Perquisizioni domiciliari
La Corte europea dei diritti dell’uomo affronta il tema delle perquisizioni domiciliari disposte extra procedimento penale, censurando l’illegalità e la sproporzionalità di mandati eccessivamente ampi, carenti, in quanto tali, di qualsivoglia indicazione inerente il motivo della perquisizione e rilevando come, nell’ottica dell’ «interesse [proprio] di una società democratica ad assicurare il rispetto del domicilio», consimili perquisizioni «non [possano] costitui[re] un mezzo ragionevolmente proporzionato al raggiungimento degli scopi legittimi perseguiti».
Con la recente pronuncia Aydemir c. Turchia1, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affrontato la questione avente a oggetto la legittimità della perquisizione domiciliare. Tipico atto a sorpresa, la perquisizione locale – species della quale è rappresentata dalla perquisizione domiciliare – è mezzo di ricerca della prova che consiste nel per-quaerere allo scopo d’acquisire alla procedura il corpo del reato o le cose pertinenti al reato ovvero d’eseguire l’arresto dell’indagato, dell’imputato o dell’evaso (art. 247, co. 1, c.p.p.).
Quanto alle perquisizioni domiciliari, preme osservare come l’attuale codice di procedura penale sposi, in chiave spaziale, una nozione di domicilio più estesa rispetto a quella propria del codice civile, ricomprendendovi tanto l’«abitazione», quanto i «luoghi chiusi adiacenti a essa» (art. 251, co. 1, c.p.p.). Ciò nonostante, la migliore dottrina concorda sull’opportunità di ampliare ulteriormente la correlativa nozione processualpenalistica, risagomandola a partire da quella contenuta nell’art. 614 c.p.2.
Come attestato dall’onnicomprensiva locuzione «autorità giudiziaria» (art. 247, co. 3, c.p.p.), facoltizzati a disporre la perquisizione, con proprio decreto motivato (art. 247, co. 2, c.p.p.), risultano essere tanto il p.m., quanto il giudice (g.u.p. ex art. 422 c.p.p.; giudice del dibattimento ex art. 507 c.p.p.). «Nella flagranza del reato o nel caso di evasione », a perquisizione locale potranno procedere, d’iniziativa, altresì gli ufficiali di polizia giudiziaria (art. 352, co.1 e 4, c.p.p.).
Norma policroma, l’art. 8 CEDU è statuizione chiamata a proteggere quattro distinte sfere proprie dell’autonomia personale – vita privata, vita famigliare, domicilio e corrispondenza. E per quanto la C. eur. dir. uomo appaia sovente restia a individuare con precisione il singolo diritto violato, non sembra revocabile in dubbio che qualsivoglia azione statuale possa interferire con più diritti qui protetti, i quali ultimi, non di meno, mantengono la loro autonomia concettuale. L’eccezione, in quest’ottica, sembrerebbe essere rappresentata proprio dal domicilio che, nell’interpretazione lasca datane dal giudice sovranazionale, parrebbe rinvenire protezione vuoi diretta, vuoi riflessa: come è stato osservato, infatti, la nozione di «vita privata» ricomprende altresì lo «spazio privato circostante la persona»3 lato sensu inteso.
Nell’ottica del giudice di Strasburgo, le perquisizioni domiciliari rappresentano ex se ingerenza nella vita privata e nel domicilio, con la conseguenza che, per essere convenzionalmente legittime, dovranno palesarsi in linea con i parametri propri dell’art. 8, § 2, CEDU.
Repertori giurisprudenziali alla mano, è dato constatare come, in subiecta materia, la C. eur. dir. uomo tenda a focalizzare l’attenzione sulla «legalità e proporzionalità delle misure»4, pretendendo adeguate guarentigie contro gli abusi.
Con specifico riguardo alla fase esecutiva, si rimarca la necessità di formulare «in modo puntuale e motivat[o]» gli «ordini di perquisizione», censurando, siccome sproporzionati, mandati eccessivamente ampi e «carenti delle [basilari] indicazioni inerenti [i]l motivo della perquisizione, [i] luoghi da visitare e [gli] oggetti da sequestrare»5.
Applicando codesti principi, la C. eur. dir. uomo ha condannato la Turchia per violazione dell’art 8 CEDU.
Battendo tracciati argomentativi che rimarcano la necessità d’assicurare legalità e proporzionalità dell’azione statuale, i giudici di Strasburgo hanno osservato, in primis, come l’esperita perquisizione domiciliare si palesasse illegittima per non essere stata disposta «nel corso di un procedimento penale ». A ciò aggiungasi come il «mandato di perquisizione » fosse generico e non indicasse, in alcun modo, le ragioni «che a[veva]no indotto il giudice a ritenere necessaria la perquisizione».
Di qui l’inosservanza dell’art. 8 CEDU, posto che consimili perquisizioni «non [possono] costitui[re] un mezzo ragionevolmente proporzionato al raggiungimento degli scopi legittimi perseguiti».
Con riguardo alla prima questione prospettata – perquisizione domiciliare disposta extra procedimento penale –, preme osservare come, nell’ottica del codificatore nazionale, affinché la perquisizione si palesi legittima, è necessario sussistano «fondat[i] motiv[i] di ritenere» che, nel luogo, si celino corpora delicti o ricercati. In difetto, l’esperita perquisizione sarà affetta da nullità6. Ciò implica, in primis, che esistenza e (previa) iscrizione della notitia criminis nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p. rappresentino sempre l’imprescindibile presupposto per “attivare” correttamente il mezzo di ricerca della prova de quo7. Con riguardo alla seconda questione prospettata – «mandato di perquisizione» generico –, preme, per quel che qui importa, porre in luce come, nell’ambito dell’ordinamento italiano, la motivazione del provvedimento sia «requisito essenziale» dello stesso8. Presupponendo la perquisizione l’esistenza di indizi di reato, essa dovrà dare conto, seppur per sommi tratti, delle prescrizioni legali che si assumono violate, degli specifici fatti oggetto d’imputazione, nonché del nesso esistente tra cosa nascosta e ipotesi criminose prospettate.
Quanto, infine, alla terza questione prospettata – omessa indicazione delle ragioni «che a[veva]no indotto il giudice a ritenere necessaria la perquisizione » –, preme osservare come, a parere della giurisprudenza nazionale, affinché la perquisizione si palesi legittima, è necessario altresì che il magistrato proceda a preventivamente “identificare” il thema probandum. In difetto, la perquisizione perderà i propri connotati di mezzo di ricerca della prova per diventare inammissibile strumento proteso a acquisire notizie di reato in spregio alla «libertà individuale lato sensu» intesa9.
Se quanto precede è corretto, a suscitare perplessità connesse agli insegnamenti propri della giurisprudenza convenzionale in materia non sembrerebbero essere le perquisizioni, locale e domiciliare, disciplinate dal codice di procedura penale, bensì quelle “di polizia” previste dagli artt. 41 R.d. 18.6.1931, n. 773 e 103 d.P.R. 9.10.1990, n. 309. Sono, queste, come noto, norme che attribuiscono a ufficiali e agenti di polizia giudiziaria ulteriori, incisivi, poteri di controllo, ispezione e perquisizione, sagomando istituti aventi carattere pre-procedimentale e natura squisitamente preventivo-repressiva.
1 Corte eur. dir. uomo, 24.5.2011, Aydemir c. Turchia.
2 Foschini, G., Sistema del diritto processuale penale, II, Milano, 1968, 21; Bellantoni, G., Le perquisizioni nella disciplina del codice di procedura penale: aspetti problematici, in Indice pen., 1976, 37.
3 C. eur. dir. uomo, 23.9.1998, McLeod c. Regno Unito; C. eur. dir. uomo, 25.2.1993, Funke c. Francia.
4 C. eur. dir. uomo, 25.2.1993, Funke c. Francia, cit.; C. eur. dir. uomo, 30 marzo 1989, Chappel c. Regno Unito.
5C. eur. dir. uomo, 18.7.2006, Keegan c. Regno Unito.
6 Cass. pen., sez. V, 12.4.2002, Formica, in Guida dir., 2002, n. 36, 77.
7 Cass. pen., sez. VI, 17.6.1997, Tretter, in Riv. pen., 1998, 411.
8 Cass. pen., sez. VI, 2.5.1993, Caputi, in CED Cass., 194374.
9 Cass. pen., sez. I, 22.4.1993, Zappoli Thyrion, in Cass. pen., 1994, 2192.