dei depositi che le contengono, si riproduce approssimativamente l'estensione della Mesogea (v. fig. 4).
Poche forme passano, attraverso ai bracci di mare epicontinentali, nei bacini settentrionali e servono allora per stabilire i sincronismi delle due serie di depositi.
Da ricordare ancora, tra i Foraminiferi, le Alveoline e il gruppo delle Miliolidi, aventi gran parte, queste ultime, nella costituzione di certe formazioni ("calcare grossolano" nel Bacino di Parigi). Importanti i Coralli di cui le forme coloniali costruttrici di scogliere (Astrocoenia, Porites) sono abbondantemente rappresentate lungo la fascia mediterranea accompagnandosi alle Nummuliti.
Fra i Crostacei, svariate forme caratteristiche di Decapodi brachiuri (Ranina, Harpactocarcinus, Psammocarcinus, Lobocarcinus), che raggiungono nel Paleogenico un particolare sviluppo.
Fra gli Echinodermi primeggiano gli Echinoidi, e fra questi sempre maggiore importanza acquistano gl'Irregolari Spatangidi (Spatangus, Linthia, Brissus, Schizaster, Macropneustes) tipicamente presenti nelle faune mediterranee. Alla fine del Paleogenico compaiono forme che assumeranno caratteristico sviluppo nel Neogenico (Clypeaster, Scutella). I Molluschi costituiscono pur sempre un elemento importantissimo delle faune neritiche. È noto che la primitiva divisione del Terziario dovuta a Lyell in Eocene, Miocene e Pliocene, era basata sulla percentuale, come è evidente, via via sempre maggiore, di specie viventi: le faune del Paleogenico sarebbero distinte dal possedere il 3,5% di specie attuali, che salgono già al 17% nel periodo seguente. Fra i Lamellibranchi meritano di essere ricordati i generi Venus, Cytherea, Tellina, Corbula, Leda, Lucina, Cardium, Cyrena. Straordinario sviluppo assumono i Gasteropodi; le grandi specie del genere Cerithium sono caratteristiche dell'Eocene. Per la provincia mediterranea importante il genere Velates. Inoltre Pleurotoma, Fusus, Conus, Pyrula, Murex, ecc. Dei Cefalopodi già scomparse le Ammoniti prima dell'inizio del periodo; il gruppo intero non ha nel Paleogenico e successivamente che un'importanza secondaria, tuttavia compaiono alcuni nuovi generi (Aturia fra i Nautilidi, Belosepia e Beloptera fra i Sepioidi, i due ultimi esclusivi dell'Eocene). Nei Pesci, il gruppo dei Teleostei, già affermatisi nel Cretacico superiore, ha ora assoluta predominanza su quello dei Cartilaginei. I generi attuali esistono già in forte percentuale. Scarsi i resti di Anfibî, Rettili e Uccelli, che non rivelano sostanziali modificazioni dal Paleogenico. I Mammiferi invece attraversano in questo periodo fasi importantissime della loro storia, e si presentano con abbondanza di tipi. Assistiamo al succedersi di diverse faune, rappresentanti ciascuna una fase dell'evoluzione del gruppo, per mezzo delle quali è consentito istituire una serie cronologica dei depositi continentali. Possiamo dire che le Nummuliti e i Mammiferi siano i gruppi animali più importanti e interessanti di questo periodo. Si ricorderà che alcune ricostruzioni paleogeografiche sono state basate sull'esame comparativo delle faune mammalogiche dei varî continenti (per lo sviluppo storico della classe nel complesso si veda mammiferi: Paleontologia). La linea direttrice delle trasformazioni dei Mammiferi nel periodo che ci interessa consiste in questo, che con l'inizio del Terziario alle forme primitive e atipiche degli Aplacentali alloterî, sporadi che nel Mesozoico dal Trias superiore, succedono gruppi più altamente organizzati appartenenti alla sottoclasse dei Placentali; gruppi che vanno evolvendo nel corso del Paleogenico in modo che alcuni di essi si estinguono in questo senza lasciar discendenza, altri invece oltrepassano i limiti del periodo, e nel Neogenico costituiscono i progenitori delle faune attuali. In linea di massima il Paleogenico sarà dunque distinto alla presenza di Placentali primitivi.
Dato poi che almeno nei primissimi stadî del periodo sopravvivono gli Alloterî, abbiamo da considerare: a) Aplacentali; li troviamo nei depositi del più basso Terziario (Puerco, America Settentrionale; Cernay presso Reims), ad esempio Neoplagiaulax. I Marsupiali non erano ancora strettamente accantonati nella regione australiana. b) Placentali; constatiamo la presenza dei varî ordini oggi esistenti, sia pure con generi per la maggior parte estinti. Primeggiano gli Ungulati con i sott'ordini dei Condilartri, presenti nelle più basse assise nell'Eocene (Phenacodus), dei Perissodattili, fra i quali si delineano i gruppi dei Tapiridi, degl'Iracoteridi (Hyracotherium, Eohippus, nella cui discendenza si trova il cavallo), degli Artiodattili (Elotherium nell'Eocene e Anoplotherium, Anthracotherium nell'Oligocene). Interamente estinti gli Amblipodi, fra cui i giganteschi Dinoceratidi dell'Eocene dell'America Settentrionale. I Carnivori sono rappresentati dal gruppo primitivo dei Creodonti. Interessanti le Proscimmie, e le prime Scimmie (Propliopithecus, antropomorfo dell'Oligocene egiziano), e gli antenati degli attuali Proboscidati (Moeritherium, Eocene superiore; Palaeomastodon, Oligocene).
L'esposizione dei caratteri generali del periodo tenuta fin qui sarà utilmente completata da un breve esame delle condizioni particolari offerte dai terreni paleogenici in qualche più caratteristica regione, esame che ci mostrerà esempî e riflessi dei fenomeni che abbiamo imparato a conoscere.
Bacino parigino. - Dopo l'esondazione alla fine del Cretacico, la trasgressione iniziale del Paleogenico riconduce il mare sulla regione franco-inglese e belga: sono le acque del Mare del Nord che attaccano nuovamente, dapprima in forma di canali più o meno limitati, in seguito con una sommersione più generale, il vecchio continente europeo.
Eocene. - Il Montiano è rappresentato da calcari a Lithotamnium con Turritella montensis e Cerithium inopinatum. Più ampiamente diffusi sono i depositi successivi del Tanetiano: le "sabbie di Bracheux" con Ostrea bellovacina; il tipo della fauna rivela una provenienza settentrionale. Coeve, nella regione di Reims, formazioni continentali: il calcare lacustre di Rilly, i travertini di Sézanne con insetti e piante, e i conglomerati di Cernay con mammiferi primitivi (Neoplagiaulax). Segue con lo Sparnaciano un periodo di ritiro del mare (depositi salmastri: argille lignitifere; o continentali: argille e conglomerati fluviali con resti di mammiferi). Ritorna il mare con l'Ypresiano: ancora sabbie, coprenti un'area più vasta di quella della trasgressione tanetiana, contenenti, questa volta, una fauna a influenze meridionali. La presenza di Nummulites planulatus-elegans dimostra essersi stabilita una comunicazione col Mediterraneo, per la quale potevano penetrare nel mare settentrionale le nummuliti proprie di questo. La sommità dell'Ypresiano denota una regressione. Nuova e più ampia trasgressione col Luteziano, che si può dire segni la fase massima del fenomeno trasgressivo verificatosi a più riprese a partire dall'inizio del Paleogenico. Si depongono ora i "calcari grossolani", con una fauna ricca di elementi mediterranei: nummuliti, grandi echinoidi (continua, dunque, la comunicazione col Mediterraneo stabilitasi nell'Ypresiano). Altro ritiro del mare, e poi trasgressione dell'Auversiano; nelle "sabbie medie" che a questa corrispondono mancano le grandi nummuliti, e la fauna a cerizî è lievemente modificata rispetto a quella luteziana. Si vanno facendo numerose le intercalazioni di calcari d'acqua dolce (con Planorbis, Limnaea, ecc.), finché il Ludiano riporta un regime più decisamente marino (marne a Pholadomya ludiensis). Alla fine dell'epoca assistiamo al disseccamento del mare ludiano, e conseguente formazione, per evaporazione, dei "gessi di Montmartre", famosi per le faune a mammiferi illustrate dai classici lavori di Cuvier.
L'Oligocene è poco istruttivo nel Bacino di Parigi, non avendosi grandi cambiamenti nelle condizioni generali. Accenniamo ai tre piani: Lattorfiano (o Sannoisiano), con le "marne sopragessose", lagunari, con orizzonti marini, e i "calcari di Brie", lacustri; Rupeliano (o Stampiano), ultima invasione del mare nel bacino, con deposito delle "marne a Ostraea" e delle "sabbie di Fontainebleau" (fauna tipicamente diversa da quella eocenica: Natica crassatina, Cythaerea splendida); Cattiano, definitivo ritiro del mare dalla regione, calcari lacustri di Beauce, con Helix Ramondi alla base, mentre la sommità, con Helix au relianensis, corrisponde già all'inizio del Neogenico.
In Germania troviamo invece un Oligocene tipicamente sviluppato con facies marine. La trasgressione avviene qui in ritardo, e l'Eocene è praticamente mancante. Nel Lattorfiano il mare si avanza dal nord fino al massiccio boemo, depositandovi sabbie verdi estremamente fossilifere. Sulle coste baltiche, conglomerati contenenti blocchi d'ambra (v. sopra). Il Rupeliano segna un ulteriore avanzarsi del mare, che giunge fino in Alsazia. Col Cattiano termina la serie paleogenica: sabbie glauconiose marine nella regione di Kassel, mentre più a sud, nel bacino di Magonza, si notano segni di esondazione (marne salmastre a Cyrena, calcari a cerizî con intercalazioni lacustri, calcari a Hydrobia).
Il Paleogenico nelle Alpi. - I depositi sono qui profondamente diversi, in quanto formatisi non in mari epicontinentali, bensì in una geosinclinale. I sedimenti hanno un grande spessore e la sedimentazione è continua, almeno lungo l'asse di questa. Ai margini assistiamo al ripetuto giuoco delle trasgressioni, come nel Bacino parigino. I depositi in parola formano una fascia lungo l'esterno dell'arco alpino dalla regione liguro-provenzale ai Grigioni. Controversa è ancora l'interpretazione stratigrafica della serie, in quanto procedendo verso l'interno della fascia alpina troviamo tettonica complicata, metamorfismo e mancanza di fossili. Il più antico piano paleontologicamente datato è il Luteziano. Mancano però veramente i termini più bassi del Paleogenico, o sono rappresentati da assise afossilifere? Alcuni affermano la continuità della sedimentazione dal Cretacico al Terziario, cui spetterebbero già le assise supreme degli "scisti lucidi" delle Alpi occidentali (essenzialmente mesozoici); secondo altri esisterebbe una lacuna al limite ora detto. Comunque il Paleogenico segna la fine della geosinclinale alpina, che si riempie di materiale clastico, proveniente dalla dorsale della catena ormai in via di decisa emersione.
Verso l'esterno, nella regione provenzale, possiamo seguire varie fasi d'una trasgressione che parte dall'asse della geosinclinale, invadendo il margine del continente. Il fenomeno s'inizia col Luteziano superiore, e s'intensifica fino al Priaboniano (= Bartoniano + Ludiano nella scala cronologica usata per il Mediterraneo). Nel Luteziano e Auversiano abbiamo calcari con grandi nummuliti (N. perforatus, N. millecaput, e in più, nell'Auversiano, N. striatus); nel Priaboniano la taglia delle specie diminuisce, e compaiono intercalazioni salmastre (fauna a Cerithium Diaboli). Più a oriente, ossia verso l'asse della catena, troviamo i tre termini (e forse anche l'Eocene inferiore?) in sovrapposizione, rappresentati da calcari a grana fine a globigerinidi (ossia un deposito di mare piuttosto profondo; v. sopra); e da potenti masse arenacee: il cosiddetto "flysch nero", le arenarie di Annot, ritenute dapprima oligoceniche, ma probabilmente eoceniche, e di Taveyannaz, queste ultime ricche di materiale piroclastico (v. sopra).
I depositi oligocenici sono scarsamente rappresentati; località fossilifere sono note soltanto all'esterno della zona (faune a Natica crassatina).
Il Paleotenico nella penisola italiana. - I terreni in questione hanno una grande importanza per la penisola italiana, costituendo buona parte della dorsale appenninica (si noti, però, che la delimitazione esatta di quello che, nell'Appennino, spetta veramente al Paleogenico, è ancora materia controversa). Ma non in quest'ultima si presentano con lo sviluppo più caratteristico. Nel Veneto infatti ritroviamo una tipica serie epicontinentale, con spessore moderato, varietà di facies e ricchezza di faune, paragonabile a quella classica del Bacino parigino. Siamo cioè dall'altro lato della geosinclinale alpina, sui margini dello zoccolo dinarico (dipendenza del continente africano).
Nel Vicentino e Veronese il Paleogenico più basso è mancante, ma nello Spilecciano possiamo vedere l'equivalente dello Sparnaciano e Ypresiano. Al Luteziano spettano i classici giacimenti di M. Postale e di M. Bolca, quest'ultimo ben noto per la sua ricchezza di pesci, e di S. Giovanni Ilarione. L'Auversiano è rappresentato dagli strati di Roncà. Il Priaboniano ha qui il suo sviluppo tipico, con marne a Cerithium Diaboli, Nummulites Fabianii, Clavulina Szaboi. Finalmente gli strati di Sangonini, di Castelgomberto (con ricchissima fauna, specie di coralli) e di Lonedo rappresentano l'Oligocene (Lattorfiano, Rupeliano, Cattiano rispettivamente). Le facies di questa bella serie paleogenica sono svariate, avendosi ora il predominio dei depositi organogeni (calcari), ora di quelli clastici e piroclastici (sabbie, tufi, brecciole basaltiche).
Non è possibile dare un'esposizione conclusiva sul Paleogenico dell'Appennino, dato che le opinioni sono ben lungi da un accordo sia pure di massima. Difficoltà gravissime sono opposte dalla mancanza di fossili e dall'omogeneità delle facies, e problemi particolari sorgono in relazione a determinate formazioni (argille scagliose).
Nell'Appennino settentrionale e in Toscana, dove la questione è più che altrove intricata, al Paleogenico si ascrivono potenti formazioni arenacee, arenaceocalcaree e scistose, poverissime, in complesso, di fossili. Il più basso livello sembra dato da calcari e brecciole nummulitiche (Alpi Apuane) riportabili al Luteziano. L'Eocene inferiore è forse rappresentato dalla parte più alta degli scisti policromi (prevalentemente Cretacico superiore). Al di sopra dei calcari e brecciole nummulitiche nelle Apuane, e in Toscana trasgressivamente su formazioni più antiche, vengono poi "l'arenaria macigno", gli "scisti galestrini" (localmente "argille scagliose") e i "calcari alberesi e arenarie superiori", nei quali tutti si rinvennero sporadicamente nummuliti denotanti, in genere, un'età eocenica medio-superiore o oligocenica. La questione è però complicata dalla contemporanea presenza di documenti paleontologici in un certo senso discordanti: fossili miocenici nel macigno (p. es., Porretta), cretacei, e fors'anche più antichi, nelle argille scagliose, donde controversie sul valore cronologico dei singoli fossili, e sulla loro giacitura (invocandosi, a spiegare le anomalie, un rimaneggiamento: l'età del fossile, cioè, non è quella dello strato che lo contiene). Si aggiungano le difficoltà presentate dalla giacitura delle argille scagliose, che quasi sempre non è la stratigrafica originaria.
Nell'Umbria e Marche Eocene e Oligocene sono rappresentati, come attestano le faunette a nummuliti e lepidocicline, dalla cosiddetta "scaglia rosata" (Eocene) e "scaglia cinerea" (Eocene e, alla sommità, Oligocene). La sedimentazione sembra essere continua dal Cretacico (a differenza della Toscana). Al disopra viene la "formazione marnoso-arenacea" con faune mioceniche (passa lateralmente, questa, alle formazioni toscane ascritte all'Eocene, nelle quali pure abbiamo visto trovarsi fossili miocenici: è un altro lato del complesso problema).
Nella porzione centro-meridionale della penisola, il Paleogene, limitato per lo più all'Eocene, e più precisamente alle divisioni media e superiore di questo, si presenta con caratteri differenti. Due facies principali occorrono: calcarea (Gran Sasso, Maiella, Gargano), e argilloso-arenacea o di flysch, con lenti di calcari e brecciole nummulitiche e conglomerati intercalati (Campania, Puglie, Basilicata, ecc.).
Bibl.: E. Haug, Traité de géologie, Parigi 1908-11; M. Gignoux, Géologie stratigraphique, Parigi 1926; E. Kayser, Lehrbuch der Geologie, Stoccarda 1913; C. F. Parona, Trattato di geologia, Milano 1924; R. Zeiller, Éléments de paléobotanique, Parigi 1900.