Persio
L'unico luogo in tutto il corpus dantesco in cui sia fatto il nome del poeta latino Aulo Persio Flacco (Volterra 34 d.C. - Roma 62), è in Pg XXII 100, nell'episodio dell'incontro e del colloquio fra Virgilio e Stazio. A questo, che vuoi conoscere la sorte oltremondana di Terenzio, Cecilio, Plauto e Vario, Virgilio risponde: Costoro e Persio e io e altri assai / ... siam... / nel primo cinghio del carcere cieco; / spesse fïate ragioniam del monte / che sempre ha le nutrice nostre seco. La menzione di P., unico nominato da Virgilio accanto ai poeti ricordati da Stazio, e accanto a sé stesso (e Persio e io), potrebbe significare un particolare valore che D. attribuisce al poeta volterrano, in accordo con la grande fortuna di cui godette nel Medioevo. Anzi questa menzione potrebbe esser posta precisamente al medesimo livello di quella di Giovenale al v. 14 (altro poeta altamente apprezzato in quell'età), nel senso che i due autori di satire, proprio per l'argomento e il carattere dell'opera loro, erano ritenuti da D. degni di assidersi - come Orazio alle soglie del ‛ nobile castello ' - vicino ai poeti epici o drammatici, rappresentanti della ‛ tragedia ' o della ‛ comedia ' più meritevole di esser posta a fianco del genere superiore di poesia. Ma il fatto che P. sia citato solo una volta, ha indotto alcuni commentatori a ritenere che anche la sua menzione appartenga al novero di quelle risalenti a un'informazione generica, non a una vera conoscenza. A ogni modo, nessuno degli studiosi che si sono proposti lo specifico tema dei riecheggiamenti di testi classici in D. si è mai soffermato a rintracciare effettivi echi di versi di P. nell'opera dantesca.
Ma proprio il Sapegno, che pure nega l'effettiva conoscenza di P. da parte di D., ha ricordato che il Vellutello nel primo verso dell'XI del Paradiso (O insensata cura de' mortali) scovava l'eco del primo verso della prima satira di P., " O curas hominum ! o quantum est in rebus inane ! ". Il Paratore ribadì il rapporto fra i due luoghi, che dimostra una conoscenza del testo di P. da parte di D.: bastano a documentarlo il comune uso iniziale di ‛ o ', l'espressione cura de' mortali che corrisponde a " curas hominum ", il successivo quanto che corrisponde al successivo " quantum " di Persio. Il verso di P. a sua volta è stato considerato derivante da Lucrezio (II 14), " o miseras hominum mentes, o pectora caeca ! ", che molti commentatori della Commedia hanno additato, unitamente al verso di P., come fonte dei primi due versi di Pd XI, senza considerare che D. non poteva conoscere Lucrezio. Va notato però che i commentatori non hanno trascurato di additare nel luogo di D., accanto all'eco di P., anche quella di Boezio (Cons. phil. I III 14), cioè di un testo ben più noto e sicuramente familiare a D.: " At nos desuper irridemus vilissima rerum quaeque rapientes securi totius furiosi tumultus "; cui va sovrapposta una citazione di s. Girolamo presente nel commento di Pietro: " nonne vobis videtur in vanitate sensus ingredi, qui diebus ac noctibus in dialectica torquetur... qui divina per fas et nefas quaerit, qui adulatur regibus, qui hereditates et opes congregat " (su ciò cfr. A. M. Chiavacci Leonardi, citata in bibliografia).
A ogni modo c'è un altro luogo di Boezio (Cons. phil. III II 2) che estende il suo contenuto anche all'espressione iniziale del verso dantesco, e che i commentatori sono soliti addurre in nota all'altro luogo della Commedia (Pg XXVII 115-116) in cui essa è adoperata, Quel dolce pome che per tanti rami / cercando va la cura de' mortali': " Omnis mortalium cura quam multiplicium studiorum labor exercet ", ecc. Di esso anzi i commentatori scorgono l'eco già in; Pg XVI 91-93 e XVII 127-129: sì che, di fronte a questa massiccia presenza dello spunto boeziano, possono perdere valore tutte le suggestioni nascenti dal fatto che l'espressione cura de' mortali compare già in un canto del Purgatorio a breve distanza da quello in cui P. è nominato, e che l'espressione affine l'appetito de' mortali compare proprio nel medesimo XXII del Purgatorio in cui P. è nominato, cioè nel celebre v. 41.
Però l'osservazione della Chiavacci, che la forma esclamativa si trova, fra i testi latini noti a D., solo in P., conforta l'opinione che Pd XI 1-2 - accanto alle influenze boeziane - sia echeggiato da Persio I 1. A ciò può aggiungersi una considerazione, la quale non risulta accennata da nessuno: che cioè un altro luogo di P. (II 61-63) ribatte sul medesimo concetto e con espressioni in cui si avverte viva l'eco in quello e in altri passi danteschi: " o curvae in terris animae et caelestium inanis, quid iuvat hoc, templis nostros inmittere mores / et bona dis ex hac scelerata ducere pulpa? ". Né si può sottacere il fatto che proprio un canto vicino del Purgatorio (XXIV 80) contiene un'espressione che sembra riecheggiare quella del terzo verso di P. sopra citato: di giorno in giorno più di ben si spolpa. A questo punto possiamo anche arrischiarci a supporre che la forma della pena degli avari e prodighi (cioè del girone in cui avvengono l'incontro con Stazio e la menzione di P.), benché espressa mediante la citazione (XIX 73) del biblico Ps. 118, 25, nasconda anche l'influsso dell'" O curvae in terris animae " di P., secondo quell'intreccio di spunti scritturali o patristici e di spunti classici che è caratteristico di molti compiacimenti eruditi in Dante.
Il riscontro ora ricordato ha dato animo ai commentatori per scovare un'altra eco di P. in D.: essi (cfr. da ultimo il Mattalia; su ciò v. anche il Paratore) di fronte alla compagine retorica del celebre v. 25 di If XIII (Cred'ïo ch'ei credette ch'io credesse), fondata sulla ‛ traductio ', si sono richiamati all'influsso di Pers. I 27 " scire tuum nihil est nisi te scire hoc sciat alter " (e si tratta di un verso della medesima satira cui appartiene il luogo già raffrontato con D.).
Ma il Paratore ha additato un altro riscontro, sfuggito ai commentatori, che gli è sembrato togliere ogni dubbio. In Pg XXXI 140-141 si legge: chi palido si fece sotto l'ombra / sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna. I, commentatori han visto nella cisterna dantesca un'allusione al fonte Castalio. In realtà il luogo di D. è una chiara citazione dei choliambi di P.: " Nec fonte labra prolui caballino / nec in bicipiti somniasse Parnaso / memini... / Heliconidasque pallidamque Pirenen ", ecc. In buona parte della tradizione manoscritta di P. essi si trovano all'inizio e quindi formavano con la satira prima il proemio col quale un lettore come D. doveva avere maggiore familiarità. Quindi la cisterna dantesca o è il fonte Pirene, accompagnato da P. con l'appellativo ‛ pallida ' che in D. caratterizza invece il poeta abituato a concepire sotto l'ombra ... di Parnaso; o meglio è il " fons caballinus " di P., l'Ippocrene. Inoltre il dantesco bevve può essere un riferimento a " labra prolui " di P., ma può anche convalidare l'ipotesi, formulata dal Mariotti e dal Paratore, che una parte della tradizione manoscritta di P. recasse la variante potare in luogo di cantare nell'ultimo dei choliambi (" cantare credas Pegaseium nectar "). L'ipotesi appare convalidata da un luogo della prima egloga di D. (purché si ammetta la paternità dantesca delle egloghe), che già di per sé convalida la conoscenza dei choliambi di P.: Montibus Aoniis Mopsus, Meliboee, quot annis / ... se dedit et sacri nemoris perpalluit umbra. / Vatificis prolutus aquis, et lacte canoro / viscera plena ferens (Eg II 28-32). L'espressione latte canoro / viscera piena ferens, se da un lato, col riscontro fra canoro e ‛ cantare ', può suggerire la persuasione che anche D. leggesse " cantare credas Pegaseium nectar ", d'altro canto sembra ribadire che invece la sua fantasia fosse dominata da un'espressione come " potare ... Pegaseium nectar ", appunto quale lac canorum di cui il poeta reca viscera plena.
Da ultimo, si può notare che l'eco del medesimo passo dei choliambi si sorprende in Pd I 16-18 Infino a qui l'un giogo di Parnaso / assai mi fu; ma or con amendue / m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso. Tutti i commentatori, e da ultimo il Ronconi, ravvisano qui uno spunto di Lucano: " Parnassus gemino petit aethera colle " (V 72). L'influsso lucaneo è innegabile, ma si direbbe che su questo si sia stratificato, sia pure in senso antifrastico, il luogo di P. " nec in bicipiti somniasse Parnaso / memini " (choliambi 2-3); e ciò tanto più in quanto il dantesco intrar ne l'aringo sembra ispirato al v. 7 dei choliambi, " ad sacra vatum carmen adfero nostrum ". Al che si può aggiungere che l'ipotesi è rafforzata dal fatto che proprio nel luogo in cui si parla di P. (Pg XXII 100-105) si accenna al monte / che sempre ha le nutrice nostre seco; e tutti sanno come nella tradizione retorica Parnaso ed Elicona finissero per confondersi e fare tutt'uno.
Infine, altra eco dei choliambi dev'essere ravvisata in Pg XXVIII 139-141 Quelli ch'anticamente poetaro / l'età de l'oro e suo stato felice, / forse in Parnaso esto loco [cioè il Paradiso terrestre] sognaro. La relazione del v. 141 col v. 2 dei choliambi (" nec in bicipiti somniasse Parnaso "), per prima messa in luce dal Tommaseo, è stata in seguito ribadita dal Petrocchi per difendere la lezione sognaro della maggioranza dei codici e degli editori, contro segnaro di undici manoscritti dell'antica vulgata, e signaro dell'Urbinate latino 366. (Nella mostra fiorentina di codici ed edizioni dantesche era esposto anche il ms. Riccardiano 701 delle Satire con l'indicazione: " L'ultima accessione della biblioteca classica di Dante ").
Può ritenersi pertanto dimostrata in D. la diretta conoscenza di P., in forma più marcata di quella di Giovenale e in accordo con la grande popolarità del poeta nelle scuole medievali, che già di per sé avrebbe fatto apparire strano che D. conoscesse sicuramente Giovenale, e P. invece solo di nome.
Bibl. - E. Paratore, Biografia e poetica di P., Firenze 1967, in cui sono raccolti i precedenti studi dell'autore sull'argomento, e dove sono naturalmente fornite numerose altre precisazioni. Son citati nel testo: A.M. Chiavacci-Leonardi, Lettura del Paradiso dantesco, Firenze 1963, 264 n.; A. Ronconi, Per Dante interprete dei poeti latini, in " Studi d. " XLI (1964) 5-44. Cfr. inoltre: Mostra di codici ed edizioni dantesche (20 aprile-31 ottobre 1965), Firenze 1965, 8 (con l'indicazione di una lettura di F. Mazzoni sul XXXI del Purgatorio, ibid. 1965); G. Petrocchi, Introduzione 216. Del Paratore cfr. anche Analisi ‛ retorica ' del canto di Pier della Vigna, in " Studi d. " XLII (1965) 323-324, poi in Tradizione e struttura in D., Firenze 1968, 178-220.