PERSEO (Περσεύς, Perseits)
La leggenda di P. è nota attraverso numerosi documenti letterarî e archeologici, dei quali ciascuno illumina un particolare aspetto, uno o più episodi, ma tutti concorrono a darne il quadro complessivo, consentendo inoltre di individuarne l'originario nucleo naturalistico, e di distinguerne le posteriori aggiunte a carattere sia naturalistico sia novellistico. Certo questo mito ci appare nella sua compiutezza, già ricco di tutti gli elementi ond'esso a poco a poco prese corpo e vita, nel racconto di Ferecide ateniese, a mezzo il sec. V a. C. (schol. ad Apollon. Rhod., IV, 1091 e 1515 = F. Gr. Hist., I, n. 3, fr. 10-12); racconto che non c'è pervenuto integro, ma che bene può essere integrato con l'uso del testo di Apollodoro (2, 4, 1 ss. Sul tempo della composizione della Biblioteca, v. apollodoro di atene).
Narrano dunque i mitografi come P. fosse figlio di Zeus e di Danae, Zeus in forma di pioggia d'oro avendo violato la chiusa prigione ed essendo penetrato nel grembo di lei (v. danae); e come Acrisio, padre di Danae, temendo l'avverarsi della profezia dell'oracolo di Delfi, che gli aveva predetto la morte per mano del nipote, facesse gettare in mare, chiusi in una cesta, madre e bambino. Le onde non li inghiottirono, bensì sospinsero la cesta nei pressi dell'isola Serifo, ov'essa fu pescata da Ditti, fratello di Polidette, re dell'isola. Presso Ditti i due naufraghi trovarono asilo, e P. trascorse in Serifo l'infanzia e la prima giovinezza. Sennonché accadde che Polidette s'accendesse d'amore per Danae, e andasse cercando il pretesto di liberarsi del giovanetto; e che dunque cogliesse occasione dall'esclamazione di lui "ἐπὶ τῆ Γοργόνος κεϕαλῆ" - che evidentemente voleva significare non una promessa, ma solo l'esuberante entusiasmo con cui il giovane si preparava ad offrire il dono nuziale - per imporre a Perseo un'impresa che non poteva non apparire ineffettuabile e mortale. Divenne invece, con l'aiuto di Ermes e di Atena, impresa eroica e semidivina, ma non priva di ostacoli. Ecco la prima tappa: le tre sorelle Graie, vecchie fin dalla nascita, e provviste d'un unico occhio e d'un unico dente con i quali vedevano e masticavano a turno; ad esse, avendole private dell'occhio e del dente, P. strappa il segreto della sede di certe Ninfe che possedevano la cappa che rende invisibili, i calzari alati indispensabili per giungere fino all'Oceano dove abitavano le Gorgoni, e la bisaccia magica (κίβισις) che avrebbe dovuto contenere, una volta recisa, la testa della Gorgone. Così P. perviene alle Ninfe e ne ottiene, restituendo l'occhio e il dente delle Graie, gli oggetti magici che desiderava; grazie ai quali felicemente raggiunge la remota sede delle Gorgoni e recide il capo a Medusa che, tra esse, era la sola mortale. Con il capo di Medusa nella bisaccia, P. s'allontana a volo, sfuggendo all'inseguimento delle altre due Gorgoni, grazie alla cappa che lo faceva invisibile. Nella fuga egli giunge alla terra degli Etiopi (o dei Cefeni) dove regnava Cefeo. (A questo punto s'inserisce l'episodio di Andromeda, per il quale v. andromeda). P. fa ritorno in Serifo ove giunge in tempo per salvare la madre, verso la quale Polidette voleva usare violenza; Polidette e il suo popolo sono da P. pietrificati col mostrar loro la testa di Medusa, il cui sguardo aveva appunto il potere di trasformare in pietra.
Collocato Ditti sul trono regio, P. abbandona Serifo, seguito dalla madre Danae e dalla moglie Andromeda (e anche da Ciclopi, secondo la versione ferecidea) e si trasferisce in Argo dove ancora regnava il nonno Acrisio. Il quale però, alla notizia dell'arrivo di P., paventando il responso dell'oracolo, fugge in Larissa Pelasgica, ove poco dopo il nipote lo raggiunge, per persuaderlo a far ritorno in Argo. Ma proprio allora, contro la volontà dell'eroe, l'oracolo ha compimento. In una gara ginnica, il disco lanciato da Perseo, sfuggitogli in malo modo di mano, colpisce il vecchio Acrisio e lo uccide. Onde P., dolente e umiliato, non volendo più far ritorno in Argo, persuade Megapente, figlio di Preto, a cedergli il trono di Tirinto, ricevendo in cambio il trono vacante di Argo. E pertanto re di Tirinto e di Micene e di Mideia, che fece circondare di mura, P. finisce la vita avventurosa.
Perses, figlio di Perseo e Andromeda, diventerà il capostipite della famiglia regnante di Persia, degli Achemenidi.
Del mito di P., più antico è il nucleo centrale, cioè l'impresa contro la Gorgone, strettamente connesso con la leggenda, a sfondo naturalistico, che faceva la dea Atena, divinità della luce solare, vittoriosa della Medusa, figlia degli oscuri abissi del mare. Ma anche altri motivi rivelano il medesimo carattere naturalistico; come quello del giovane che è causa della morte dell'avo, nel quale episodio è certo da vedere riflessa la perpetua vicenda solare. Il problema dell'interpretazione si complica per l'origine micenea attribuita dal Nilsson alla figura di Perseo.
Bibl.: E. Kuhnert, in Roscher, Lexicon d. griech. u. röm. Mythologie, III, ii, Lipsia 1902-1909, col. 1986 segg. Cfr. inoltre L. Preller - C. Robert, Griech. Mythol., 4ª ed., Berlino 1887-94, passim; O. Gruppe, Griech. Mythologie u. Religionsgesch., Monaco 1906, passim; A. Ferrabino, Kalypso, Torino 1914, pp. 39 segg., 323 segg.; C. Robert, Die griech. Heldensage, I, Berlino 1920, p. 222 segg.; H. J. Rose, A Handbook of Greek mythol., Londra 1928, p. 272 segg.; M. P. Nilsson, The Mycenaean origin of Greek mythology, Berkeley Cal. 1932.