persona
Il termine persona (dal lat. persona(m), dall’etrusco phersu «maschera», a sua volta ricalcato sul gr. prósōpon «faccia, volto») è una creazione della cultura occidentale, in cui ha avuto uso assai ampio: nel teatro greco e romano, nella teologia cristiana (le tre Persone della Trinità) e quindi nell’antropologia filosofica da essa derivata (l’uomo come Persona, ecc.), nel diritto, ecc. In linguistica, il termine designa la categoria grammaticale, individuata già dai greci antichi, con cui le lingue indicano l’emittente e il ricevente di un messaggio.
Nella codificazione di un messaggio l’emittente chiama infatti sé stesso io (prima persona) e si rivolge al ricevente con il tu (seconda persona; ➔ allocutivi, pronomi; ➔ personali, pronomi). Oltre alla prima e alla seconda persona, si ha anche la terza, che, a rigore, non dovrebbe essere considerata, per il suo particolare statuto, una ‘persona’. Se infatti la prima e la seconda designano l’emittente e il ricevente, cioè vere e proprie persone, la terza persona «designa un’‘entità’ che non è necessariamente presente e che non ha neppure bisogno di essere una ‘persona’» (Simone 200819: 310). Per quest’ultimo motivo, in tutte le lingue esistono pronomi specializzati per l’espressione della prima e della seconda persona, mentre la terza è indicata spesso con pronomi dimostrativi (➔ dimostrativi, aggettivi e pronomi), nei quali viene marcata anche la categoria di ➔ genere, cosa che non avviene nei pronomi personali, perlomeno in italiano: ad es., il latino ha i pronomi personali ego (prima persona), tu (seconda persona), mentre la terza persona viene espressa dai dimostrativi is, ea, id; ipse, -a, -um; ille, -a, -ud.
In italiano la categoria di persona si intreccia con quella di ➔ numero (singolare e plurale).
L’italiano, come altre lingue, segnala la persona nei pronomi personali, tonici e atoni, nei possessivi (➔ possessivi, aggettivi e pronomi) e nel verbo (➔ verbi; ➔ flessione).
Per ulteriori approfondimenti riguardo ai pronomi, si rimanda alle voci pertinenti e ai corredi di quest’opera, nonché a D’Achille (20103: 126-133). Qui i pronomi sono considerati solo in relazione alla categoria della persona.
Al singolare, nei pronomi tonici, l’italiano ha due pronomi ➔ deittici indicanti la prima e la seconda persona singolare, senza distinzione di genere: io e tu. Al plurale, se voi corrisponde al pronome di seconda persona singolare tu, con la funzione di indicare una pluralità di destinatari, il pronome di prima persona noi non è, propriamente, il plurale di io, dato che non indica due emittenti che producono all’unisono lo stesso messaggio, ma significa «io + qualcun altro (che non parla contemporaneamente)». Questo ‘qualcun altro’ può essere o l’interlocutore (e allora si parlerà di valore inclusivo del pronome di prima persona plurale) oppure una terza persona estranea (allora il pronome avrà valore esclusivo).
Alla terza persona abbiamo per il singolare i pronomi egli / ella e lui / lei per le persone, esso / essa per le cose; per il plurale essi / esse e loro. Se si eccettua quest’ultima forma, alla terza persona è sempre marcato anche il ➔ genere. Il pronome di terza persona singolare lei, quello di terza plurale loro e quello di seconda plurale voi vengono impiegati anche come allocutivi di cortesia (§ 3).
Nei pronomi atoni o clitici la prima e la seconda persona, sia al singolare che al plurale, hanno rispettivamente le forme mi, ti, ci, vi per l’espressione sia dell’accusativo sia del dativo (vi chiamo; ti regalo un libro; ecc.), con le varianti me, te, ce, ve, nel caso siano seguiti da altri clitici (ve lo dono; ce la racconta). Tali pronomi si usano anche come riflessivi (mi lavo; ti lavi; ecc.; ➔ riflessivi, pronomi). Più complessa è la situazione della terza persona: al dativo si hanno, per il singolare, le forme gli / le, rispettivamente per il maschile e per il femminile (gli telefono; le regalo un anello), ma, nel caso si abbia una sequenza di clitici, si ricorre, senza distinzione di genere alla forma glie- (glielo dico, vale tanto per «lo dico a lui», quanto per «lo dico a lei»). Per l’accusativo si ha, con distinzione di genere, al singolare lo / la e al plurale li / le (li ascolto; le stimo tanto). Infine occorre ricordare, per la terza persona singolare e plurale il clitico si che può avere varie funzioni: riflessivo (si lava – con variante se, qualora seguito da altri clitici: se le lava), passivante (si dicono tante sciocchezze; ➔ passiva, costruzione), impersonale (si dice che Maria arriverà questa sera; ➔ impersonali, verbi).
La categoria della persona è marcata anche sui possessivi (pronomi e aggettivi), i quali, esprimendo in senso lato una relazione tra un possessore e un oggetto posseduto, presentano varie forme. Più precisamente, del possessore i possessivi esprimono, oltre alla persona (prima, seconda, terza), anche il numero, ma non il genere; del posseduto esprimono numero e genere (le mie amiche; i miei fratelli), eccezion fatta per il possessivo di terza persona plurale: la forma loro affida infatti l’espressione del numero e del genere del posseduto a un eventuale articolo (il loro amico; la loro penna; i loro libri; le loro matite).
Bisogna precisare, però, che i possessivi non indicano solo appartenenza o possesso:
benché il termine con cui sono designati alluda ad una relazione di appartenenza o di possesso, in effetti la loro funzione non è di marcare il possesso, ma di indicare le relazioni che si istituiscono tra le persone e quel che viene rappresentato dai nominali (Simone 200819: 312).
Si consideri un famoso verso dantesco: «Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore». Dante si rivolge a Virgilio: il possessivo mio non indica qui un possesso (eventualmente indicherebbe la conoscenza approfondita dell’opera del poeta latino da parte di Dante), ma esprime una particolare relazione, un’ammirazione che Dante nutre nei confronti del grande poeta mantovano. In altri casi, i possessivi hanno un referente specifico: il suo arresto può significare «l’arresto di lui / di lei», e quindi designare un oggetto.
Nel verbo la persona è individuabile solo, grazie alle desinenze, nei modi finiti (➔ modi del verbo) e ha ovviamente funzione deittica, attualizzando lo stato o l’azione espressi dal verbo in relazione al parlante (prima persona singolare), al parlante insieme a qualcun altro (prima persona plurale), al destinatario (seconda persona singolare) o ai destinatari (seconda persona plurale). Si ha poi, anche nel verbo, una terza persona, sia singolare che plurale.
Se si guarda al solo modo ➔ indicativo, alcune desinenze, adoperate per l’espressione della persona, si ripetono sistematicamente: è il caso degli elementi esprimenti le tre persone plurali, sempre -mo (prima persona), -te (seconda persona), -no (terza persona) in tutti i tempi e in tutte le coniugazioni.
Essendo anche una categoria deittica, la persona assume particolare rilevanza nell’ambito della ➔ pragmatica (Levinson 1993: 80-85), soprattutto per quel che concerne un particolare aspetto della cosiddetta deissi sociale, vale a dire il riferimento deferente o di cortesia all’interlocutore da parte del parlante (➔ cortesia, linguaggio della; ➔ convenevoli; ➔ saluto, formule di; ➔ plurale maiestatis). Anche in questo caso, ove la categoria di persona va a incrociarsi con quelle di genere e di numero, l’italiano mostra pienamente il fenomeno nei suoi due allocutivi di cortesia principali, l’uno marcato oggi in diatopia (il voi), l’altro di uso comune (il lei). Vi è poi l’allocutivo loro, tipico di usi assai formali.
Altri usi particolari della persona si incontrano a proposito dell’interlocutore generico (➔ generico, interlocutore). Infine, con riferimento allo schema della comunicazione di Jakobson (1966) portato sul piano specifico della comunicazione letteraria, si può aggiungere che la prima persona è usata quando l’autore vuol riferirsi a sé stesso, il cosiddetto io lirico, la seconda quando il riferimento è sempre al destinatario (funzione conativa), la terza con riferimento al contesto. Si consideri la celebre quartina (vv. 71-74) di Davanti San Guido di Giosuè ➔ Carducci in cui troviamo tutti questi usi della persona:
O nonna, o nonna! deh com’era bella
quand’ero bimbo! ditemela ancor,
ditela ancor a quest’uom savio la novella
di lei che cerca il suo perduto amor!
Si noti la prima persona riferita al poeta (ero bimbo; ditemela), la seconda riferita alla nonna, destinataria del messaggio (ditela), la terza riferita sia al contesto presentato nel componimento, quando il poeta era bambino (com’era bella), sia al contesto della novella che la nonna raccontava al poeta (di lei che cerca il suo perduto amor).
Infine, sempre guardando all’ambito letterario, si conferma lo statuto particolare della terza persona, che non è una persona in senso proprio, considerando il suo uso nel discorso indiretto libero, lo stilema preferito dagli autori della narrativa verista per pervenire all’impersonalità. Si consideri il passo seguente tratto dalla novella Cavalleria rusticana di Giovanni ➔ Verga: «Dapprima Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella dalla pancia, voleva trargli, a quel di Licodia!».
Alighieri, Dante (1991-1997), Commedia, con il commento di A.M. Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori, 3 voll.
Carducci, Giosuè (1998), Tutte le poesie, a cura di P. Gibellini, note di M. Salvini, Roma, Newton Compton.
Verga, Giovanni (1979), Tutte le novelle, a cura di C. Riccardi, Milano, Mondadori.
D’Achille, Paolo (20103), L’italiano contemporaneo, Bologna, il Mulino (1a ed. 2003).
Jakobson, Roman (1966), Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli.
Levinson, Stephen C. (1993), La pragmatica, Bologna, il Mulino (ed. orig. Pragmatics, Cambridge, Cambridge University Press, 1983).
Simone, Raffaele (200819), Fondamenti di linguistica, Roma - Bari, Laterza (1a ed. 1990).